Nutraceutica veterinaria: il ruolo della nutrizione funzionale
Il concetto di salute ha subito nel tempo una evoluzione. Se negli anni ’80, infatti, il termine salute veniva identificato come semplice assenza di patologie, dagli anni ’90 in poi ha cominciato a farsi strada il concetto di prevenzione. Ovvero un insieme di attività e interventi atti ad evitare l’insorgenza di condizioni morbose nell’individuo. Nel terzo millennio, il concetto di salute è stato infine soppiantato dal più ampio concetto di benessere che, come da definizione dell’OMS, rappresenta uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia.
Il moderno significato di salute inteso come benessere include dunque il concetto centrale del miglioramento della qualità di vita e dell’invecchiamento e non solo del prolungamento delle aspettative di vita stessa.
Nutrizione e prevenzione
È oramai noto come la Nutrizione, sia in campo umano che veterinario, svolga un ruolo di prevenzione di centrale importanza. Ma cosa si intende per prevenzione?
Per definizione dell’ISS, la prevenzione primaria è un “insieme di azioni ed interventi che, attraverso il potenziamento di fattori utili alla salute e l’allontanamento o la correzione dei fattori causali delle malattie, tendono al conseguimento di uno stato di completo benessere psicofisico o quantomeno ad evitare l’insorgenza di condizioni morbose”.
In altre parole, la prevenzione primaria si applica al soggetto sano al fine di mantenere la sua condizione di benessere ed evitare l’insorgenza di malattie.
È nell’ambito della prevenzione primaria che si colloca la prevenzione nutrizionale, intesa come l’assunzione di un prodotto contenente un nutriente o altre sostanze che, da sole o combinate, aiutano l’animale sano a:
- Ridurre il rischio di sviluppare malattie
- Mantenere le funzioni fisiologiche dell’organismo
- Mantenere il suo stato di salute
In quest’ottica, dunque, la Nutrizione è vista come strumento utile per il raggiungimento di uno stato di salute e benessere animale, attraverso il miglioramento dell’immunocompetenza del soggetto e la promozione delle capacità di riparazione dei tessuti
Nutraceutica e nutrizione funzionale
Il termine Nutraceutica è stato coniato nel 1989 e deriva dalla fusione dei due vocaboli : nutrizione e farmaceutica. Anche se si tratta di un concetto relativamente moderno, la Nutraceutica affonda le sue radici in un passato molto remoto. Infatti già Ippocrate, nel V secolo a.C. dichiarava: «Lasciate che il cibo sia la vostra medicina e la vostra medicina sia il cibo», sottolineando il legame imprescindibile tra cibo e salute.
I nutraceutici non sono quindi semplici integratori (o, come sarebbe meglio chiamarli in medicina veterinaria, “mangimi complementari”). Si tratta infatti di sostanze biologicamente attive di origine animale o vegetale che, somministrate concentrate ed in una adatta forma farmaceutica (capsule, compresse, polveri ecc…) sono in grado di:
- Aiutare a proteggere l’organismo da alterazioni metaboliche
- Prevenire carenze e squilibri nutrizionali
- Ridurre il rischio di stress ossidativo e infiammazione e, di conseguenza, delle patologie associate.
Queste sostanze, pur essendo presenti negli alimenti, per svolgere la loro funzione benefica devono essere somministrate in concentrazioni tali da richiedere quantità di alimento troppo elevate. Pensiamo ad esempio agli acidi grassi Omega tre (EPA e DHA) che, come sappiamo, sono contenuti prevalentemente in alimenti marini (pesce azzurro soprattutto). Per andare a svolgere la loro funzione antinfiammatoria, mantenendo il rapporto omega 6/omega 3 entro certi range, il loro introito deve essere talmente elevato da non riuscire ad essere coperto solo alimentando l’animale di tanto in tanto con pesce azzurro. Per questo motivo si preferisce somministrarli concentrati in perle.
Il Nutraceutico dunque, pur avendo funzioni simili ad un farmaco, si differenzia da questo per il fatto che può essere assorbito e utilizzato dall’organismo senza il rischio di effetti collaterali potenzialmente dannosi. Tuttavia non deve essere considerato un sostituto del farmaco, ma un supporto al farmaco stesso, che può essere utilizzato in prevenzione (da solo) o in corso di patologie (a supporto delle terapie farmacologiche specifiche). Il compito del Medico Veterinario sarà quello di stabilirne il giusto utilizzo e la giusta collocazione, a seconda del singolo paziente e della sua storia clinica.

Criteri di scelta di un buon nutraceutico
I Nutraceutici, generalmente, non hanno bisogno di ricetta. Per questo motivo, essendo acquistabili come “prodotti da banco”, il loro uso improprio e/o abuso è frequente. Purtroppo non tutti i prodotti che si trovano in commercio sono uguali, da un punto di vista della qualità e della efficacia.
Ma quindi quali sono i criteri di scelta di un buon nutraceutico? Vediamoli insieme:
- Le materie prime utilizzate devono essere titolate (ovvero deve essere indicata la loro concentrazione in tot grammi o ml di prodotto). Deve inoltre essere indicata la loro provenienza e tracciabilità
- Devono essere indicati eventuali eccipienti, coloranti e conservanti.
- Devono essere certificati per assenza di metalli pesanti ed altri inquinanti
- Devono essere protetti da un packaging idoneo (ad. es che protegga il prodotto dalla luce per evitare fenomeni ossidativi)
Quali sono le situazioni in cui la Nutraceutica può davvero fare la differenza?
Abbiamo già accennato al concetto di prevenzione. In quest’ottica, la nutrizione funzionale può trovare il suo campo di applicazione fin da quando l’animale è cucciolo. Riprendendo i nostri amati e già citati Omega tre, numerosi studi hanno ormai chiarito il loro ruolo fondamentale nelle varie fasi della vita dell’animale. Nel cucciolo, in particolare, concorrono a favorire un corretto sviluppo neurologico durante la crescita, per cui una loro integrazione già dalle prime fasi di vita non solo è possibile, ma raccomandabile.
Ma è in ambito patologico che, negli ultimi anni, la nutraceutica sta trovando sempre più largo impiego, in affiancamento alle cure tradizionali.
Dall’animale anziano, spesso pluripatologico (ne parliamo qui) , al paziente oncologico (ne parliamo qui), sono innumerevoli le situazioni dove la nutrizione funzionale può fare davvero la differenza. Ma in questi casi in particolare, un consiglio importante è quello di evitare il “fai da te” e di affidarsi sempre ad un Medico Veterinario esperto che sappia scegliere e collocare correttamente il giusto prodotto nella giusta fase della patologia. I risultati non tarderanno a farsi vedere!
Articolo della dott.ssa Marta Batti, DMV
- Pubblicato il Marta Batti
Come rafforzare il sistema immunitario del gatto con l’alimentazione
Il sistema immunitario del gatto è un sistema molto complesso, che può subire diversi attacchi nel corso della vita e che è importante mantenere sano e forte. In questo articolo approfondiamo come funziona il sistema immunitario di un gatto, quando si forma e come si evolve. Parleremo anche di come rafforzarlo con l’alimentazione e alcuni nutraceutici.
Per quanto si dica che un gatto “ha sette vite”, sta a noi aiutarlo a viverle tutte al meglio, rafforzando il suo sistema immunitario. Fondamentale infatti per garantire una lunga vita, in salute, il sistema immunitario è deputato alla protezione del nostro gatto, sia da agenti nocivi esterni che da cause di malattia interne, come tumori. Poiché il 70% delle cellule del sistema immunitario si trova nell’intestino, una alimentazione sana e magari alcuni nutraceutici, perché no, possono davvero fare la differenza.
Il sistema immunitario del gatto: come funziona e come si evolve
Come immagino tutti i lettori sappiano, il sistema immunitario è quell’insieme di cellule e tessuti del gatto deputata alla difesa dell’organismo. Il sistema immunitario è come se fosse un organo unico, anche se è composto da una complessa rete di strutture, elementi cellulari e mediatori chimici, distribuiti in diversi distretti dell’organismo. Queste cellule sono in continua comunicazione fra loro, tramite segnali biochimici e la salute del nostro gatto è legata al suo corretto bilanciamento. In caso infatti di un funzionamento diminuito o difettoso, potrebbe andare incontro a patologie legate ad attacchi di microrganismi, ma anche ad altre come il cancro. Esistono però anche le patologie da iper-funzionamento, dove il sistema immunitario attacca gli obiettivi sbagliati (allergie, patologie auto-immuni).
Il sistema immunitario si comincia a sviluppare fin da dopo la nascita. Assumendo il colostro, il gattino ingerisce anticorpi preformati dalla mamma, che lo difenderanno durante il periodo necessario a formare i propri.
Anche nei giorni successivi alla nascita, quando il colostro già non viene più prodotto, il latte materno ha lo scopo non solo di nutrire il nostro gattino, ma anche di continuare a trasmettere fattori che aiutano a comporre il suo microbiota intestinale, che come vedremo più avanti avrà un ruolo importantissimo per tutta la vita del nostro gatto.

Alimentazione e sistema immunitario: cosa c’entrano?
Quando si pensa alla frase di Ippocrate “fai del tuo cibo, la tua medicina”, se la si vuole tradurre in termini moderni, potremmo farlo a questo modo: utilizza i principi nutritivi presenti negli alimenti per rafforzare il sistema immunitario del tuo gatto.
Se avessimo una lente di ingrandimento adatta infatti, potremmo vedere come a livello intestinale il nostro gatto presenta una meraviglioso microcosmo, in grado di regolare la sua salute. Nell’intestino infatti risiedono gran parte delle cellule del sistema immunitario (circa il 70%, come abbiamo detto sopra), in costante e continua interazione con batteri e altri microbi presenti. Questi batteri non devono essere visti come nocivi, ma anzi, se sono in salute loro, produrranno una serie di metaboliti che aiuteranno il nostro gatto, fra l’altro ad esempio regolando il suo sistema immunitario. Tramite queste sostanze infatti e le loro interazioni con l’organismo, il sistema immunitario del gatto apprende ad essere tollerante verso le molecole non nocive, come quelle del cibo, mentre attacca gli elementi estranei e pericolosi.
Questo fenomeno di apprendimento, legato anche al cibo che il nostro gatto, si verifica una sola volta nella vita, durante i primi mesi di vita. Studiata dagli scienziati come tolleranza alimentare, sembra rivestire un ruolo unico
L’alimentazione quindi può servire in due modi per rafforzare il sistema immunitario del gatto:
- Apportando molecole utili all’organismo, come antinfiammatori, antiossidanti etc. come vedremo più avanti in questo articolo
- Regolando la flora microbica locale, che poi a sua volta produce altre molecole utili per il benessere del gatto e per modulare il suo sistema immunitario.
Quando è necessario rafforzare il sistema immunitario del nostro gatto
Dobbiamo pensare di rafforzare il sistema immunitario del nostro gatto in tante e diverse situazioni. Un elenco, sicuramente non completo, comprende:
- Gattini che non hanno ricevuto allattamento materno
- Gatti con l’immunodeficienza felina (FIV)
- Gatti che soffrano di infezioni frequenti da batteri, virus, parassiti o funghi (fra cui soprattutto i gatti che soffrono di infezione latente da herpes virus felino).
- Gatti anziani, poiché il sistema immunitario invecchia con loro (fenomeno chiamato immunosenescenza)
- Gatti con patologie oncologiche (tumori anche benigni, cancro)
- Gatti stressati in modo cronico, dato l’influenza della psiche sul sistema immunitario.
Alimentazione e nutraceutici per rafforzare il sistema immunitario
Per aiutare il sistema immunitario del nostro gatto ad essere più forte, la base da cui partire è senza dubbio una alimentazione sana. Alimenti di buona qualità, possibilmente freschi e variati, sono la base per un organismo sano, gatto incluso.
Per mantenere un gatto sano, la sua alimentazione deve essere prima di tutto ricca di proteine animali. La malnutrizione proteica infatti, molto comune nei gatti essendo iper-carnivori, riduce la risposta immunitaria. Un gatto che non mangia una sufficiente quantità di proteine animali avrà quindi un sistema immunitario più debole e potrebbe persino avere una risposta minore alle vaccinazioni.
Fra i componenti delle proteine, gli aminoacidi glutamina, arginina e taurina sono fondamentali per mantenere il sistema immunitario del gatto in salute. Non a caso, questi nutrienti si trovano in grandi quantità nel cibo di origine animale.
Fra le integrazioni e i nutraceutici utili per rafforzare il sistema immunitario del nostro gatto, possiamo citare senza dubbio:
- Antiossidanti, come vitamina C e vitamina E. Vanno utilizzati con attenzione, dietro controllo medico veterinario, ma rappresentano un aiuto essenziale per il sistema immunitario del gatto.
- Zinco e selenio, sono due oligoelementi che sostengono il sistema immunitario del gatto, possono essere integrati ma con moderazione, avendo anche degli eccessi.
- Co-enzima Q10 (CoQ10), è un antiossidante che concorre in particolare a rafforzare il sistema immunitario in condizioni di malattia anche gravi, come il cancro.
Un discorso a parte lo merita invece la lisina. Molto utilizzata in ambito umano, soprattutto per le infezioni latenti da herpes virus, questo aminoacido sembra non avere la stessa potenza di azione sui nostri gatti. Gli studi in questo senso sono contradditori e l’utilizzo di integratori a base di lisina per il vostro gatto è sempre meglio che sia valutata dal vostro medico veterinario di fiducia.
Articolo della dott.ssa Maria Mayer, DMV per Kodami
- Pubblicato il Maria Mayer
La vitamina D nelle enteropatie del cane
Come in medicina umana l’integrazione di vitamina D può diventare molto importante anche per il cane, vediamo insieme in quali casi.
La vitamina D è una vitamina considerata un nutriente dietetico essenziale per il cane e il gatto.
A differenza dell’uomo e di altri mammiferi, infatti, cani e gatti non sono in grado di sintetizzare la vitamina D con l’esposizione ai raggi solari ma devono necessariamente introdurla con l’alimentazione.
Rientra nel gruppo delle vitamine liposolubili pertanto può accumularsi nell’organismo.
Per questo motivo è possibile riscontrare carenza di vitamina D ma anche ipervitaminosi in caso di integrazione eccessiva. Con gravi conseguenze per l’organismo: un’intossicazione da vitamina D può causare grave insufficienza renale.
Fonti di vitamina D
L’alimento maggiormente ricco di vitamina D è indubbiamente il pesce marino. Ma possiamo trovare una buona concentrazione di questa vitamina anche in pesce d’acqua dolce, tuorlo d’uovo, carne di manzo e latticini.
Le crocchette, gli alimenti umidi completi e molti integratori mineral-vitaminici vengono integrati con colecalciferolo (vitamina D3) o ergocalciferolo (vitamina D2).

Ruoli della vitamina D
Il ruolo della vitamina D è stato per anni limitato a quello di regolazione dell’equilibrio calcio/fosforo e quindi principalmente al tessuto osseo.
Diete carenti di vitamina D o con eccessiva integrazione possono essere molto deleterie soprattutto nei cuccioli dove possono causare malattie della crescita come il rachitismo.
Parallelamente a ciò che sta accadendo in medicina umana anche in veterinaria, però, sono stati scoperti altri ruoli di questa vitamina che emerge come molto importante nella terapia e nella prevenzione di alcune patologie immunitarie, renali, cardiovascolari e dermatologiche.
La vitamina D nelle enteropatie del cane
Ad oggi le patologie croniche intestinali (enteropatie) sono sempre più diffuse, non solo nell’uomo ma anche nei nostri cani. Studi recenti hanno dimostrato come in corso di alcune enteropatie del cane si verifichi un abbassamento dei livelli di vitamina D. Come abbiamo visto, il cane deve assumere necessariamente la vitamina D con l’alimentazione ma un intestino infiammato avrà difficoltà ad assorbire i micronutrienti introdotti con la dieta e tra questi anche le vitamine. Si crea così una situazione di carenza che peggiora i sintomi della malattia.
I cani più predisposti a questa carenza sono quelli di razze nordiche (proprio quelle razze storicamente alimentate con una buona quantità di pesce) come Siberian Husky o l’Alaskan Malamute ma anche Akita Inu, Rottweiler, Pastore Tedesco. Queste razze possono avere bassi livelli di vitamina D anche in assenza di patologia.
Come intervenire
Quando c’è una carenza di vitamina D purtroppo la dieta da sola non è sufficiente a riportare l’equilibrio ma occorreranno integratori specifici.
Dato che, come abbiamo visto, anche un eccesso di vitamina D può essere pericoloso è fondamentale innanzitutto essere sicuri che il nostro cane abbia effettivamente questa carenza ricorrendo a esami del sangue specifici.
Quindi nei cani di razze predisposte e in quelli affetti da enteropatia cronica è consigliabili testare i livelli di vitamina D nel sangue.
In caso di carenza accertata sarà il Medico Veterinario a consigliare come integrarla al meglio per evitare rischi di ipervitaminosi e al tempo stesso ripristinare un livello ottimale di vitamina D.
Articolo della dott.ssa Denise Pinotti, DMV
- Pubblicato il Denise Pinotti
Cani e celiachia
In questo articolo approfondiremo la questione cani e celiachia.
Andremo quindi a rispondere alle fatidiche domande: “il cane può essere celiaco? Esiste l’intolleranza al glutine nel cane?”.
Vedremo che cos’è la celiachia e come si manifesta la reazione avversa ad una particolare proteina, il glutine.
Cani e celiachia. Che cos’è il glutine?
Il glutine è una grandissima proteina formata da proteine di dimensioni più piccole che sono la gluteina e la gliadina. Il glutine è presente in molti cereali, compreso il frumento, ed è un ingrediente essenziale in moltissime varietà di pane, pasta e altri prodotti da forno.
Il motivo per cui è così presente è che ha una struttura a rete che risulta ideale per la produzione del pane: il glutine infatti è una sostanza gommosa ed elastica che si forma quando le molecole di glutenina e gliadina si mescolano all’acqua (per esempio appunto quando si prepara l’impasto per il pane).
Sensibilità al glutine
In medicina umana, l’intolleranza al glutine, è un disturbo piuttosto comune infatti un numero significativo di persone non lo tollera. Uno dei disturbi correlati a questa intolleranza è la celiachia che è dovuta ad una reazione anomala del sistema immunitario: si parla di patologia autoimmune.
Nei soggetti celiaci mangiare glutine scatena una risposta immunitaria che colpisce l’intestino, lo infiamma e lo danneggia riducendo la sua capacità di assorbire le sostanze nutritive.
Quali sono gli alimenti senza glutine?
Esistono molti alimenti privi di glutine tra cui alcuni tipi di cereali, frutta, verdura, latticini, patate, riso, legumi, carne e pesce.

Cani e celiachia. Ma possiamo davvero parlare di celiachia nel cane?
La riposta è no.
Abbiamo detto che la celiachia è una patologia dell’uomo, ereditaria e autoimmune; nel cane però questa particolare patologia non è stata riscontrata, al contrario è stata evidenziato un disturbo chiamato enteropatia da glutine.
Questo disturbo che causa malassorbimento, analogamente alla celiachia dell’uomo, sembra avere una forte base genetica ed è stata riscontrata principalmente nei Setter puri Irlandesi.
È stata riscontrata anche nei Border Terrier dove il glutine causa una forma di patologia simil-epilettica e nel Soft Coated Wheaten Terrier.
Purtroppo in Medicina Veterinaria gli studi scientifici sono spesso inconclusi o coinvolgono pochi cani. Quindi non ci permettono di avere certezze sul meccanismo che sta alla base di questa enteropatia da glutine.
Infatti, la prevalenza di questa enteropatia da glutine non è conosciuta e non è ben conosciuta neanche la patogenesi della malattia, per questo motivo non sappiamo se possiamo definirla una vera e propria celiachia. Nelle diete per cani fortemente allergici è comunque consigliato non inserire fonti di glutine perché può essere causa di intolleranze/allergie come qualsiasi altra proteina.
Va sottolineato anche che il glutine è in grado di acidificare il pH urinario. Attenzione quindi ad utilizzarlo quando l’animale soffre di patologie delle basse vie urinarie come qualche urolitiasi.
In conclusione
Che cosa fare quindi se sospetto che il mio cane sia intollerante al glutine?
La regola principale e più importante quando si decide di cambiare dieta al proprio animale è di farlo sotto controllo e sotto consiglio del Veterinario Nutrizionista.
Articolo della dott.ssa Alice Chierichetti, DMV
- Pubblicato il Alice Chierichetti
I cani possono mangiare le arance?
Pur essendo un frutto invernale, al giorno d’oggi capita di trovarle in tutte le stagioni.
Le arance sono un frutto molto apprezzato che può essere consumato sia crudo che sotto forma di confetture o marmellate varie. Rappresentano un’ottima fonte di vitamina C, è stato dimostrato che stimolano il sistema immunitario e riducono l’infiammazione.
Proprio perché conosciamo bene le proprietà benefiche di questo frutto per la nostra salute è normale volerle condividere con il nostro cane. Se vi state chiedendo se potete dare le arance al vostro cane, la risposta è sì ! Bisogna però fare attenzione alle quantità. In questo articolo parleremo dei rischi e dei benefici di questo frutto, di come poterlo somministrare ed in che dosi.
Benefici delle arance per i cani
Come sappiamo bene, le arance sono degli agrumi, famiglia di frutti a cui appartengono anche limone, mandarino e pompelmo. Come tutti gli agrumi, le arance hanno un elevato potere antiossidante, essendo estremamente ricche di vitamina C.
Le arance contengono anche altre sostanze con proprietà antiossidanti, come ad esempio carotenoidi, antocianine (soprattutto le arance rosse) e flavanoni. Fra questi ultimi, citiamo l’esperidina, una sostanza naturale ultimamente molto studiata in medicina in quanto potentissimo antivirale.

Rischi della arance per il cane
Ammesso che il nostro cane le mangi, non andiamo incontro a grandi rischi dandogli delle arance.
A differenza di quello che pensano molte persone l’acido citrico presente nelle arance non è in realtà dannoso o tossico per i cani.
Unico vero punto critico, come sempre per la frutta al cane, sono gli zuccheri presenti. Anche se la arance apportano infatti solo 34kcal per ogni 100g, abbiamo ben 8 grammi di zuccheri nella composizione di questo frutto e questo ovviamente, può rappresentare un rischio per il nostro cane.
L’apporto anche di piccole quantità di zuccheri può rappresentare un problema soprattutto in termini di fermentazioni addominali, con conseguente flatulenza e dolore.
Come dare le arance al cane e in che quantità
Se il vostro cane ama le arance, il consiglio è quello di dare spicchi interi, compresi di polpa, e non il succo d’arancia. In questo modo, assieme agli zuccheri, state fornendo anche fibre (circa 1,6g per ogni 100g), rallentando quindi l’assorbimento degli zuccheri e mitigando il danno relativo all’innalzamento della glicemia.
Ma è il quanto che fa davvero la differenza. Se il vostro cane è di taglia piccola dovreste dare non più di un quarto di spicchio di arancia al giorno, mentre per cani di taglia media potete dare un mezzo spicchio e per cani di taglia grande anche uno intero. Cercate di non eccedere, ricordate sempre che in generale è meglio limitare gli zuccheri.
E il succo d’arancia ?
Tecnicamente sì, ma solo se si tratta di puro succo di arancia 100% ovvero una spremuta preparata da voi e non acquistata al supermercato.
E anche in questo caso le dosi consigliate si quantificano in cucchiaini in base alla taglia del vostro cane, in generale nelle taglie grandi non è consigliabile somministrare più di 1-2 cucchiai.
In conclusione, se gradite dal vostro cane, le arance possono rappresentare uno snack salutare a patto che vengano somministrate con moderazione.
Articolo della Dr.ssa Laura Mancinelli, DVM
- Pubblicato il Laura Mancinelli
Cosa sono le proteine idrolizzate?
In questo articolo parleremo di proteine idrolizzate, cosa sono e come vengono prodotte?
C’è differenza tra prodotti monoproteici e idrolizzati? Quali sono i vantaggi nell’utilizzare cibi idrolizzati? Quando è consigliato darlo? Possono essere somministrati per tutta la vita o ci sono dei rischi?
Negli ultimi anni sempre più aziende mangimistiche per animali da compagnia si sono specializzate nella produzione di alimenti costituiti da proteine idrolizzate.
Questo tipo di alimento viene spesso scelto dal medico veterinario come prima opzione in tutti quei casi in cui si sospetta una reazione avversa al cibo.
Quando parlo di reazione avversa al cibo non intendo solo problemi dermatologici ma anche reazioni gastrointestinali che si possono manifestare con diversi sintomi clinici.
Cosa sono e come vengono prodotte le proteine idrolizzate?
Le proteine idrolizzate sono un insieme di amminoacidi e peptidi che si ottengono in seguito all’idrolisi di una fonte proteica, di origine animale o vegetale.
Il processo di idrolisi avviene tramite l’utilizzo di acidi o di enzimi e possiamo paragonarlo a ciò che avviene nello stomaco dei nostri animali, così come nel nostro.
Nel momento in cui gli alimenti ingeriti raggiungono lo stomaco, l’acidità presente e la produzione di enzimi specifici fa si che le proteine alimentari vengano scomposte in peptidi sempre più piccoli. Fino ad ottenere piccoli amminoacidi che verranno poi assorbiti.
Potremmo definire quindi le proteine idrolizzate come proteine “predigerite”. Per questo risultano meglio tollerate a livello gastrointestinale in quei soggetti maggiormente sensibili o con difficoltà digestive, facilitando il lavoro dello stomaco e riducendo la risposta del sistema immunitario.
Il processo di idrolisi artificiale infatti, che può essere più o meno spinto, riduce gli amminoacidi in oligopeptidi che sono piccolissime catene a basso peso molecolare.
Queste molecole sono così piccole che non vengono riconosciute come allergene dal sistema immunitario. Ciò fa si che il rischio di allergie alimentari venga ulteriormente ridotto.
Le proteine maggiormente impiegate per la produzione di questi alimenti sono dei sottoprodotti di origine animale e vegetale, per lo più proteine che derivano dal pollo e dalla soia. Del pollo le parti che solitamente vengono utilizzate sono le penne e le piume. Materia prima molto vantaggiosa dal punto di vista economico per le aziende in quanto prodotto di scarto, perché non utilizzabile per altri scopi.

C’è differenza tra i prodotti commerciali monoproteici ed idrolizzati?
Assolutamente sì, come già affrontato in questo articolo. Il cibo monoproteico è così chiamato perché composto da una singola proteina di origine animale, proteina non trattata con il processo dell’idrolisi. Quindi in casi di reazione avversa al cibo o di particolari allergie, il cibo monoproteico potrebbe non essere la scelta migliore come prima opzione per iniziare una dieta ad eliminazione o privativa.
Quando è consigliato dare un cibo idrolizzato?
Le proteine idrolizzate sono consigliate in tutti quegli animali che presentano delle allergie o delle intolleranze alimentari, ancor più in quei soggetti che hanno problemi di digestione o patologie gastrointestinali specifiche.
Queste proteine, visto il pretrattamento di idrolisi vengono facilmente digerite ed assorbite. Inoltre visto il basso peso molecolare non si comportano come allergeni, quindi utilissime da un punto di vista diagnostico.
Possono essere somministrate per tutta la vita o ci sono dei rischi?
Il cibo idrolizzato dovrebbe essere dato principalmente a scopo diagnostico. Solitamente per circa 8 / 12 settimane o per un tempo utile fino a quando la sintomatologia clinica, parlando principalmente di problemi gastrointestinali e cutanei, scompare.
Se dopo questo tempo il cane o il gatto non presenta più reazioni indesiderate, possiamo dire che con molta probabilità aveva una reazione avversa al cibo. Molte persone e famiglie a questo punto, risolti i problemi più evidenti, preferiscono fermarsi, confondendo l’assenza di sintomi con il benessere del soggetto.
Il passo successivo che consigliamo sempre invece è quello di iniziare le prove di scatenamento, ovvero reintrodurre con uno schema preciso e dettagliato in modo graduale gli alimenti. Cercando così di capire qual è l’allergene alimentare scatenante la reazione avversa.
La maggior parte delle aziende scrive che questo cibo può essere dato per l’intera vita del cane o del gatto, ad eccezione di alcune patologie che purtroppo a volte possono essere concomitanti nello stesso animale, per le quali invece è sconsigliato. Come ad esempio in corso di pancreatite- iperlipidemia- problemi epatici o problemi alle basse vie urinarie.
In questi casi è ancora più importante conoscere a quale alimento il vostro animale è sensibile. Per poter così dare un’alimentazione adeguata e di supporto per le patologie che lo affliggono.
Cibo idrolizzato tutta la vita?
Come abbiamo visto, le aziende ci dicono che il cibo idrolizzato può essere dato tutta la vita. Ma, che tipo di cibo stiamo dando ai nostri animali? Queste proteine, che solitamente sono costituite da scarti come materia prima di partenza, subiscono diversi passaggi di lavorazione prima di arrivare alla forma idrolizzata, potenzialmente diventando un prodotto con scarso valore nutrizionale.
In conclusione, ogni animale è un caso a se stante, non esiste la dieta ideale in assoluto, ma bisogna cercare di elaborare la dieta ideale per ogni singolo soggetto. Se l’alimentazione idrolizzata è l’unica con la quale il nostro cane o gatto riesce a stare bene, può essere una soluzione accettabile, anche se non ci esime da cercarne altre, senza “parcheggiarci” in una soluzione apparentemente comoda.
Nutrire è molto di più infatti e questi alimenti rappresentano nel tempo quanto meno uno scarsissimo stimolo di sapori e consistenze.
Non dargli solo da mangiare….Nutrilo!
Articolo della dott.ssa Francesca Parisi, DMV
- Pubblicato il Francesca Parisi
Perché il cane vomita a digiuno?
In questo articolo parleremo di cosa si intende e quali sono le possibili cause del cosiddetto “vomito a digiuno” e alcuni consigli che potrebbero fare al caso vostro se il vostro amico a quattro zampe soffre di questo fastidioso sintomo.
Per molte famiglie questo è un sintomo frequente e ricorrente, molto preoccupante e trovare una soluzione può sembrare impossibile. Sebbene il vomito sia un evento assolutamente sgradevole e non deve mai essere ignorato, il vomito a digiuno in genere non è sintomo grave e con la giusta diagnosi e terapia può risolversi.
Quali sono le cause?
Come dice il nome il “vomito a digiuno” è un sintomo di una problematica gastroenterica che si verifica frequentemente quando intercorre molto tempo tra un pasto e il successivo. Questo fa sì che i succhi digestivi si accumulino nello stomaco e determinano un’azione irritante a questo livello, il vomito è quindi un modo dell’organismo per allontanare uno stimolo nocivo.
Il vomito a digiuno può essere anche il segno clinico di una reazione avversa all’alimento che causa una sensibilizzazione della mucosa gastrica e duodenale e un aumento del reflusso dei succhi digestivi.
Altre cause del vomito a digiuno nel cane possono essere l’ingestione di farmaci o sostanze tossiche, errori alimentari, patologie sistemiche.
Come riconoscere questo sintomo?
Il vomito a digiuno viene chiamato anche vomito biliare, infatti tra i succhi digestivi di cui è composto è presente anche la bile. È solitamente di colore giallastro, può esser più o meno schiumoso e non contiene materiale alimentare. Si verifica solitamente di notte o al mattino presto con frequenza più o meno variabile.

Ci sono altri sintomi legati al vomito a digiuno?
A volte no, il vomito a digiuno può essere l’unico sintomo presente. Altre volte invece può essere accompagnato da altri sintomi gastroenterici più o meno gravi: vomito alimentare, calo dell’appetito, diarrea, altri segni di nausea come il leccamento intenso delle labbra e la ricerca maniacale di erba.
Cosa possiamo fare per aiutare il nostro cane?
- Correggere la dieta scegliendo alimenti di miglior qualità e altamente digeribili
- Inserire integratori con azione lenitiva per la mucosa gastrica (Attenzione! Non usare farmaci gastroprotettori senza il consulto con il vostro Medico Veterinario)
- Fare numerosi piccoli pasti e inserire un piccolo spuntino alla sera prima di andare a letto, il vostro cane ne sarà felicissimo!
- Evitare il digiuno prolungato
Se il vostro cane soffre di questa problematica parlatene al vostro veterinario di fiducia. In particolare se il vomito a digiuno è associato ad altri sintomi non deve essere sottovalutato.
Andate a fondo per trovare la soluzione adatta al vostro cane e evitare risvegli poco piacevoli per tutti!
Articolo della dott.ssa Giulia Moglianesi DVM
- Pubblicato il Giulia Moglianesi
L’iperparatiroidismo nutrizionale di Luna
In questo articolo vi racconto la storia di Luna e del suo iperparatiroidismo nutrizionale, una patologia legata ad un’alimentazione casalinga squilibrata.
Non ripeteremo mai abbastanza l’importanza delle giuste integrazioni della dieta e la pericolosità del fai da te
L’iperparatiroidismo nutrizionale
L’iperparatiroidismo secondario nutrizionale può insorgere in seguito alla somministrazione di una dieta sbilanciata in particolar modo di calcio e fosforo.
In genere colpisce i cuccioli in fase di crescita, dove c’è una richiesta maggiore di calcio.
Nei gatti la forma più comune è causata da diete composte solo da carne, come nel caso di Luna.

I sintomi di Luna
La sintomatologia dell’iperparatiroidismo è legata alla carenza di calcio, che porta ad alterazioni ossee anche molto gravi, come deformazioni e fratture.
Luna aveva iniziato a mostrare difficoltà a muoversi e dolore. Il veterinario che l’ha visitata ha riscontrato dopo esame radiografico una frattura a livello delle vertebre lombari che ovviamente causava dolore e limitazioni al movimento.
Dopo aver raccolto tutte le informazioni e controllato gli esami del sangue, diagnostica l’iperparatiroidismo nutrizionale e consiglia di passare ad un’alimentazione adatta all’età e l’assoluto riposo.

La consulenza nutrizionale
Luna è una gattina che vive in Sardegna, che ho potuto seguire grazie alla telemedicina.
Nella nostra prima consulenza Luna aveva 5 mesi e mezzo e pesava 1,9 chili.
Mangiava solo carne bollita con olio di cocco, senza nessuna integrazione mineralvitaminica.
Se vogliamo trovare un lato positivo in questa anamnesi alimentare, Luna mangia ogni tipo di carne senza nessun problema, cosa che nel paziente medio felino non è cosa così facile da trovare!
Il nostro obiettivo con la dieta era farla aumentare di peso e coprire i suoi fabbisogni di tutti i macro e micronutrienti. Ho preparato quindi per lei dei menù completi e bilanciati che sono stati da subito apprezzati.

Controlli
Ci siamo sentite poi con la proprietaria via mail, aspettando le radiografie di controllo.
Luna è migliorata in fretta. Pian piano ha ripreso a muoversi e anche a saltare. Dopo due mesi di dieta le radiografie mostrano un evidente miglioramento della lesione vertebrale.
Luna ha recuperato peso e prosegue con la sua nuova alimentazione.
Sorpresa
Questa storia finisce particolarmente bene perchè Luna è rimasta incinta.
Non era propriamente una gravidanza cercata, avevamo deciso con la proprietaria di aspettare a sterilizzarla vista la sua situazione, ma l’amore come sappiamo non aspetta.
Luna ha partorito quattro splendidi gattini, che ovviamente sono stati svezzati con una dieta completa e bilanciata.

Morale
Questo caso è davvero la miglior spiegazione dell’estrema importanza del bilanciamento della dieta.
Spesso non si pensa alle integrazioni e al lavoro del nutrizionista veterinario, ma in certi momenti della vita così critici, come ad esempio lo svezzamento e l’accrescimento, una dieta casalinga fai da te può creare davvero dei danni anche gravi.
Articolo della dott.ssa Chiara Dissegna, DMV
- Pubblicato il Chiara Dissegna
Le vitamine del complesso B per il gatto
Quali sono le vitamine del complesso B e cosa servono nell’organismo di un gatto?
In questo articolo approfondiamo una per una le vitamine del complesso B, le loro funzioni nell’organismo del gatto e i sintomi di una loro carenza.
Le vitamine del complesso B sono otto vitamine idrosolubili fondamentali per la salute del gatto.
Queste vitamine svolgono numerose funzioni in tutti gli esseri viventi e il loro apporto con la dieta deve essere sempre garantito al gatto, per mantenerlo in salute. Poiché molte sono particolarmente labili e possono essere inattivate dalla luce o dal calore, bisogna essere certi di fornirne quantità adeguate al nostro gatto. Durante tutta la vita.
Quali sono le vitamine del complesso B
Il termine vitamina è stato coniato al principio del 1900 per indicare una classe di composti organici, indispensabili alla vita, richieste da un organismo in quantità limitate. In particolare, le vitamine non possono essere sintetizzate dall’animale. E se prendiamo in considerazione il gatto, questo dovrà recuperarle quasi interamente dalla dieta.
Fra le vitamine, quelle del gruppo B sono particolarmente importanti nella nutrizione del gatto. Si tratta infatti di una classe di vitamine idrosolubili, che vengono trasformate dall’organismo in coenzimi, coinvolti in svariati processi metabolici.
Per le vitamine del complesso B quindi può essere particolarmente grave la carenza (ipo-vitaminosi).
In caso non vengano assunte in quantità sufficienti, questo può sfociare in una mancata funzionalità di diversi complessi enzimatici, causando mancata funzionalità di diversi distretti corporei.
Al contrario, per le vitamine del complesso B non è possibile una ipervitaminosi, in quanto non tendono ad accumularsi nell’organismo ed hanno per questo un ampio margine di sicurezza, a differenza della vitamina A e D (liposolubili).
Una particolarità importante delle vitamine del complesso B è che sono, in generale, sensibili al calore e alla luce. Per questo, le temperature di cottura di una dieta casalinga, quelle di preparazione delle crocchette o delle scatolette per gatti, o persino la semplice esposizione alla luce solare possono ridurre molto il contenuto di vitamine del complesso B di un alimento.

si trovano in prodotti di origine animale, prima fra tutte la carne.
Tutte le vitamine del complesso B e a cosa servono per il gatto
Le vitamine del complesso B sono 8 in totale e si trovano in generale in tutti gli alimenti di origine animale. Vediamo quali sono esattamente e a cosa servono per la salute del gatto.
Vitamina B1 o Tiamina
Questa vitamina è un componente fondamentale del metabolismo energetico di tutte le cellule del nostro gatto.
Una sua carenza può portare a sintomi soprattutto a carico del sistema nervoso e cardicaco.
La vitamina B1 o Tiamina è particolarmente sensibile al calore e viene degradata durante i processi tecnologici cui viene sottoposto il petfood. Per questo le ditte produttrici sono solite addizionare gli alimenti di alte quantità di vitamina B1, in modo da garantirne la presenza nel prodotto finale.
Vitamina B2 o Riboflavina
Anche questa vitamina si trova in quasi tutti i tessuti di origine animale, ma ne sono particolarmente ricchi latte, uova, fegato e pesce. All’interno dell’organismo, viene trasformato in un coenzima che entra nel metabolismo energetico della cellula. La sua presenza è particolarmente importante per mantenere sana soprattutto le mucose del gatto. Una sua carenza causa perdita di peso, debolezza, dermatiti e lesioni oculari nel gatto.
Vitamina B3 o Vitamina PP o Niacina
Questa vitamina dai tanti nomi, si trova in buone quantità nelle carni, nel latte e può essere parzialmente prodotta dall’organismo del gatto a partire da triptofano. Come le altre vitamine del complesso B viste fino ad ora, entra a far parte del metabolismo energetico delle cellule del gatto. In particolare è fondamentale per il metabolismo dei carboidrati, degli aminoacidi e dei lipidi. La carenza di Vitamina PP provoca la comparsa di sintomi cutanei, del tratto gastroenterico e del sistema nervoso centrale. Sintomi aspecifici come stanchezza, inappetenza, debolezza e disturbi gastroenterici possono accompagnare il quadro di carenza di Niacina nel gatto.
Vitamina B5 o Acido Pantotenico
Nei tessuti questa vitamina viene trasformata in un coenzima fondamentale per il metabolismo di tutti i macronutrienti, oltre che per la sintesi di colesterolo e ormoni steroidei (coenzima A o CoA). Anche se in sintomi di una sua carenza non sono ben individuati, nel gatto si sa che si possono osservare sintomi gastroenterici e ingrigimento del pelo. Anche per questa vitamina del complesso B, fonti principali sono uova, fegato e lievito.
Vitamina B6 o Pirossidina
Anche in questo caso la vitamina B6 entra nel metabolismo cellulare, soprattutto degli aminoacidi. La deficienza di Vitamina B6 comporta la comparsa di sintomi dermatologici, anemia, infiammazione dei nervi con sintomi neurologici associati. E persino convulsioni epilettiformi. Un altro effetto di un deficit di Pirossidina può favorire anche la formazione di calcoli renali e uroliti nel gatto. Per questo importante tenerla in conto in caso di cistiti ricorrenti.
Vitamina H o vitamina B8
La vitamina H o biotina, si trova principalmente nel tuorlo dell’uovo, nel rene e in generale nella carne. Interessante come nell’uovo, questa volta però nell’albume, sia presente anche un fattore anti-nutrizionale, chiamato avidina, capace di inattivare la vitamina H e provocarne carenza. Per evitare carenze di biotina è fondamentale quindi non dare quantità (eccessive) di albume crudo al gatto.
Vitamina B9 o Acido Folico
L’acido folico, contenuto nel tuorlo dell’uovo, fegato, rene e in generale nella carne, è una vitamina antianemica. Costituisce infatti un elemento essenziale per la formazione dei globuli rossi. Una sua carenza è particolarmente frequente nei gatti con problemi intestinali cronici, dove è anche indicatore di malassorbimento intestinale. Fondamentale la sua integrazione, come nella donna, anche nella gatta prima della gravidanza, per evitare malformazioni al feto.
Vitamina B12 o Cobalamina
Fondamentale per tante e diverse funzioni nell’organismo, la vitamina B12 è coinvolta come coenzima nella formazione degli acidi nucleici, dei globuli rossi e del corretto funzionamento del sistema nervoso. Anche questa vitamina, come la precedente, può essere carente per la presenza di problemi infiammatori cronici intestinali nel gatto e in questo caso sarà fondamentale integrarla per evitare i tipici sintomi di anemia. Nel gatto, il fattore intrinseco, una proteina che si lega a questa vitamina ed è necessaria perché sia correttamente assorbita a livello intestinale, viene prodotto principalmente dal pancreas, al contrario del cane dove proviene dallo stomaco.
Le vitamine del complesso B. Quando vanno integrate nella dieta del gatto?
I mangimi completi presenti in commercio, sia nella forma di crocchette che cibo umido, sono in genere già addizionati di vitamine del complesso B. Nel caso della dieta BARF le vitamine del complesso B sono in genere già fornite dall’alimento, essendo quasi tutte presenti nella carne e nelle frattaglie. Per la dieta casalinga cotta, a seconda del metodo di cottura e dello stato del soggetto, il Medico Veterinario potrebbe decidere se integrare o meno questo complesso vitaminico nella dieta del gatto.
Ci sono però alcune patologie del gatto dove un apporto extra di vitamine del complesso B potrebbe risultare fondamentale. Ad esempio, in caso di malassorbimento intestinale, potrebbero mancare di essere assorbite. Anche le malattie croniche del pancreas e del rene del gatto possono beneficiare di una integrazione apposita. Il Medico Veterinario può inoltre utilizzarle come complemento alla terapia di diverse condizioni croniche, dato le loro molteplici funzioni nel metabolismo energetico dell’organismo.
Articolo della dott.ssa Maria Mayer, DVM, PhD per Kodami
- Pubblicato il Maria Mayer
Telemedicina e nutrizione veterinaria
La nutrizione veterinaria è una disciplina che per motivi diversi si coniuga molto bene con la Telemedicina.
Ma cosa si intende per Telemedicina? Come si svolge una consulenza nutrizionale a distanza?
Quali sono i vantaggi e gli svantaggi rispetto ad una visita in presenza?
La Telemedicina non è una novità degli ultimi anni, in medicina umana è studiata da decenni e oggi anche il settore veterinario comincia ad utilizzarla in molti ambiti.
Vediamo di cosa si tratta e perché può esserci utile.
Telemedicina veterinaria. Di cosa si tratta?
In medicina umana la Telemedicina è in uso da almeno trent’anni.
Nel 2005 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha cominciato a studiarla e implementarla attraverso un osservatorio globale, per fornire assistenza medica e servizi umanitari anche nei luoghi del mondo più disagiati.
Ogni aspetto, dall’etica, alla politica, dalla sostenibilità economica agli standard procedurali e strumentali è stato approfondito nel corso del tempo.
Gli scenari degli ultimi anni, legati alla gestione dell’emergenza pandemica, hanno contribuito ad accelerare un processo già in atto da tempo. E non, come si potrebbe pensare, a crearlo da zero.
Per quanto riguarda l’ambito veterinario invece si fa risalire al 2016 la nascita ufficiale della Telemedicina, anche se in realtà possiamo pensare che da quando esistono i telefoni è iniziata la creazione di relazioni a distanza tra medici veterinari e famigliari dei pazienti.
La Telemedicina infatti non è altro che l’impiego di strumenti tecnologici (ormai davvero alla portata di tutti come gli smartphone) che mettono in connessione in tempo reale clienti/pazienti con medici, veterinari o altri professionisti della salute quando non si trovano fisicamente nello stesso luogo.
Nutrizione veterinaria e Telemedicina
La Telemedicina dunque non è una disciplina medica, è solo il modo in cui una prestazione sanitaria può essere erogata.
Questo significa anche che da un punto di vista legislativo e normativo non cambia nulla: si tratta sempre di un atto medico per il quale il professionista della salute è responsabile, sia da una prospettiva deontologica che legale.
Proprio per questo è fondamentale sottolineare che una consulenza in Telemedicina non può mai sostituire una visita in ambulatorio o in clinica, né può essere impiegata in condizioni di urgenza se non per il triage che precede la visita in presenza.
In alcuni ambiti però, e tra questi senz’altro la nutrizione, può essere una valida alleata. Ecco perché.
Nutrizione veterinaria e Telemedicina: vantaggi
Il nutrizionista veterinario è un medico veterinario con specifica preparazione ed esperienza in nutrizione.
Si tratta di una figura specialistica che può essere chiamata in causa da colleghi o colleghe che si occupano di medicina di base o di altri ambiti, per elaborare un piano nutrizionale per i propri pazienti.
La Telemedicina in questi casi consente di annullare le distanze e permette di far entrare il nutrizionista nell’equipe che ha già in cura il paziente.
In questo modo è possibile raggiungere e aiutare molti più animali e le loro famiglie.
Oppure sono gli stessi famigliari a rivolgersi direttamente al nutrizionista, chiedendo l’elaborazione di un piano nutrizionale per un cucciolo o un gattino, per animali adulti sani oppure in caso di patologie.
In tutte queste situazioni è importante (e tassativo in caso di animali con patologie in corso) che venga coinvolto il medico veterinario di base.
Anche in questi casi annullare le distanze permette di mettersi in contatto con professionisti che altrimenti non sarebbero raggiungibili, aumentando le probabilità di trovare chi può fare al caso nostro.
Senza dimenticare che in determinate situazioni, soprattutto in corso di malattie croniche ma anche nel caso di patologie o disturbi del comportamento, può essere vantaggioso non dover sottoporre gli animali allo stress del trasporto e della visita veterinaria.
Nutrizione veterinaria e Telemedicina: svantaggi
Come abbiamo avuto modo di capire una consulenza non è una visita e non può mai sostituirla: non è possibile (ancora!) effettuare una visita virtuale e “mettere le mani” sul paziente.
Per questo motivo è importante potersi fidare e affidare ai colleghi curanti. I loro pareri e le loro indicazioni sono fondamentali, così come quelli dei famigliari.
In molti casi poi è consigliabile eseguire esami diagnostici e monitoraggi. E anche in questo ambito è d’obbligo far riferimento a colleghi e colleghe che lavorano in strutture adeguatamente equipaggiate.

Consulenza nutrizionale a distanza. Come funziona?
Ogni professionista ha com’è ovvio le proprie preferenze e modalità.
In genere il contatto con i famigliari degli animali o con colleghi e colleghe curanti avviene via mail o al telefono.
Serve a capire quali sono le richieste e le esigenze e a decidere se è possibile proseguire fissando la consulenza. Oppure se si tratta di situazioni che richiedono una visita clinica urgente, alla quale si rimanda.
Se si può proseguire verrà fissato un appuntamento in modalità video o telefonica, in base alla scelta del professionista e/o del cliente.
A quel punto in genere viene richiesta la compilazione di questionari e formulari dettagliati, che consentono di raccogliere in via preliminare l’anamnesi.
Con particolare riferimento a quella nutrizionale: cosa e quanto mangia l’animale, cosa ha mangiato in precedenza, se vive con altri animali, quali sono i suoi gusti e molte altre cose ancora!
Anche la documentazione clinica verrà richiesta ed esaminata con attenzione. Esami del sangue recenti e passati, referti diagnostici o specialistici, foto, video. Tutto quello che può servire a ricostruire la storia e la situazione clinica del paziente.
Una volta arrivato il momento dell’appuntamento ci si collega con il medico veterinario nutrizionista nella modalità stabilita e inizia l’avventura!
Perché elaborare un piano nutrizionale è un lavoro fatto “a misura” del singolo paziente e della sua famiglia e richiede monitoraggio costante.
Gli animali, proprio come noi, cambiano nel tempo e in ogni fase di vita hanno necessità, anche nutrizionali, differenti di cui tenere conto.
Il segreto? Scegliere il nutrizionista che fa per noi.
La nutrizione veterinaria è un ambito che ha suscitato e continua a suscitare grande attenzione ed interesse.
Sono molte oggi le figure professionali che se ne occupano a vario titolo e in modi diversi e non sempre si tratta di medici veterinari.
La scelta dovrà sempre orientarsi verso professionisti di indubbia preparazione ed esperienza.
Il medico veterinario è l’unica figura “autorizzata” ad occuparsi di nutrizione in corso di patologia. Ma anche nel caso di cuccioli o gattini in accrescimento, di condizioni fisiologiche particolari come la gravidanza o l’allattamento e non solo, confrontarsi con professionisti con una preparazione medica alle spalle può fare la differenza.
E più di ogni altra cosa quello che conta è trovare un professionista con il quale creare una relazione di stima e fiducia. Nutrire un animale non è solo mettere un cibo piuttosto che un altro in una ciotola.
Molte cose, anche intangibili eppure preziose nel processo di cura come le emozioni, passano attraverso l’atto del nutrire.
Per questo è così importante creare relazioni di valore con il medico veterinario nutrizionista (e non solo!), basate su stima e rispetto umano e professionale.
La dieta può anche essere ben formulata, ma solo se la prepariamo e la offriamo con amore e fiducia sarà davvero perfetta!
Articolo della dott.ssa Cinzia Ciarmatori, DMV
- Pubblicato il Cinzia Ciarmatori
L’alimentazione in oncologia veterinaria
Quando un animale è affetto da malattia tumorale c’è bisogno di sostenere al meglio tutto l’organismo. Il primo alleato che ci viene incontro è l’alimentazione.
Che dieta possiamo scegliere in corso di neoplasia? Qual è il ruolo dell’alimentazione in oncologia?
I tumori in medicina veterinaria e l’alimentazione in oncologia
Purtroppo anche ai nostri animali capita di ammalarsi di tumore.
Quello della diagnosi è sempre un momento molto difficile e delicato, sia per loro che per la loro famiglia.
A volte i tumori si manifestano in maniera molto evidente, mentre altre volte i sintomi sono subdoli e servono vari percorsi diagnostici prima di riuscire ad avere una diagnosi definitiva.
Tutte queste situazioni, insieme allo stress della famiglia (ricordiamoci sempre che gli animali percepiscono le nostre emozioni!) possono sicuramente portare ad un risentimento da parte dell’intero organismo. Con conseguente indebolimento del sistema immunitario, peggioramento del quadro clinico complessivo e degli eventuali effetti collaterali di alcune terapie.
Le terapie mirate a sconfiggere o rallentare i tumori, come in medicina umana, prevedono a volte la chirurgia, a volte la chemioterapia, a volte la radioterapia. Altre volte una combinazione di alcune o tutte e tre.
Per quanto i farmaci chemioterapici in medicina veterinaria diano meno effetti collaterali di quelli che pensiamo e ci aspettiamo, si tratta comunque di farmaci molto potenti. Possono indebolire l’organismo ed il sistema immunitario e provocare qualche disturbo. Inoltre, se partiamo con un sistema immunitario più debole o con una flora intestinale meno forte e sana, potremmo avere effetti collaterali più marcati ed evidenti.
Ecco perché una dieta studiata a misura di paziente e della sua malattia neoplastica può sicuramente venirci in aiuto. Vediamo come.
L’alimentazione in oncologia e la dieta individualizzata
Partendo dal presupposto che ogni animale è un individuo diverso da tutti gli altri, che possono essere presenti altre patologie concomitanti e che ogni tumore è diverso sia per la sua natura che per gli effetti che può provocare sull’organismo, possiamo fare molto con una dieta naturale.
La dieta naturale (casalinga o Barf, vedremo meglio più avanti) ci permette di adattare la dieta ad ogni singola necessità del nostro animale. Tenendo sempre in considerazione tutte le sue caratteristiche e modulando ingredienti, quantità ed integrazioni in base alle esigenze di quello specifico momento. La dieta infatti si può sempre modificare al variare delle condizioni generali!
In caso di malattia oncologica, come si evince da molti studi in medicina umana, potrebbe essere particolarmente indicata una dieta chetogenica.

La dieta chetogenica (o simil chetogenica)
La dieta chetogenica prevede che l’energia che traiamo dagli alimenti derivi principalmente dai grassi e, in minor percentuale, dalle proteine. Contrariamente a quanto avviene generalmente, quando il glucosio dei carboidrati fornisce la maggior parte dell’apporto energetico all’organismo.
I carboidrati, in questo tipo di dieta, non vengono utilizzati se non in piccolissima percentuale e solo di determinate tipologie. In questo modo il corpo formerà a partire dai grassi i cosiddetti corpi chetonici (da qui il nome della dieta), non avendo a disposizione il glucosio.
Questo risulta molto utile in corso di malattia neoplastica: molti tumori, infatti, utilizzano il glucosio come nutrimento. Quindi meno gliene daremo con l’alimentazione, meno saranno in grado di nutrirsi e crescere.
Inoltre, il picco di insulina che si crea dopo il pasto sembra sia associato all’innalzamento di alcuni fattori che stimolano la crescita tumorale.
In medicina veterinaria è difficile adattare al cento per cento il modello di dieta chetogenica utilizzato in umana. Per questo infatti si parla di dieta simil chetogenica. Un esempio può essere una dieta casalinga senza carboidrati con un’alta percentuale di grassi.
Questi grassi, oltre ad essere introdotti gradualmente e sempre verificando la risposta dell’animale, non saranno scelti a caso: prediligeremo sempre acidi grassi a corta e media catena. Come l’olio di cocco o l’MCT oil, in quanto più digeribili e con numerose proprietà benefiche per tutto l’organismo (qui potete approfondirne le proprietà).
La dieta BARF
La dieta BARF sembrerebbe perfetta per soddisfare tutti i requisiti di una dieta chetogenica, dal momento che è composta principalmente da grassi e proteine e non prevede l’utilizzo di carboidrati.
Purtroppo però se l’animale deve effettuare dei trattamenti chemioterapici non è consigliabile a causa della possibile depressione del sistema immunitario (Ne abbiamo parlato in questo articolo).
Tumori e disbiosi: il ruolo dell’alimentazione in oncologia
Spesso al tumore è associata anche la disbiosi, ovvero l’alterazione del microbiota (la cosiddetta flora intestinale). Alcuni tipi di tumori gastroenterici sono strettamente collegati a stati di enteropatia cronica e disbiosi: i tumori si nutrono di infiammazione, e dove c’è infiammazione c’è più probabilità di sviluppo neoplastico.
Forme croniche di enteropatia a grande componente infiammatoria possono nel tempo predisporre all’insorgenza di tumori, proprio come avviene in medicina umana.
Una delle prime cose da fare sarà prendersi cura del microbiota, per ristabilire l’equilibrio dell’apparato gastroenterico ma anche di tutto l’organismo e del sistema immunitario (ne abbiamo parlato anche qui).
Il miglior modo per nutrire il microbiota è attraverso la giusta alimentazione. Sappiamo quanto anche per noi una dieta sana e naturale possa fare la differenza sotto molti punti di vista, rinforzando l’intestino, il microbiota e migliorando la salute di tutto l’organismo.
Possono venirci in aiuto anche i probiotici, ovvero i fermenti lattici, che saranno sempre scelti e valutati per ogni singolo animale e per le sue esigenze.
Integrazioni per l’alimentazione in oncologia
Per sostenere al meglio l’organismo affetto da malattia tumorale, soprattutto se si devono affrontare terapie, ci sono molte integrazioni che possiamo prendere in considerazione.
Prime fra tutte gli Omega 3, dal potente effetto antinfiammatorio (vediamoli meglio qui).
A seconda del tumore, dello stadio della malattia e delle esigenze dell’animale, saranno un grande supporto anche antiossidanti (vitamina E e C), melatonina, vitamina D, prebiotici e probiotici per il benessere intestinale, curcuma ed altri fitoterapici (Puoi approfondire in questo articolo).
Fino ad arrivare anche alla cannabis medicinale, utile non solo per il controllo del dolore ma anche in caso di nausea indotta sia dal tumore stesso che dai farmaci (le proprietà della cannabis medicinale sono moltissime, ne abbiamo parlato qui).
Qualche considerazione
Non arrendiamoci mai davanti ad una brutta diagnosi, si può sempre fare molto per aiutare il nostro animale a stare bene e sostenerlo al meglio.
Ricordiamoci che la cosa più importante per il suo benessere è la qualità della vita, e un’ottima ciotola è sempre un momento di gioia!
Articolo della dott.ssa Camilla Marchetti, DMV
- Pubblicato il Camilla Marchetti
Cibo monoproteico per cani
In questo articolo parliamo di cibo monoproteico per cani, spiegando a chiare lettere cosa è, quali sono i suoi vantaggi, quali si suoi svantaggi e quando darlo al nostro cane.
Il cibo monoproteico per cani è un tipo di alimento sempre più diffuso nell’alimentazione del cane che consiste, come dice il nome appunto, in un alimento composto con una sola fonte proteica.
Il cibo monoproteico può essere utilizzato per la diagnosi di reazioni avverse al cibo nel cane. Viene suggerito infatti da molti colleghi e colleghe, quando il nostro cane presenta feci molli ricorrenti, vomito o sintomatologia dermatologica come prurito. Approfondiamo però meglio l’argomento, perché pur essendo molto diffuso, sono molti i punti che forse sfuggono ai più.
Che cosa è il cibo monoproteico
Quando si parla di alimento monoproteico, si fa riferimento alla fonte proteica maggiormente rappresentata nel cibo, che deve essere appunto unica. Spiego meglio: se abbiamo di fronte un cibo monoproteico al maiale, questo dovrà contenere come unica fonte proteica di origine animale il maiale. Potrebbe però contenere altri alimenti, come ad esempio il frumento, che pur contenendo anche proteine, non ne apportano una quota importante nel complesso.
Ad esempio quindi il medesimo alimento viene considerato monoproteico se contiene maiale come unica fonte di proteine, anche se vengono integrati piselli all’interno, anche essi ricchi di proteine, ma non di origine animale.
Altro aspetto fondamentale da controllare quando scegliete un cibo monoproteico è che anche la fonte di grassi sia concorde alla proteina scelta. Nel nostro esempio precedente quindi è bene che sia indicato come fonte di grassi “grasso suino”. Questo perché se fosse presente grasso di pollo questo potrebbe apportare anche piccole quote di proteine di pollo, in grado di scatenare una reazione avversa in alcuni cani.

Vantaggi del cibo monoproteico
I vantaggi del monoproteico sono molti. A causa infatti di un aumento importante dell’incidenza di reazioni avverse al cibo nei nostri cani, accade sempre più frequentemente che vi siano risposte di tipo “allergico” agli alimenti. Dare un alimento monoproteico quindi ci consente, nel caso il nostro cane migliorasse, di relazionare la sintomatologia con l’alimento.
Se quindi ad esempio la diarrea migliora dopo introduzione di un alimento monoproteico, parleremo di diarrea responsiva all’alimento. La prova definitiva la abbiamo se reintroducendo altri alimenti, il nostro cane dovesse tornare ad avere la sintomatologia presentata in precedenza.
Al momento in commercio si trovano tanti e diversi tipi di monoproteici. Fonti proteiche più comuni, come maiale e pesce, ma anche quelle più rare, come cervo, soia e insetti. Questo ci permette nel caso il nostro cane non vada bene con un cibo monoproteico, di provarne altri, in modo da emettere la diagnosi.
Svantaggi del cibo monoproteico
Vi sono però degli svantaggi nel dare cibo monoproteico, quanto meno per lunghi periodi. In medicina umana infatti si è sempre detto, dai tempi di Ippocrate, come la dieta più sana fosse quella fresca e variata. Metto l’accento sull’ultima parola soprattutto, ovvero variata.
La variabilità è fondamentale nella dieta di tutti gli esseri viventi e questo la scienza ce lo sta dimostrando sempre di più. Oltre ad avere un’importanza etologica infatti, variare permette di evitare accumuli di sostanze tossiche eventualmente presenti negli alimenti. Mangiare tutti i giorni un monoproteico al pesce ad esempio potrebbe predisporre ad accumulo di metalli pesanti. Ma anche il maiale ha certamente le sue sostanze tossiche di accumulo e così dicasi per tutti i cibi.
Inoltre mangiare variato stimola la variabilità a livello di microbiota intestinale e questo lo sappiamo per certo da studi scientifici. Mangiare al contrario tutti i giorni un medesimo cibo porta ad un impoverimento della microflora, con conseguenti patologie cronico degenerative.
Quando dare cibo monoproteico
Come abbiamo visto sopra, le evenienze più comuni per cui si prescrive un cibo monoproteico sono diarrea, vomito o prurito, tutti sintomi di possibile reazione avversa al cibo.
Il cibo monoproteico quindi dovrebbe essere dato principalmente a scopo diagnostico (dieta privativa). Questo vuol dire utilizzarlo per un periodo di tempo che va dalle 4 alle 8 settimane, sotto supervisione medico veterinaria, al fine di avere una diagnosi di reazione avversa al cibo. Una volta terminato questo periodo di tempo, bisognerebbe sempre tornare a variare l’alimentazione, ovviamente evitando gli alimenti che sappiamo provocare sintomatologia.
Vi stimolo quindi a non rimanere per periodi troppo lunghi su un medesimo alimento, a meno che ovviamente il vostro medico veterinario non lo ritenga utile nel vostro specifico caso.
Se invece amate dare monoproteici al vostro cane per fargli provare gusti diversi, questo va benissimo per il suo microbiota e la salute in generale. L’accortezza però fondamentale da rispettare è quella di “mettervi da parte” sempre almeno una fonte proteica. Ad esempio, scegliete di non dare mai al vostro cane un cibo monoproteico al cervo e/o al maiale. Provate pure altri gusti come pesce, coniglio, pollo etc. ma non date mai né premietti né cibo a base delle fonti proteiche scelte. In questo modo, un domani, quando il vostro Medico Veterinario nutrizionista avrà bisogno di fonti proteiche mai provate in precedenza per eseguire una dieta privativa, avrete l’asso da tirare fuori dalla manica!
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Articolo della dott.ssa Maria Mayer, DVM per Kodami
- Pubblicato il Maria Mayer
Cannabis terapeutica in medicina veterinaria
La Cannabis terapeutica è una pianta ricca di proprietà medicinali, anche in Medicina Veterinaria. In questo articolo approfondiamo brevemente la parte di botanica, del sistema endocannabinoide che permette il suo utilizzo medicinale e delle proprietà terapeutiche di questa pianta.
La Cannabis terapeutica è una pianta ricca di principi attivi, tra i quali ritroviamo i Fitocannabinoidi. La Cannabis è usata da secoli per i suoi effetti terapeutici, ma il suo utilizzo in medicina è stato a lungo limitato per il timore di effetti collaterali di tipo psicotropo. Negli ultimi anni si sta però rivalutando la sua utilità per diverse patologie, sia in campo medico che medico veterinario.
La Cannabis fa parte della famiglia delle Cannabinacee, e di queste piante sono conosciute e utilizzate tre specie: la Cannabis sativa, la Cannabis indica e la Cannabis ruderalis.
È stata sfruttata fin dall’antichità, soprattutto nel continente asiatico ed in Sud America, a scopo terapeutico, ma non solo. La Cannabis infatti veniva molto utilizzata anche in Italia nell’industria del tessile, per produrre stoffe e corde utilissime durante l’espansione delle Repubbliche Marinare. Vediamo un po’ di che si tratta.
Cannabis terapeutica. Un po’ di botanica
La tassonomia ufficiale suddivide la Cannabis in tre specie: la C. sativa è la specie più coltivata in occidente, alta fino a tre metri e con foglie più strette. La C. indica, una specie selvatica proveniente dall’India, più bassa ma con un maggior numero di rami e foglie più ampie. Infine la C. ruderalis.
Gli ultimi studi però portano a pensare che esista una unica specie di Cannabis, la C. sativa, che include due sottospecie (la C. indica e la C. ruderalis) e diverse varietà.
Il sistema endocannabinoide
Perché i principi attivi della Cannabis abbiano effetto, è necessario che nell’organismo siano presenti i recettori per questi composti: e infatti, nell’organismo dei mammiferi ne sono presenti tantissimi!
La natura non ci ha fornito questi recettori appositamente per i principi attivi della Cannabis: è il nostro stesso organismo (e quello dei nostri animali) che produce molecole in grado di legarsi a questi recettori.
Queste molecole prendono il nome di Endocannabinoidi. I principi attivi della Cannabis hanno una struttura simile a queste molecole, e sono in grado perciò di combinarsi con i recettori presenti in un organismo.
Uno degli Endocannabinoidi è stato chiamato Anandamide. Un nome che deriva dal termine sanscrito Ananda, che significa beatitudine, proprio per l’effetto che è in grado di produrre.

Cannabis medicinale e fitocomplesso
Il fitocomplesso è l’insieme dei componenti chimici presenti nella pianta, responsabili della sua attività terapeutica. Nella Cannabis ritroviamo prevalentemente i Fitocannabinoidi. Ne esistono più di 140, ma i principali e più conosciuti sono il CBD (Cannabidiolo) ed il THC (Tetraidrocannabinolo). Vale la pena ricordare anche il CBG (Cannabigerolo).
La percentuale di Fitocannabinoidi varia notevolmente in base alla varietà di Cannabis interessata.
Le varietà di C. sativa, maggiormente coltivata in Europa e Nord America, hanno un basso potenziale tossico grazie alla concentrazione contenuta di THC, e all’alto tasso di CBD presente.
THC
Il THC è considerato il responsabile dell’effetto psicoattivo della Cannabis, ma nel giusto dosaggio presenta anche importanti attività terapeutiche. Il THC infatti è importante per la sua azione antidolorifica, aiuta in corso di nausea e vomito, tiene sotto controllo l’ansia e stimola l’appetito. Pensiamo a quanto possano essere utili queste azioni in alcuni pazienti, come gli oncologici, anche per tenere sotto controllo gli effetti collaterali di una chemioterapia.
CBD
Il CBD non presenta nessuna attività psicoattiva, e dunque da questo punto di vista è totalmente innocuo.
Presenta invece importanti attività antipsicotiche, rilassanti e neuroprotettive.
Ha inoltre azione anticonvulsivante, antinfiammatoria e analgesica e, secondo alcuni studi, anche antitumorale. Utilizzando varietà in cui il CBD è maggiormente presente, verranno mitigati gli effetti collaterali di tipo psicotropo che possono essere causati dal THC.
Terpeni e Flavonoidi
La Cannabis contiene anche altri principi attivi, diffusi anche in tante altre specie vegetali, che lavorano in sinergia con i Fitocannabinoidi potenziandone alcuni effetti o mitigandone altri.
I Terpeni ad esempio hanno attività analgesica, e quindi potenziano l’attività antidolorifica di THC e CBD. I Flavonoidi hanno una importante attività antiossidante e antinfiammatoria, ma anche antivirale ed antiallergica.
Le varietà terapeutiche
La Cannabis terapeutica non si trova negli shop di Cannabis light e men che meno proviene da traffici illeciti.
La resistenza che si incontra in ambito medico nasce forse da questo equivoco, ma le varietà utilizzate in medicina provengono da farmacie, che a loro volta le acquistano da fornitori autorizzati. Nel caso delle varietà coltivate in Italia ad esempio questo avviene sotto la supervisione dell’esercito. Devono rispettare precise concentrazioni di THC e CBD e se non risultano adeguate, le coltivazioni vengono direttamente distrutte.
Le varietà terapeutiche coltivate in Italia prendono il nome di FM1 ed FM2 e sono due varietà di Cannabis sativa. La nostra produzione nazionale non è purtroppo sufficiente per la richiesta di tutti i pazienti, umani e non, e dunque importiamo diverse varietà anche dall’Olanda e, in minor misura, dal Canada.
Le diverse varietà presentano concentrazioni differenti di principi attivi (THC e CBD, ma anche terpeni e flavonoidi), e possono essere utilizzate quindi per scopi diversi. Il medico veterinario potrà scegliere quale varietà prescrivere in base alla patologia e all’effetto che desidera ottenere sul paziente (ad esempio, serve più un effetto antidolorifico, o antiemetico? O magari anticonvulsivante?). Quando il medico veterinario avrà deciso quale varietà prescrivere, sarà poi compito del farmacista preparare il farmaco galenico ad hoc per ogni singolo paziente.
Un aiuto importante
Concludendo, la Cannabis terapeutica rappresenta per molti pazienti un aiuto indispensabile.
Non è certo la panacea per tutti i mali, ma i suoi molteplici effetti positivi vanno senz’altro tenuti in considerazione, nonostante la diffidenza che suscita ancora.
Articolo della dott.ssa Silvia Bernabucci, DMV
- Pubblicato il Silvia Bernabucci
Allergie e intolleranze alimentari nel cane
Sempre più cani soffrono di allergie o intolleranze alimentari. In questo articolo vediamo quali sono le differenze fra allergie e intolleranze, quali sono le razze predisposte, come capire se il vostro cane ne soffre e i rimedi utilizzabili.
Non abbiamo mai visto tanti cani con allergie e intolleranze alimentari come negli ultimi anni, ne parliamo spesso con le colleghe con cui collaboro. Sicuramente sarà qualcosa che anche i lettori hanno notato: sono sempre di più i cani che hanno problemi con uno o più alimenti. Incredibile, un’epidemia, almeno ai miei occhi, non se ne vedevano tanti fino a 5-10 anni fa.
I sintomi delle allergie e intolleranze possono essere fra i più vari e vanno dalla nausea mattutina, al vomito, alla diarrea o sintomi più blandi come il mangiare erba o avere poche energie. In questo articolo approfondiamo il tema in modo che sappiate riconoscerle e come agire quando il vostro cane ha un’allergia o un’intolleranza.
Differenze fra allergie e intolleranze
Spesso nel linguaggio comune allergia e intolleranza alimentare vengono confuse e in effetti come vedremo nel cane i sintomi sono abbastanza simili. In realtà però allergie e intolleranze sono due entità ben diverse e in medicina veterinaria vengono raggruppate sotto il nome generico di “reazioni avverse al cibo” (RAC).
Nell’allergia alimentare infatti il sistema immunitario del cane viene attivato da una sostanza estranea (chiamato antigene), in questo caso un alimento. L’attivazione del sistema immunitario produce una serie di eventi, con produzione di infiammazione massiva che segue quindi l’introduzione di uno specifico alimento.
Fra le razze maggiormente predisposte ad allergia dobbiamo certamente citare i Bracchi di Weimar.
Nel caso dell’intolleranza invece non abbiamo un’attivazione del sistema immunitario in genere. Sono un esempio di intolleranza il dare lattosio ad un cane adulto, che non ha più enzimi per digerirlo e che quindi porta a diarrea e sintomi intestinali legati ad una cattiva digestione. Oppure altro esempio quello dei cani di razze “ancestrali” (Akita, Shiba, Cane Lupo Cecoslovacco e altri) che non digeriscono gli amidi ed hanno quindi problemi di digestione con riso, pasta o patate.
In realtà poi esistono tutta una serie di altre situazioni nel cane, classificabili come “leaky gut” (letteralmente intestino gocciolante) ovvero alterazioni della barriera intestinale, legate a disbiosi, che non sono né allergie né vere e proprie intolleranze. In questa categoria rientrano la maggior parte dei cani in realtà con problemi legati all’alimento, dato che si stima che solo un 5% delle reazioni avverse al cibo nel cane siano allergie. Le razze predisposte a disbiosi e quindi a leaky gut sono tantissime e includono tutte quelle citate in precedenza, più Pastore Tedesco, in pole position, e a seguire Barboncino, Maltese, Alani e molte altre.
Come capire se il cane ha allergie o intolleranze
I sintomi delle allergie e delle intolleranze alimentari nel cane sono in generale simili, per quelle vengono catalogate assieme come reazioni avverse al cibo. Abbiamo infatti come sintomi più caratteristici:
- Vomito
- Feci molli, feci abbondanti o feci liquide
- Mangiare erba
Le allergie però hanno dei sintomi che in generale mancano nelle intolleranze, che sono quelli cutanei: prurito, ponfi e bolle, dermatite interdigitale e rossore diffuso della cute.
Un sintomo invece più caratteristico (ma non unico) delle intolleranze sono le coliche intestinali. Quando qualcosa non viene digerito infatti a livello intestinale rimane a fermentare e quindi può procurare coliche al nostro cane.
Per la diagnosi di allergia o intolleranza alimentare, noi Medici Veterinari proponiamo dei percorsi che vengono chiamate “diete di eliminazione” o diete restrittive. Durante un periodo quindi il vostro cane dovrà mangiare solo un tipo di alimento ben preciso, composto da proteine idrolisate (rotte, non capaci di provocare allergie), oppure alimenti commerciali monoproteici o (meglio di tutto) diete fresche monoproteiche. Tutto, anche i premietti, dovrà essere strettamente controllato. Dopo il periodo diagnostico di 2 mesi, potremo sapere se il vostro cane ha una reazione avversa al cibo, allergia o intolleranza che sia.
Poco utili sono invece i test delle allergie come si utilizzano invece in umana, dato che come abbiamo visto nel cane i veri allergici sono una piccolissima percentuale e il test fra l’altro non risulta attendibile.

Rimedi per allergie e intolleranze nel cane
Il primo rimedio per una allergia o intolleranza alimentare ovviamente è individuare e eliminare l’alimento o gli alimenti che provocano il problema al vostro cane. Inutile quindi continuare a dare amidi nelle razze che non hanno possibilità di digerirli: provocheremo solo infiammazione cronica, con conseguente disturbo grave a livello intestinale del povero cane. Lo stesso dicasi per le allergie.
Il problema è che nella maggior parte dei casi come abbiamo visto le reazioni avverse al cibo nel cane sono legate a intestino permeabile (leaky gut). Dobbiamo quindi occuparci, oltre ad allontanare l’alimento incriminato, anche di “rimettere a posto” l’intestino. Per questo serve un lavoro individualizzato con un esperto, ma in generale ci sono alcuni trucchi che possono essere utili.
Ad esempio, gli acidi grassi essenziali Omega-3, che hanno azione antinfiammatoria intestinale. Molto utile anche la curcuma, ma da usare con cautela in caso il vostro cane abbia problemi epatici. Fondamentale anche l’utilizzo di trigliceridi a media catena (MCT oil) che hanno funzione di riparare l’intestino, evitando quindi che si creino ulteriori allergie o intolleranze.
Articolo della dott.ssa Maria Mayer per Kodami
- Pubblicato il Maria Mayer
I cani possono mangiare il formaggio?
Noi italiani li amiamo tanto e ne abbiamo mille tipi, ma i cani possono mangiare il formaggio? In questo articolo approfondiamo la questione dei diversi tipi di formaggio, della loro composizione e formulazione, quale formaggio dare e quanto darne al nostro cane.
Una delle domande che chiunque si è posto almeno una volta è se i cani possono mangiare il formaggio.
Dopo aver sottolineato, come sempre, che ogni cane è unico e la persona più adatta a consigliare un determinato regime alimentare è il vostro medico veterinario esperto in nutrizione, vediamo di riassumere i concetti più importanti per capire se sia giusto o sbagliato dare formaggio ai nostri cani.
I cani possono mangiare iI formaggio? Partiamo da classificazione e composizione
Il formaggio è un prodotto derivato dalla coagulazione del latte.
Una sua classificazione viene fatta in base alla consistenza: esistono formaggi a pasta molle, semidura e dura.
La sua composizione chimica invece dipende da quella del latte di partenza, che può essere di pecora, di capra, di mucca e di bufala.
I grassi e le proteine, quindi, sono variabili e così anche le proprietà alimentari: esistono formaggi più o meno grassi, quindi più calorici dal punto di vista nutrizionale.
Prima di analizzare le esigenze dei nostri amici, occorre ricordare cos’è il lattosio: si tratta di uno zucchero presente nel latte e di conseguenza nel formaggio.
Tutti i mammiferi, che si nutrono di latte durante lo svezzamento possiedono fin da piccoli la lattasi, un enzima in grado di permettere la digestione del lattosio. Alcuni riescono a mantenere nel corso della vita questa capacità di digerirlo, altri invece possono perderla e diventare quindi intolleranti al lattosio.
Questa intolleranza si può sviluppare anche nel nostro cane ed è facile da riconoscere perché provoca disturbi intestinali, quali meteorismo, flatulenza, feci molli, costipazione, nausea e persino vomito, quindi facciamo attenzione!

Il formaggio è indispensabile nella dieta del nostro cane?
Da un punto di vista nutrizionale i cani sono definiti carnivori opportunisti, hanno quindi una ottima capacità di digestione di proteine e grassi. Non per questo però possiamo affermare che la loro dieta possa essere costituita unicamente da latticini.
Il formaggio non è sicuramente un alimento che, da solo, può costituire la base dell’alimentazione del cane.
Tuttavia, inserirlo come alimento complementare può costituire un arricchimento nutrizionale e di gusto.
Quale formaggio dare al nostro cane?
Essendo il formaggio un alimento abbastanza ricco di grassi, integrarlo regolarmente nella dieta del nostro cane potrebbe causare un aumento di peso. Bisogna quindi fare attenzione a non esagerare nelle quantità.
Pertanto è meglio scegliere formaggi magri come la ricotta, meglio ancora se “grass-fed” ossia ottenuti da animali allevati al pascolo e nutriti “ad erba”.
Altri formaggi che possiamo offrire al nostro cane sono:
– yogurt (da preferire le varianti bianche al naturale, senza zuccheri aggiunti)
– parmigiano, grana
– fiocchi di latte
– caciotte fresche di latte vaccino, pecorino, caprino o miste (esse rientrano però nei formaggi grassi e andrebbero offerte in minime quantità sporadicamente).
Da evitare tutti i formaggi piccanti o fortemente speziati.
I formaggi erborinati come ad esempio il gorgonzola, oltre ad essere molto grasso, risulta essere poco gradito al cane e può dare luogo ad effetti tossici in alcuni casi!
Quando ed in che modo è meglio somministrare il formaggio al nostro cane?
Il formaggio può essere utilizzato come appetizzante da aggiungere alla pappa oppure come trucco per favorire l’assunzione di farmaci o integratori.
Un’altra buona idea è quella di trasformare il formaggio in uno snack, oppure in un premio da offrire al nostro cane durante le attività di gioco.
Possiamo quindi concludere che, se i nostri amici a quattro zampe tollerano bene i latticini, il modo migliore per mantenerli in salute è somministrare formaggio con moderazione, utilizzandolo ad esempio come snack all’interno di una dieta completa e bilanciata.
Articolo della Dr.ssa Laura Mancinelli, DVM
- Pubblicato il Laura Mancinelli