Cibo umido e crocchette: come posso mescolarli per cani e gatti?
Hai mai pensato di mescolare il cibo umido con le crocchette per rendere più gustoso il pasto del tuo cane o del tuo gatto, ma non sapevi se fosse la scelta giusta? Sei in buona compagnia: è una delle domande più comuni tra i proprietari di animali. In questo articolo, vedremo quando e come è possibile mescolare questi due tipi di alimenti senza creare squilibri nella dieta.
Cibo umido e cibo secco: che differenze ci sono?
Partiamo dalle basi. In commercio troviamo due grandi categorie di alimenti per cani e gatti: cibo secco (le classiche crocchette, o in alcuni casi cibi “essiccati a freddo”) e cibo umido, che include paté, bocconcini, sfilaccetti e altre varianti.
La differenza principale tra i due è il contenuto di acqua. Il cibo secco contiene in genere tra l’8% e il 10% di umidità, mentre l’umido arriva anche al 75-80%, a seconda del prodotto. Questa differenza influisce anche su altri aspetti: in linea generale, il cibo umido contiene meno amido e più proteine, e può risultare più appetibile, soprattutto per il gatto.
Posso mescolarli? Sì, ma con criterio

Sfatiamo subito un mito: mescolare cibo umido e crocchette non è un errore. Per anni si è diffusa la convinzione che questi due alimenti abbiano tempi di digestione troppo diversi e che per questo vadano tenuti separati. In realtà, questa preoccupazione non ha solide basi scientifiche.
Il punto fondamentale è la qualità e la completezza degli alimenti. Per capire se puoi mescolarli senza problemi, devi guardare bene l’etichetta. Se sia il cibo secco che quello umido riportano la dicitura “alimento completo”, allora puoi usarli insieme tranquillamente, purché tu tenga sotto controllo le quantità totali di calorie.
E se uno dei due è complementare?
In questo caso le cose cambiano un po’. Se uno dei due alimenti è etichettato come “alimento complementare”, significa che non è bilanciato da solo e non copre tutti i fabbisogni nutrizionali. Quindi, va usato solo in piccole quantità, come aggiunta o insaporitore. Di solito si consiglia di non superare il 20% della razione giornaliera con un alimento complementare.
Come calcolo le giuste proporzioni?
Facciamo un esempio pratico. Supponiamo che, in base alle indicazioni del produttore, il tuo cane abbia bisogno di:
- 100g di cibo secco oppure
- 380g di cibo umido
Puoi combinare le due fonti alimentari in questo modo:
- ½ dose secco + ½ dose umido → 50g di crocchette + 190g di umido
- ¾ dose secco + ¼ dose umido → 75g di crocchette + 95g di umido
- ¼ dose secco + ¾ dose umido → 25g di crocchette + 285g di umido
L’importante è che, in totale, la quantità copra il fabbisogno calorico giornaliero del cane o del gatto. Se uno dei due alimenti è complementare, ricordati che puoi usarlo al massimo fino a 1/5 della razione giornaliera, altrimenti rischi di sbilanciare la dieta.
Vantaggi del mix
Mescolare cibo umido alle crocchette ha anche diversi benefici:
- Migliora l’appetibilità: soprattutto il gatto, spesso selettivo, apprezza un pasto più profumato e morbido.
- Favorisce l’idratazione: l’umido aiuta a introdurre più liquidi nella dieta, utile per entrambi, ma in particolare per il gatto, che tende a bere poco.
- Rende il pasto più vario, aiutando a evitare l’insorgenza di abitudini troppo rigide o di noia nei confronti del cibo.
Attenzione alle reazioni individuali
Anche se mescolare cibo secco e umido non è dannoso, è comunque buona norma osservare come reagisce il tuo cane o gatto. Ogni animale ha la propria sensibilità: alcuni possono tollerare benissimo una dieta mista, altri potrebbero manifestare qualche disagio digestivo. In quel caso, meglio passare a una somministrazione alternata, ad esempio: umido al mattino e secco alla sera.
In sintesi
Ecco un riassunto delle regole d’oro:
- Leggi sempre l’etichetta per verificare se il cibo è completo o complementare.
- Se entrambi gli alimenti sono completi, puoi dosarli a piacere, seguendo le quantità caloriche totali.
- Se uno è complementare, non superare il 20% della razione.
- Mescolare cibo umido e secco non è dannoso, anzi, può essere molto utile.
- Controlla la risposta individuale del tuo cane o del tuo gatto e adatta la dieta di conseguenza.
In conclusione, mescolare cibo umido e crocchette si può fare, con attenzione e buon senso. Non solo è una pratica utile per migliorare l’esperienza del pasto, ma può contribuire a un’alimentazione più varia, più idratante e più piacevole. Basta un po’ di organizzazione… e la ciotola sarà sempre una festa!
Articolo della Dr.ssa Maria Mayer, DVM
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Toxoplasma GONDII, facciamo chiarezza
Il toxoplasma è un parassita intracellulare obbligatorio, Infetta tutti i vertebrati ha recettori che gli consentono di entrare in tutte le cellule dell’organismo. Infetta un terzo della popolazione mondiale con una prevalenza dal 12 al 90% a seconda delle zone, è inversamente proporzionale all’igiene, alle abitudini sanitarie e all’educazione.

Ha 3 fasi vitali molto diverse tra loro: sporozoiti, tachizoiti e bradizoiti.
Gli sporozoiti si trovano nelle feci dei gatti infetti dopo 1-5 giorni dall’emissione. Perché si formino serve ossigeno, umidità e temperatura adeguata. Sono forme di resistenza. Sopravvivono nell’ambiente per anni e resistono alla maggior parte dei disinfettanti
I tachizoiti sono le forme a rapidissima replicazione e invadono tutti i tessuti e, una volta raggiunti, diventano bradizoiti che replicano lentamente
Il gatto è l’unica specie in cui il parassita compie il ciclo completo: enterico, epiteliale e sessuale. I felini domestici si infettano mangiando prede vive contenenti nelle loro carni i bradizoiti tessutali che, nell’intestino, diventano tachizoiti replicandosi nelle cellule della parete intestinale. Il toxoplasma all’interno degli enterociti compie anche il ciclo sessuale e successivamente compariranno le oocisti nelle feci. Una volta emesse le feci diventano infettanti dopo 1-5 giorni.
Gatto produce oocisti e le dissemina nell’ambiente solo per un periodo di tempo breve ( pochi giorni o settimane).
Cosa succede nell’uomo?
L’uomo si infetta mangiando carne cruda contenente bradizoiti, verdure crude o altri alimenti contaminati con oocisti provenienti da feci di gatto contenenti sporozoiti
I bradizoiti o gli sporozoiti ingeriti, passano la lamina propria dell’intestino e come tachizoiti attraverso linfatici e sangue penetrano in tutte le cellule dell’organismo dove si replicano distruggendole
Successivamente la risposta immunitaria (umorale e cellulomediata) attenua la replicazione portando alla formazione delle cisti tissutali contenenti bradizoiti.
I segni e i sintomi sono: linfoadenopatia latero-cervicale, astenia, cefalea, mal di gola, dolori ossei e muscolari, febbre, epato-splenomegalia e nell’80% dei casi è subclinica o asintomatica.
Esistono poi casi di toxoplasmosi primaria complicati da sintomi gravi, quali corioretinite, encefalite, oltre a sintomi autoimmuni per causa di immunocomplessi che si depositano nei tessuti.
I bradizoiti non sono accompagnati da infiammazione e persistono per tutta la vita dell’ospite e si localizzano prevalentemente a livello di SNC, muscoli e organi interni. I bradizoiti sono sorvegliati dal sistema immunitario se “normalmente funzionante”mentre si possono riattivare durante terapie immunosoppressive o a seguito di patologie che danneggiano il sistema immunitario (AIDS).
Se la toxoplasmosi colpisce una donna in gravidanza possiamo avere: prematurità, ritardo di accrescimento intrauterino, ittero, epatosplenomegalia, miocardite, polmonite ed eruzioni cutanee.
Il coinvolgimento neurologico nei neonati comprende corioretinite, idrocefalo, calcificazioni endocraniche, con microcefalia e convulsioni. La triade classica è costituita da corioretinite, idrocefalo e calcificazioni endocraniche.
Se l’infezione avviene nel primo trimestre di gravidanza, la trasmissione transplacentare sarà bassa (15%), ma la malattia nel neonato sarà più grave
Se l’infezione invece avviene durante il terzo trimestre di gravidanza, la trasmissione sarà alta (65%), il neonato sarà asintomatico alla nascita, ma con una incidenza più alta di avere sequele neurologiche croniche e ritardi di apprendimento rispetto a bambini non infetti.
Toxoplasma GONDII: Prevenzione
Questa infezione si previene con il test sierologico in previsione di una gravidanza (IgM, IgG). Nelle donne sieronegative o negli immunodepressi è bene evitare qualunque tipo di carne cruda o salata, in particolare di pecora, capra, maiale e cavallo, le carni più sicure sono pollo e manzo.
I bradizoiti sopravvivono per giorni/settimane nella carne mantenuta a temperatura ambiente o a 4°. Congelando la carne a -20° si inattivano in parte, la cottura a 66° per 20 minuti inattiva le cisti tissutali, mentre la salagione non uccide i parassiti.
- Evitare verdure fresche, specie se provenienti da orti, evitare la geofagia.
- Usare i guanti quando si lavora con la terra o quando si manipola carne cruda.
- Bollire l’acqua se non sicura
- Congelare la carne per 3 gg prima di cucinarla
- Controllare in ambiente domestico mosche e scarafaggi che possono veicolare la toxoplasmosi a noi e ai nostri gatti.
Toxoplasma GONDII: E i nostri gatti?
Nel periodo della gravidanza, non alimentare i gatti con carne cruda e non consentire al gatto di cacciare in particolare topi e uccellini, specie i pettirossi che sono spesso infetti.
Pulire la lettiera tutti i giorni con i guanti usando acqua bollente e sapone, smaltire le feci in modo sicuro, utilizzare i sacchetti per lettiere
Inutile testare i gatti perché, se sieronegativi, o non sono mai stati esposti, oppure potrebbero essere comunque nella fase di diffusione della malattia
I gatti, quindi per la sicurezza della gestante vanno tenuti in casa e alimentati con carne cotta e cibi industriali.
Articolo della Dr.ssa Monica Serenari, DVM
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Funghi per i cani: quelli commestibili per l’uomo sono davvero sicuri anche per i cani?
I funghi sono ingredienti apprezzati nella dieta umana. Ma quando si tratta dei nostri amici a quattro zampe, la questione è più complessa. I funghi commestibili per noi sono davvero sicuri anche per i cani? Questa domanda merita un’analisi approfondita, soprattutto per i proprietari attenti alla salute dei propri animali.
La diversa sensibilità dei cani ai funghi
Una verità che molti proprietari ignorano è che cani e umani reagiscono in modo molto diverso alle stesse sostanze. Questo principio si applica perfettamente ai funghi. Secondo la North American Mycological Association (NAMA), mentre il 99% dei funghi ha poca o nessuna tossicità, l’1% altamente tossico può causare problemi potenzialmente letali nei nostri animali domestici.
Un dato sorprendente è che i cani sembrano avere un’attrazione particolare per alcuni dei funghi più pericolosi. L’Amanita phalloides e le specie di Inocybe, ad esempio, attirano i cani probabilmente a causa del loro odore di pesce. Non è solo una questione di attrattiva, ma anche di sensibilità: alcune sostanze come la muscarina, presente in specie di Inocybe e Clitocybe, possono essere letali per i cani mentre raramente causano fatalità negli esseri umani.

Funghi specificamente pericolosi per i cani
Alcune specie di funghi meritano una particolare attenzione:
- Amanita phalloides: conosciuta anche come “Tallo della Morte”, è letale sia per gli umani che per i cani.
- Amanita muscaria e Amanita pantherina: contengono acido ibotenico e muscimolo, sostanze che raramente sono letali per gli umani ma possono causare la morte nei cani. È interessante notare che i cani spesso le consumano attratti dal loro odore di pesce.
- Specie di Scleroderma: alcune possono essere mortali per i cani (e i maiali) ma non per gli umani, per ragioni ancora non completamente comprese dalla scienza.
Reazioni particolari e sintomi nei cani
I cani che ingeriscono funghi tossici mostrano reazioni specifiche. Nel caso dell’Amanita muscaria o Amanita pantherina, entrano tipicamente in un sonno profondo simile al coma alcune ore dopo l’ingestione. Il recupero avviene generalmente dopo circa 6 ore, ma può estendersi fino a 72 ore.
Un aspetto critico da considerare è che la somministrazione di atropina a un cane che ha consumato queste specie può intensificare il sonno comatoso, aumentando significativamente la possibilità di morte.
Per le intossicazioni da amatossine (presenti in funghi come Amanita phalloides, Amanita bisporigera o Amanita ocreata), i sintomi sono caratterizzati da:
- Un ritardo di 6-12 ore nella manifestazione dei sintomi
- Gravi disturbi gastrointestinali
- Rifiuto di mangiare o bere
Molti cani muoiono ogni anno proprio a causa dell’ingestione di funghi contenenti amatossine.
I funghi commestibili sono davvero sicuri?
Alla luce di queste informazioni, è lecito chiedersi se i funghi commestibili per l’uomo siano effettivamente sicuri per i cani. La risposta richiede cautela: anche se un fungo è considerato sicuro per il consumo umano, non significa automaticamente che lo sia anche per i nostri animali domestici.
La diversa sensibilità dei cani a determinati composti presenti nei funghi suggerisce che anche specie normalmente non tossiche per l’uomo potrebbero provocare reazioni avverse nei cani. La mancanza di studi completi sulla sicurezza dei funghi commestibili nei cani rende difficile stabilire linee guida definitive.
Cosa fare in caso di sospetta intossicazione
Se sospetti che il tuo cane abbia ingerito funghi potenzialmente tossici, ecco i passi da seguire:
- Contatta immediatamente il tuo veterinario o un ospedale veterinario d’emergenza
- Se possibile, raccogli un campione dello stesso fungo o funghi dal luogo in cui sono stati trovati
- Conserva il materiale in un sacchetto di carta o carta cerata (non plastica) e refrigeralo fino all’esame
- Documenta dove sono stati raccolti i funghi, in caso di contaminazione da pesticidi o metalli pesanti
L’importanza della consulenza veterinaria specializzata
Considerando la complessità dell’argomento e i potenziali rischi, è fondamentale sottolineare che l’introduzione di qualsiasi tipo di fungo nella dieta canina dovrebbe avvenire esclusivamente sotto prescrizione medico veterinaria.
Non tutti i veterinari hanno una formazione approfondita in nutrizione. Per questo motivo, è consigliabile rivolgersi a un veterinario specializzato in nutrizione, in grado di valutare correttamente i rischi e i benefici potenziali legati all’introduzione di funghi nella dieta del tuo cane.
Conclusione
La questione della sicurezza dei funghi commestibili per i cani rimane in parte irrisolta. Mentre per noi umani molte specie di funghi rappresentano ingredienti sicuri e nutrienti, la diversa fisiologia dei cani e la loro particolare sensibilità ad alcuni composti fungini suggeriscono un approccio estremamente cauto.
La regola d’oro rimane quella di non permettere mai al proprio cane di consumare funghi trovati in giardino o durante passeggiate, e di introdurre funghi nella dieta solo sotto stretto controllo veterinario da parte di professionisti specializzati in nutrizione animale.
La salute del nostro fedele compagno a quattro zampe merita sempre la massima attenzione e il supporto di esperti qualificati, soprattutto quando si tratta di alimentazione e possibili sostanze tossiche.
Articolo della Dr.ssa Monica Serenari, DVM
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Il gatto anziano non mangia? Ecco cosa sapere (e fare)
Se vivi con un gatto da tanti anni, è probabile che prima o poi ti sia trovato a fare i conti con un cambiamento nelle sue abitudini alimentari. In particolare, quando un gatto anziano smette di mangiare o riduce in modo significativo la quantità di cibo, è normale sentirsi preoccupati.
In questo articolo vediamo insieme quando è davvero il caso di preoccuparsi, quali segnali osservare con attenzione, e soprattutto cosa puoi fare, prima di tutto, a casa, e in secondo luogo con l’aiuto del veterinario.
Il gatto anziano non mangia: perché è così grave se un gatto non mangia
A differenza del cane, il gatto è un animale che non può permettersi lunghi digiuni. È un fatto metabolico: bastano pochi giorni senza cibo per andare incontro a problemi seri, come ad esempio la steatosi epatica, una condizione in cui il fegato si riempie di grasso e smette di funzionare correttamente.
In più, il gatto è un predatore… ma anche una preda. Questo significa che tende a mascherare i sintomi di malessere per non mostrarsi debole. Così può succedere che l’unico segnale evidente di qualcosa che non va, sia proprio il rifiuto del cibo.
Quindi, se un gatto anziano smette di mangiare, non aspettare: rivolgiti quanto prima al veterinario.
Quando oltre al cibo rifiuta anche l’acqua

Se oltre a non mangiare, il tuo gatto smette anche di bere, la situazione si fa ancora più delicata. L’idratazione è fondamentale, e se non beve né assume liquidi dal cibo (per esempio attraverso l’umido), è molto probabile che ci sia una patologia sottostante da indagare.
Al contrario, anche un gatto che beve tanto ma non mangia può essere un segnale di qualcosa che non va, ad esempio una malattia renale cronica, una delle condizioni più frequenti nei gatti in età avanzata.
Il gatto anziano non mangia: Cosa puoi controllare a casa
Ci sono alcuni accorgimenti che puoi provare prima ancora di fare visite ed esami, soprattutto se il tuo gatto è in una fase iniziale di inappetenza.
1. Verifica l’ambiente dove mangia
Sembra banale, ma l’ambiente in cui il gatto mangia può fare una grande differenza. I gatti più anziani, ad esempio, potrebbero non riuscire più a raggiungere la ciotola se è posizionata in alto o in un luogo scomodo.
Prova a mettere la ciotola in un punto facilmente accessibile, magari su un piano basso e lontano dalle pareti. Ricorda che i gatti preferiscono controllare visivamente lo spazio mentre mangiano: se non si sentono al sicuro, potrebbero evitare del tutto il pasto.
2. Controlla la ciotola
Anche la forma e la pulizia della ciotola contano molto. I gatti preferiscono ciotole basse e larghe, o addirittura piattini, per evitare che le vibrisse tocchino i bordi. Inoltre, la ciotola dovrebbe essere lavata ogni giorno: odori residui o sporco possono bastare per far rifiutare il pasto, soprattutto a un gatto anziano più sensibile.
3. Prova a cambiare alimento
Anche se il tuo gatto ha sempre mangiato un certo tipo di crocchette o cibo umido, non è detto che le sue preferenze non cambino con l’età. Potresti provare:
- A passare dal secco all’umido, o viceversa.
- A offrire nuovi gusti o consistenze.
- A scaldare leggermente il cibo per renderlo più appetibile.
Se noti un miglioramento temporaneo, ma poi tutto torna come prima, è comunque importante rivolgersi al veterinario: l’inappetenza potrebbe essere un segnale intermittente di una malattia più seria.
I campanelli di allarme da non ignorare
A volte l’inappetenza è solo la punta dell’iceberg. Ecco altri segnali da tenere d’occhio, soprattutto in un gatto anziano:
- Perdita di peso: spesso difficile da notare, soprattutto se il gatto è sempre stato un po’ rotondetto. Può sembrare “più in forma”, ma è un segnale d’allarme.
- Pelo in cattive condizioni: può diventare opaco, secco, o al contrario troppo grasso e untuoso, magari separandosi in ciocche.
- Cambiamenti nel comportamento: miagolii insoliti, aumento della vocalizzazione o richieste di attenzioni più frequenti.
- Sintomi fisici: vomito, rigurgito, stitichezza (più comune della diarrea nel gatto), letargia.
Cosa farà il veterinario
Se il gatto anziano continua a non mangiare o mostra uno dei segnali sopra, il veterinario inizierà con una visita clinica completa. Tramite la palpazione e l’osservazione del comportamento potrà capire se ci sono dolori o anomalie.
A seguire, probabilmente verranno consigliati alcuni esami del sangue, in particolare per valutare i valori renali, vista la frequenza della malattia renale cronica nei gatti anziani. Ma ci sono anche altre condizioni che possono dare inappetenza:
- Malattie intestinali croniche
- Linfoma
- Problemi al fegato (epatopatie)
- Triadite (infiammazione combinata di fegato, pancreas e intestino)
- Malattie infettive
Se gli esami del sangue non danno risposte chiare, si potrà proseguire con controlli più approfonditi su cuore, tiroide o altri organi.
Conclusioni
Il gatto anziano che non mangia non è solo “capriccioso” o “vecchietto”. È un sintomo importante, che merita attenzione e indagini approfondite. Prima di pensare al peggio, puoi osservare e provare a modificare ambiente e alimentazione. Ma se la situazione non migliora in pochi giorni, non perdere tempo: una visita veterinaria può fare la differenza.
Articolo della Dr.ssa Maria Mayer, DVM
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