Piante spontanee commestibili per cane e gatto
Tra poco sarà possibile incontrare durante le nostre passeggiate diverse erbe spontanee che possono essere raccolte e somministrate ai nostri amici, dopo una adeguata preparazione.
Tarassaco, Ortica, Piantaggine, Melissa sono solo alcune di queste preziosissime piante che possiedono anche numerosi effetti benefici, scopriamole insieme!
Le piante spontanee che crescono in primavera possono essere utilizzate di tanto in tanto come alternativa alle verdure che scegliamo comunemente per le ciotole dei nostri amici.
Non tutti hanno la possibilità di raccogliere erbe spontanee in campagna, e soprattutto non tutti sanno riconoscere le varie erbe, ma per chi invece ha questa possibilità e già abitualmente le raccoglie per sé, potrebbero dimostrarsi una buona risorsa anche per i quattrozampe di casa.
Naturalmente, meglio evitare di improvvisarsi raccoglitori se non si hanno adeguate conoscenze.
Non tutte le piante sono commestibili ed alcune possono essere dannose!
Vediamo insieme quali piante possono essere raccolte e preparate senza problemi per i nostri amici.
Tarassaco
Il Tarassaco è anche detto Dente di Leone, Soffione o Piscialetto. Il suo nome scientifico è Taraxacum officinale ed appartiene alla Famiglia delle Asteraceae.
Il Tarassaco cresce spontaneamente nelle zone temperate ed è molto comune ritrovarlo non solo nei campi, ma anche nei parchi e nei giardini. Ha fiori di un bel giallo intenso.
Questi fiori, come accade ad esempio per le Margherite che sono sempre Asteraceae, si chiudono la sera per riaprirsi di nuovo con il sole.
Dal fiore si sviluppa una infruttescenza particolare, di forma rotondeggiante e ricca di peletti bianchi che si disperdono facilmente se soffiati via. Ecco perché il Tarassaco viene anche chiamato soffione.
Il Tarassaco ha foglie allungate e dentellate che possono essere cucinate come gli spinaci e somministrate senza problemi ai nostri animali. Il Tarassaco ha numerose proprietà fitoterapiche grazie alla presenza di diversi principi attivi. Ad esempio, è in grado di stimolare l’escrezione di bile dal fegato ed ha anche una buona azione diuretica (da qui, il nome Piscialetto!)
Piantaggine
La Piantaggine è molto diffusa nei prati, nei giardini e lungo i bordi delle strade.
Ne esistono numerose specie ma le più comuni sono la Plantago major e la Plantago lanceolata. Le differenziamo grazie alla larghezza della foglia, che ha una forma comunque lanceolata ed è percorsa da nervature .
La Piantaggine presenta delle caratteristiche infiorescenze a forma di spiga, con tanti fiorellini di piccole dimensioni. Le foglie più giovani e centrali della Piantaggine possono essere utilizzate in ciotola cotte e miscelate ad altre verdure.
Anche la Piantaggine è molto utilizzata in fitoterapia, grazie alle sue proprietà antinfiammatorie preziose soprattutto per le mucose della bocca e dell’apparato respiratorio. La piantaggine presenta anche una buona attività emolliente grazie alla presenza di mucillagini.
Ortica
L’Ortica è una pianta conosciutissima per l’effetto urticante scatenato dal contatto con i peli presenti su foglie e steli.
L’effetto urticante è dovuto al rilascio di alcuni principi attivi, tra cui l’istamina.
In realtà è una pianta perfettamente commestibile e ricca di preziosi minerali, basta avere l’accortezza di raccoglierla con dei guanti e bollirla adeguatamente! La cottura infatti permette di rimuovere le sostanze urticanti.
Il sapore dell’ortica è molto gradevole e ricorda quello degli spinaci.
L’ortica è molto diffusa in campagna, lungo i bordi stradali e in luoghi boschivi umidi e freschi. In ambito fitoterapico viene molto utilizzata per le sue proprietà diuretiche ed antinfiammatorie, ma anche antianemiche.
Melissa
La Melissa officinalis è un’erba aromatica perenne che raggiunge anche gli 80 cm di altezza, e viene a volte confusa da occhi meno esperti con l’Ortica.
A differenza di questa, però, non ha assolutamente nessun potere urticante, e le foglie se strofinate tra le dita sprigionano un delicato profumo di limone.
Le foglie della Melissa possono essere aggiunte in ciotola sia crude che cotte, non in quantità eccessive per il sapore leggermente amaro che potrebbe far storcere il naso ai nostri amici.
Anche la Melissa è molto utilizzata in fitoterapia, grazie alle sue proprietà antispastiche ma anche sedative. Le foglie vengono infatti utilizzate comunemente per la preparazione di infusi e tisane con effetto rilassante, perciò attenzione a non esagerare!
Ma come preparare le piante spontanee?
Ricordiamoci che i nostri amici cani e gatti sono carnivori, e non hanno le nostre capacità nel digerire le fibre vegetali!
Perciò mai esagerare con le verdure, attenetevi in ogni caso ai quantitativi segnati dal vostro Veterinario Nutrizionista.
Come tutte le altre verdure, queste erbe spontanee vanno sempre aggiunte in ciotola dopo averle frullate con poca acqua, come per ottenere un omogeneizzato.
E voi, sapreste riconoscere queste piante?
Vi capita mai di raccoglierle nel corso delle vostre passeggiate assieme ai vostri amici a quattro zampe? Raccontateci le vostre esperienze!
Articolo della dott.ssa Silvia Bernabucci, DMV
- Pubblicato il Silvia Bernabucci
Cannabis terapeutica in medicina veterinaria
La Cannabis terapeutica è una pianta ricca di proprietà medicinali, anche in Medicina Veterinaria. In questo articolo approfondiamo brevemente la parte di botanica, del sistema endocannabinoide che permette il suo utilizzo medicinale e delle proprietà terapeutiche di questa pianta.
La Cannabis terapeutica è una pianta ricca di principi attivi, tra i quali ritroviamo i Fitocannabinoidi. La Cannabis è usata da secoli per i suoi effetti terapeutici, ma il suo utilizzo in medicina è stato a lungo limitato per il timore di effetti collaterali di tipo psicotropo. Negli ultimi anni si sta però rivalutando la sua utilità per diverse patologie, sia in campo medico che medico veterinario.
La Cannabis fa parte della famiglia delle Cannabinacee, e di queste piante sono conosciute e utilizzate tre specie: la Cannabis sativa, la Cannabis indica e la Cannabis ruderalis.
È stata sfruttata fin dall’antichità, soprattutto nel continente asiatico ed in Sud America, a scopo terapeutico, ma non solo. La Cannabis infatti veniva molto utilizzata anche in Italia nell’industria del tessile, per produrre stoffe e corde utilissime durante l’espansione delle Repubbliche Marinare. Vediamo un po’ di che si tratta.
Cannabis terapeutica. Un po’ di botanica
La tassonomia ufficiale suddivide la Cannabis in tre specie: la C. sativa è la specie più coltivata in occidente, alta fino a tre metri e con foglie più strette. La C. indica, una specie selvatica proveniente dall’India, più bassa ma con un maggior numero di rami e foglie più ampie. Infine la C. ruderalis.
Gli ultimi studi però portano a pensare che esista una unica specie di Cannabis, la C. sativa, che include due sottospecie (la C. indica e la C. ruderalis) e diverse varietà.
Il sistema endocannabinoide
Perché i principi attivi della Cannabis abbiano effetto, è necessario che nell’organismo siano presenti i recettori per questi composti: e infatti, nell’organismo dei mammiferi ne sono presenti tantissimi!
La natura non ci ha fornito questi recettori appositamente per i principi attivi della Cannabis: è il nostro stesso organismo (e quello dei nostri animali) che produce molecole in grado di legarsi a questi recettori.
Queste molecole prendono il nome di Endocannabinoidi. I principi attivi della Cannabis hanno una struttura simile a queste molecole, e sono in grado perciò di combinarsi con i recettori presenti in un organismo.
Uno degli Endocannabinoidi è stato chiamato Anandamide. Un nome che deriva dal termine sanscrito Ananda, che significa beatitudine, proprio per l’effetto che è in grado di produrre.
Cannabis medicinale e fitocomplesso
Il fitocomplesso è l’insieme dei componenti chimici presenti nella pianta, responsabili della sua attività terapeutica. Nella Cannabis ritroviamo prevalentemente i Fitocannabinoidi. Ne esistono più di 140, ma i principali e più conosciuti sono il CBD (Cannabidiolo) ed il THC (Tetraidrocannabinolo). Vale la pena ricordare anche il CBG (Cannabigerolo).
La percentuale di Fitocannabinoidi varia notevolmente in base alla varietà di Cannabis interessata.
Le varietà di C. sativa, maggiormente coltivata in Europa e Nord America, hanno un basso potenziale tossico grazie alla concentrazione contenuta di THC, e all’alto tasso di CBD presente.
THC
Il THC è considerato il responsabile dell’effetto psicoattivo della Cannabis, ma nel giusto dosaggio presenta anche importanti attività terapeutiche. Il THC infatti è importante per la sua azione antidolorifica, aiuta in corso di nausea e vomito, tiene sotto controllo l’ansia e stimola l’appetito. Pensiamo a quanto possano essere utili queste azioni in alcuni pazienti, come gli oncologici, anche per tenere sotto controllo gli effetti collaterali di una chemioterapia.
CBD
Il CBD non presenta nessuna attività psicoattiva, e dunque da questo punto di vista è totalmente innocuo.
Presenta invece importanti attività antipsicotiche, rilassanti e neuroprotettive.
Ha inoltre azione anticonvulsivante, antinfiammatoria e analgesica e, secondo alcuni studi, anche antitumorale. Utilizzando varietà in cui il CBD è maggiormente presente, verranno mitigati gli effetti collaterali di tipo psicotropo che possono essere causati dal THC.
Terpeni e Flavonoidi
La Cannabis contiene anche altri principi attivi, diffusi anche in tante altre specie vegetali, che lavorano in sinergia con i Fitocannabinoidi potenziandone alcuni effetti o mitigandone altri.
I Terpeni ad esempio hanno attività analgesica, e quindi potenziano l’attività antidolorifica di THC e CBD. I Flavonoidi hanno una importante attività antiossidante e antinfiammatoria, ma anche antivirale ed antiallergica.
Le varietà terapeutiche
La Cannabis terapeutica non si trova negli shop di Cannabis light e men che meno proviene da traffici illeciti.
La resistenza che si incontra in ambito medico nasce forse da questo equivoco, ma le varietà utilizzate in medicina provengono da farmacie, che a loro volta le acquistano da fornitori autorizzati. Nel caso delle varietà coltivate in Italia ad esempio questo avviene sotto la supervisione dell’esercito. Devono rispettare precise concentrazioni di THC e CBD e se non risultano adeguate, le coltivazioni vengono direttamente distrutte.
Le varietà terapeutiche coltivate in Italia prendono il nome di FM1 ed FM2 e sono due varietà di Cannabis sativa. La nostra produzione nazionale non è purtroppo sufficiente per la richiesta di tutti i pazienti, umani e non, e dunque importiamo diverse varietà anche dall’Olanda e, in minor misura, dal Canada.
Le diverse varietà presentano concentrazioni differenti di principi attivi (THC e CBD, ma anche terpeni e flavonoidi), e possono essere utilizzate quindi per scopi diversi. Il medico veterinario potrà scegliere quale varietà prescrivere in base alla patologia e all’effetto che desidera ottenere sul paziente (ad esempio, serve più un effetto antidolorifico, o antiemetico? O magari anticonvulsivante?). Quando il medico veterinario avrà deciso quale varietà prescrivere, sarà poi compito del farmacista preparare il farmaco galenico ad hoc per ogni singolo paziente.
Un aiuto importante
Concludendo, la Cannabis terapeutica rappresenta per molti pazienti un aiuto indispensabile.
Non è certo la panacea per tutti i mali, ma i suoi molteplici effetti positivi vanno senz’altro tenuti in considerazione, nonostante la diffidenza che suscita ancora.
Articolo della dott.ssa Silvia Bernabucci, DMV
- Pubblicato il Silvia Bernabucci
I cani possono mangiare le ossa?
E’ possibile somministrare ossa ai cani in alcuni regimi alimentari, per la precisione le ossa entrano di diritto nelle diete crude come la BARF. In questo regime alimentare infatti vengono somministrate quotidianamente ossa, che devono però rispettare rigorosamente alcune caratteristiche per minimizzare i rischi.
Una delle domande che ci sentiamo rivolgere più spesso è proprio questa: i cani possono mangiare le ossa?
La risposta non è scontata. Le ossa vengono viste malissimo dalla maggior parte dei veterinari: spesso infatti capita di dover operare un cane perché ha rubato un osso dal bidone della spazzatura dopo una grigliata, riportando poi una perforazione intestinale.
Eppure, nelle diete crude come la BARF le ossa vengono inserite di diritto. Dove sta la ragione? Diciamo che la ragione, come sempre, sta nel mezzo.
I cani possono mangiare le ossa?
La risposta è sì, ma solo se si segue un regime alimentare specifico e solo specifici tipi di ossa. Di certo non in aggiunta ad una dieta commerciale e nemmeno ad una dieta casalinga che comprenda anche quote importanti di carboidrati.
Quando diamo carboidrati ai nostri cani (riso, pasta, patate…) infatti il pH all’interno dello stomaco raggiunge valori un po’ più alti rispetto ad un cane che segue una dieta senza carboidrati.
Questo è importante perché nello stomaco con un pH più basso (e quindi più acido) favoriamo una corretta liquefazione delle ossa.
Se ciò non avviene rischiamo invece una perforazione a livello intestinale.
Dobbiamo dire anche che in una dieta BARF e somministrando alcuni tipi di ossa considerate sicure, avremo diversi vantaggi: abbasseremo il costo della dieta, offriremo al nostro cane la possibilità di rilassarsi masticando un alimento che gli piace molto e lo aiuteremo a mantenere i denti ben puliti.
Quali ossa dare ai cani?
Le ossa che si utilizzano nella dieta BARF sono definite ossa crude e polpose, ossia ricoperte di carne.
Questo è fondamentale perché lo strato di carne che le ricopre limiterà il rischio di perforazioni del palato e dell’esofago. Quindi mai dare ossa “nude”.
Inoltre vanno somministrate crude perché un osso cotto si scheggia molto più facilmente in piccoli pezzetti, con maggior rischio di rovinare la mucosa.
Per evitare del tutto i rischi di perforazione, le ossa polpose possono essere somministrate anche macinate.
Le ossa macinate sono particolarmente comode per questo motivo ed è possibile acquistarle già pronte sui siti che vendono prodotti per barfisti.
E’ importante anche selezionare il tipo di ossa e l’animale da cui provengono: le ossa possono infatti essere classificate in base al grado di difficoltà.
Alcune vengono considerate ossa più facili, ed altre invece sono più difficili, in base alla specie animale ed anche alla porzione anatomica. Per esempio, parlando di un pollo, un osso portante come quello del coscio, che sostiene più peso, sarà più denso e quindi più difficile da digerire rispetto al collo.
Quali ossa non dare al cane?
Come già visto mai dare ossa cotte e mai dare ossa nude.
Alcuni tipi di ossa vanno evitati, ad esempio lo stinco di bovino. In questo caso l’osso è strutturato per sostenere un peso importante, e sarà quindi un osso più denso che causerà molto più facilmente costipazione.
Anche le costine possono essere pericolose se date singolarmente, perché per la forma stretta ed allungata possono invogliare il cane ad ingerirle senza masticare affatto.
In linea generale inoltre non vanno date le ossa di tacchino, neanche con polpa attorno, in quanto possono facilmente scheggiarsi. Fa eccezione solo il collo di tacchino, che possiamo usare invece come osso polposo, ma che è abbastanza complesso da digerire e deve essere inserito solo in un secondo momento.
Come dare le ossa ai cani?
Il cane va educato gradualmente alle ossa polpose. Somministrare fin da subito ossa più difficili potrebbe essere rischioso.
Bisognerà quindi iniziare dalle ossa più semplici, come i colli di pollo, insegnando a masticarle.
Una volta appurato che è in grado sia di masticare che di digerire le ossa più facili, potremo via via provare con qualcosa di più difficile.
E’ anche importante monitorare il proprio animale mentre mangia, mantenendoci comunque ad una certa distanza per non disturbarlo.
Infatti, può capitare che nel masticare un osso la carne si sfili, lasciandone un’estremità scoperta: in questo caso potrebbe essere pericoloso e dovremo intervenire offrendogli qualcosa di goloso per far sì che ci ceda l’osso che sta masticando.
Questa manualità potrebbe risultare rischiosa con alcuni cani particolarmente “gelosi” del proprio alimento: in questo caso, meglio non somministrare affatto le ossa intere, preferendo quelle macinate.
Quante ossa dare al cane?
In una dieta cruda tipo BARF, le ossa polpose vanno a coprire circa il 30-45% della razione giornaliera. La quantità precisa va calcolata in base al singolo cane, alle sue capacità digestive, alla salute del suo tratto gastroenterico, alla razza ed all’età.
La percentuale varia anche in base al tipo di ossa, se macinate o se intere.
Quando non dare ossa al nostro cane?
Come abbiamo detto fin qui, non diamo ossa se il nostro cane assume normalmente una dieta commerciale o comunque con una importante quota di carboidrati.
Inoltre, anche nel caso di un cane che segue una dieta BARF, evitiamo di somministrare ossa se assume antibiotici che possono alterare il microbiota intestinale. O terapie con gastroprotettori che possono determinare un problema a livello di secrezione acida dello stomaco. Con difficoltà nella digestione e maggior rischio di perforazione intestinale. La stessa cosa dicasi se il cane deve assumere immunosoppressori o chemioterapici. Anche se in questo caso i problemi maggiori sono legati al crudo (e quindi ai pericoli microbiologici connessi) più che alle OP in sé.
In sintesi quindi, sì alle ossa per cani che seguono una dieta cruda, purché rientrino nelle caratteristiche che abbiamo descritto, senza rischiare inutilmente la salute del nostro amico con ossa che possono risultare rischiose.
Articolo della Dott.ssa Silvia Bernabucci, DVM
- Pubblicato il Silvia Bernabucci
Crocchette grain free per il cane: è una moda?
Un alimento commerciale grain free è davvero la scelta migliore per i nostri amici?
Circa 15 anni fa questi alimenti hanno iniziato a prendere piede con grande successo, proprio perché ai proprietari più attenti piaceva l’idea di dare un cibo che assomigliasse il più possibile alla dieta di un carnivoro selvatico. Senza carboidrati quindi che apportassero amido.
I mangimi grain free, però, non ne sono privi in realtà!
Anzi, per ottenere l’estrusione, il processo tecnologico che porta ad ottenere i croccantini, serve proprio una quota di amido. Senza il quale l’estrusione non può avvenire.
Nei mangimi grain free l’amido viene apportato dalle patate e spesso anche da quote importanti di legumi. Ma l’utilizzo di ceci, lenticchie e piselli in quantità elevate può condurre a diverse problematiche di tipo gastroenterico. Per la loro scarsa digeribilità e la presenza di fattori antinutrizionali.
Non bisogna nemmeno sottovalutare il fatto che i legumi contribuiscono ad innalzare il contenuto proteico di questi mangimi. Seppur con proteine di minor valore biologico rispetto a quelle animali, che sono poco utilizzabili dai nostri amici.
Storia del grain free
Questa tipologia di alimento per i nostri amici nasce in Canada e Nord America circa 15 anni fa.
In zone in cui il clima può essere particolarmente rigido. In origine, i grain free avevano una loro motivazione ben precisa, ossia quella di avvicinare questi mangimi alle condizioni di alimentazione naturale dei carnivori.
All’epoca, quando questi alimenti sono usciti per la prima volta sul mercato, i mangimi per cani presentavano sì una quota di carne. Ma erano composti soprattutto da cereali. Questo anche perché i primi estrusori non permettevano di arrivare a quote ridotte di amidi, come invece può accadere con macchinari più moderni.
La motivazione dietro questi nuovi prodotti era quindi quella di farli assomigliare il più possibile a ciò che un carnivoro mangia in natura. Ossia ad una preda. E in natura viene mangiato tutto della preda!
Quindi il muscolo, il grasso, ma anche il contenuto intestinale. Nello stomaco e nell’intestino di una preda, è possibile trovare infatti erba, frutta, ed anche qualche tubero. Ma di cereali, intesi come cariosside (seme) delle graminacee gli animali selvatici non ne mangiano poi così tanti, ed ecco perché in questi cibi non erano presenti cereali.
Questi ragionamenti, però, nei paesi di origine dei grain free avevano una loro logica. Soprattutto per categorie di animali con altissimi fabbisogni energetici, in un clima particolarmente rigido (pensiamo ai cuccioli in accrescimento, alle mamme in lattazione, ma soprattutto ai cani che dovevano lavorare sulla neve, come i cani da slitta). Per soddisfare i quali sarebbero serviti così tanti amidi da dare problemi di digeribilità.
Dunque i grain free sono nati per ottenere comunque un estruso ma con una elevata quota di proteine, tanti grassi (per sopperire agli elevati fabbisogni energetici) e tanta fibra (perché nel contenuto del tratto gastroenterico delle prede, i carnivori selvatici ne trovano comunque una discreta quantità).
I primi grain free in Italia
I primi mangimi grain free importati in Italia presentavano un elenco di ingredienti notevole (con almeno 4-5 fonti di proteine animali diverse). Una lunga lista di frutta, erbe fresche ed essiccate per un effetto prebiotico (erba medica, mela, ribes…).
Avevano quindi un elevato tenore proteico (arrivavano ad un 40-45% di proteine!) tanti grassi (30-35%) ma anche tante fibre (fino a 6-7 punti di fibra!). E questo affascinò subito i proprietari più attenti, desiderosi di fornire al proprio beniamino il cibo migliore possibile.
Il grandissimo successo dei grain free è da attribuire proprio all’impressione di alimentare il proprio animale con qualcosa di più “naturale” e più vicino alla sua fisiologia.
Ecco che tante aziende, in seguita a questo successo, iniziarono a produrre grain free.
Purtroppo, però, la carne è un ingrediente abbastanza costoso, e per diminuire i costi di produzione mantenendo alto il quantitativo proteico, alcune aziende ricorsero ai legumi: fonte sufficientemente economica sia di amidi, che di proteine.
Le etichette si allungarono ulteriormente con ceci, lenticchie rosse e verdi, piselli, ecc.
Questo espediente ha permesso di ridurre il quantitativo di carne utilizzata, mantenendo quindi i ricavi accettabili per una azienda. Ma le proteine dei legumi, oltre ad avere un basso valore biologico, non sono così semplici da utilizzare per un cane come quelle provenienti da fonti animali!
Fonti di amidi nelle crocchette grain free
Dobbiamo fare anche una considerazione sugli amidi apportati dai legumi. Si tratta prevalentemente di amilosio, che risulta meno digeribile rispetto all’amilopectina presente invece nei cereali.
Ecco che dunque, tra un mangime con tanti legumi ed uno con tanti cereali (per quanto anche questo non sia il massimo per i nostri carnivori domestici) sarà da preferire il secondo!
Dobbiamo anche ricordare che i legumi contengono elevate quantità di fattori antinutrizionali, che impediscono quindi il corretto assorbimento degli altri nutrienti presenti nella dieta.
Rischi degli alimenti grain free
Cani alimentati con questi mangimi hanno ben presto presentato alcuni problemi. Spesso producono un elevato quantitativo di feci, per la tanta fibra presente, ma possono manifestare anche vomito, feci poco formate, diarrea e meteorismo. Proprio perché la quota elevata di legumi li rende difficilmente digeribili per i nostri amici.
Alla lunga, l’utilizzo di questi cibi può portare quindi all’insorgenza di disbiosi.
Ma non solo: si è sospettato che i grain free con tanti legumi, abbiano causato in numerosi animali una forma di miocardiopatia dilatativa. Proprio dovuta all’azione antinutrizionale di questi ingredienti, ed alle fibre che forniscono (Nel 2018, la FDA – Food and Drug Administration- ha aperto una inchiesta al riguardo, proprio a seguito di numerosissime segnalazioni di miocardiopatia dilatativa di probabile origine alimentare, in seguito all’assunzione di grain free).
Più recentemente, alla luce di quanto detto sopra, le aziende hanno iniziato a produrre grain free con meno legumi, utilizzando come fonti di amidi le patate o la tapioca. Questi mangimi, per quanto non presentino particolari vantaggi rispetto ad un cibo contenente cereali, riducono comunque le problematiche dovute all’eccesso di legumi.
A chi dare un cibo grain free?
Bisogna contestualizzare dunque questa tipologia di alimenti. Un grain free di buona qualità, rispetto ad un altro cibo commerciale con meno proteine e meno grassi, può essere una buona soluzione per animali con problemi di ingestione e/o con fabbisogni energetici elevati.
In cui potremo coprire il fabbisogno energetico aumentato con un volume inferiore di alimento.
I cibi grain free che presentato una elevata quantità di proteine animali sono inoltre più appetibili rispetto ad un mangime che presenta più materie prime vegetali.
Ricordiamo ad ogni modo che grain free non significa, necessariamente, tante proteine: bisogna sempre leggere bene le etichette per valutare la qualità del prodotto.
In ogni caso, il mio consiglio è di evitare le etichette che presentano una lunga lista di legumi. Sia per non far incorrere i nostri amici in problematiche digestive, sia perché le proteine migliori per loro restano quelle di origine animale. Non ha inoltre senso, dal mio punto di vista, eliminare i cereali, che tutto sommato forniscono carboidrati che la maggior parte dei nostri cani sa ormai digerire discretamente, per dargliene altri scarsamente digeribili.
Articolo della Dott.ssa Silvia Bernabucci, DVM
- Pubblicato il Silvia Bernabucci
Ricette per biscotti per cani fatti in casa
Perché non approfittare di un pomeriggio freddo e piovoso per preparare qualche snack sfizioso per i nostri amici? Ci sono tante ricette per biscotti per cani da provare, adattabili alle esigenze di quasi tutti i nostri amici a quattro zampe.
Possiamo utilizzare vari tipi di farine, di frumento, di riso, di mais… insieme a carne, pesce, latticini ma anche frutta e verdura.
Se vi sono piaciuti i biscotti al pollo e mela, ecco qua altre semplici idee ☺
Biscotti per cani fatti in casa
Oggi vediamo quattro semplici ricette, per tutti i gusti. Realizzate con ingredienti semplici e naturali come fegatini di pollo, merluzzo, ricotta, ma c’è anche una ricetta a base di banana e carota.
Combinando diverse farine e diversi gusti, sarà possibile preparare in casa biscotti sani e sfiziosi anche per cani che presentano qualche problema con alcune proteine.
Mettiamoci ai fornelli!
BISCOTTI AI FEGATINI DI POLLO
- 200 gr di farina di frumento tipo 2 (se non la trovate, andrà bene anche la 0)
- 100 gr di fegatini di pollo
- 1 uovo (facoltativo)
- 1 cucchiaio di olio
- Se necessario, brodo o acqua
- Un pizzico di sale
Frullate i fegatini (verrà una pappetta abbastanza liquida), formate la fontana con la farina e al centro versate i fegatini frullati, il cucchiaio di olio, il sale e l’uovo e impastate.
Se non si aggiunge l’uovo, sarà necessario utilizzare un quantitativo maggiore di brodo o acqua.
Il mio consiglio è di versare un cucchiaio alla volta di liquidi in base alla consistenza dell’impasto, per regolarsi meglio. La quantità dipenderà anche dalla tipologia di farina utilizzata.
Stendete l’impasto ad una altezza di circa mezzo cm, spolverizzandolo con un po’ di farina per non farlo appiccicare al mattarello, e ritagliate i biscotti.
Ponete i biscotti sulla teglia rivestita di carta da forno e cuocete in forno ventilato a 180° per 15 minuti.
BISCOTTI AL MERLUZZO, ORIGANO E PARMIGIANO:
Devo dire che questi biscotti sono i preferiti della mia cagnolina, Tequila!
- 200 gr di farina tipo 2 o, in alternativa, anche tipo 0
- 150 gr di cuori di merluzzo surgelati
- 2 cucchiai colmi di parmigiano grattugiato
- 1 spolverata di origano essiccato
- 2 cucchiai di olio
- Acqua o brodo q.b.
- Un pizzico di sale
Frullate i cuori di merluzzo, formate la fontana con la farina e al centro versate il pesce frullato, il parmigiano, l’origano e un paio di cucchiai di acqua o brodo.
Per Tequila, ho utilizzato del brodo preparato con i ventrigli di pollo, perché lei non ha problemi con questa proteina. Se per i vostri amici invece dovete evitarlo, potete utilizzare una testa di pesce per preparare il brodo, ma anche sostituirlo con della semplice acqua.
Una volta impastato, valutate la consistenza e se necessario aggiungete altro liquido, sempre un cucchiaio alla volta.
Stendete l’impasto ad una altezza di mezzo cm circa, sempre spolverizzandolo con un po’ di farina se dovesse servire, e ritagliate i biscotti.
Cuocete in forno ventilato a 180° per 15 minuti.
In caso di problemi con i latticini, il Parmigiano può tranquillamente essere omesso.
BISCOTTI CON FARINA DI RISO, RICOTTA E PARMIGIANO
Anche questi, super golosi! Perfetti per chi deve evitare il frumento, ma non ha problemi con i latticini. Vengono belli croccantini!
- 200 gr di farina di riso
- 200 gr di ricotta senza lattosio
- 2 cucchiai di parmigiano
- 2 cucchiaio di olio
- Brodo (o acqua) q.b.
- Un pizzico di sale
Formate la fontana con la farina, unite al centro ricotta, parmigiano e olio mescolate con una forchetta. Versate il brodo o l’acqua un cucchiaio alla volta e impastate.
Se necessario, aggiungete altra farina per ottenere la giusta consistenza: l’impasto con farina di riso richiede un po’ più di pazienza e tende a disgregarsi facilmente, io mi aiuto sempre spolverizzando un po’ di farina di riso sia sul piano che sul mattarello per non farlo attaccare.
Ritagliate i biscotti nella forma desiderata, e con attenzione staccateli dal piano e appoggiateli sulla teglia rivestita di carta da forno: per non farli spezzare mi aiuto con una forchetta.
Cuocete in forno ventilato a 180° per 15 minuti.
BISCOTTI CON FARINA DI RISO, BANANA E CAROTA
- 200 gr di farina di riso
- 1 banana ben matura
- 1 carota
- 2 cucchiai di olio
- Brodo o acqua q.b.
- Un pizzico di sale
Tagliate a pezzetti banana e carota e frullatele insieme.
Formate la fontana con la farina ed aggiungete al centro banana e carota frullate, l’olio ed il sale.
Mescolate con una forchetta, quindi aggiungete acqua o brodo secondo necessità per impastare, formando un panetto. Questo impasto è più facile da lavorare rispetto a quello con ricotta.
Stendete l’impasto a mezzo cm di altezza, spolverizzando un po’ di farina di riso se necessario. Ritagliate i biscotti nella forma desiderata, collocateli sulla teglia rivestita con carta da forno e cuocete in forno ventilato a 180° per 15 minuti.
Per la cottura dei biscotti uso carta da forno compostabile: la carta forno normale, infatti, non può essere riciclata ed è sbiancata e rivestita da un sottile strato di silicone che io preferisco evitare: di microplastiche in giro ne abbiamo già troppe ☺
Articolo della dott.ssa Silvia Bernabucci, DMV
- Pubblicato il Silvia Bernabucci
L’ormone del buonumore e l’influenza dell’intestino
L’intestino, sia di noi umani che degli animali, dialoga costantemente con il cervello. Influenzando aspetti della vita a cui mai avremmo pensato, nel bene e nel male.
Questo avviene anche attraverso determinate molecole prodotte dal Microbiota intestinale, ovvero dal mix di batteri che popolano l’intestino, e possono cambiare addirittura il nostro carattere!
L’intestino presenta una rete di milioni di cellule nervose in grado, tra le altre cose, di produrre sostanze che giungono fino al cervello. Influenzandone la funzione e quindi il carattere dell’individuo.
La produzione di queste molecole può essere modificata anche dal Microbiota, composto da miliardi di batteri (ma non solo) che popolano l’intestino. Ne è un esempio la Serotonina, chiamata anche ormone della felicità o del buonumore, che viene prodotta in gran parte proprio nell’intestino a partire da un precursore chiamato Triptofano.
Cosa si intende per Ormone del buonumore?
L’ormone del buonumore
In un intestino sano, dal Triptofano si forma Serotonina, che arriva fino al cervello ed è associata appunto al buonumore.
Il Triptofano è un aminoacido che si trova in molte proteine sia del mondo animale che vegetale e viene perciò introdotto normalmente nell’organismo con la dieta.
Ne sono ricchi sia la carne e il pesce che le uova ed i latticini. Perciò è difficile che nei nostri animali si verifichi una carenza di questa sostanza.
La Serotonina viene a sua volta convertita in Melatonina, importantissima molecola in grado di regolare il ciclo sonno-veglia.
Triptofano e infiammazione intestinale
In corso di infiammazione dell’intestino si innesca un meccanismo per cui a partire dal Triptofano, al posto della Serotonina, si formano altre sostanze.
Queste giungono al cervello e qui sono in grado di determinare la morte delle cellule nervose di alcune particolari aree, deputate al controllo del comportamento e del carattere dell’individuo, oltre che alla formazione della memoria recente.
Si è visto che nell’uomo il danno creato a queste cellule può portare a stati di ansia, paure, insonnia, ma anche ad aggressività. E la stessa cosa sembra succedere ai nostri animali.
Il Triptofano negli integratori
Proprio a causa della sua importanza per la produzione dell’ormone del buonumore, il Triptofano è presente in alcuni integratori che vengono spesso prescritti proprio con lo scopo di “calmare” animali ansiosi.
Ma considerando quello che abbiamo detto fino a qui è molto importante non dedicarsi al fai da te, ma chiedere sempre il parere di un Medico Veterinario esperto in comportamento.
Altrimenti, il nostro integratore potrebbe essere addirittura controproducente.
Un intestino sano
L’intestino si infiamma anche quando c’è Disbiosi, cioè una alterazione del Microbiota intestinale.
Questa può essere causata da vari fattori, tra cui alimentazione errata, trattamenti farmacologici e antibiotici in primis, ma anche stress!
Infatti è ormai ben noto come cervello e intestino sono legati a doppio filo e uno può influenzare l’altro.
Perciò, per assicurarci che il nostro animale abbia un intestino sano, è importante offrirgli fin da cucciolo una alimentazione adeguata che sia il più sana, variata e naturale possibile. Ma anche il giusto stile di vita.
Per la sua alimentazione non affidiamoci, anche in questo caso, al fai da te ma chiediamo sempre l’intervento di un Medico Veterinario esperto in Nutrizione, affinché ci consigli al meglio.
Post della Dott.ssa Silvia Bernabucci, DVM
- Pubblicato il Silvia Bernabucci