Leishmaniosi: aiutare con l’alimentazione e un approccio integrato
La Leishmaniosi è una malattia che affligge diversi animali, ancora purtroppo troppo presente sul nostro territorio. Chi vive con un malato di Leishmaniosi sa quanto può essere difficile e a volte frustrante avere il proprio compagno di vita a 4 zampe positivo a questa malattia.
In questo articolo farò un piccolo excursus sul mondo della Leishmaniosi, soffermandomi maggiormente su quanto una corretta alimentazione e un approccio integrato possano essere di grande supporto per i nostri animali.
Cos’è la Leishmaniosi?
La Leishmaniosi è una malattia parassitaria causata da un protozoo, generalmente il responsabile è Leishmania infantum.
Questo protozoo viene trasmesso dalla puntura del pappatacio, un piccolissimo flebotomo che agisce principalmente dopo il tramonto, perché è un ematofago notturno.
La malattia ha un decorso molto lento, i sintomi clinici possono essere svariati, magrezza, letargia, pallore delle mucose, problemi cutanei come presenza di scaglie, forfora e ulcere, onicodistrofia, epistassi, zoppia, epatomegalia, splenomegalia, glomerulonefrite, uveite ecc.
Anche gli esami di laboratorio possono rilevare diverse anomalie come anemia, leucopenia, iperproteinemia, aumento degli enzimi epatici, e presenza di proteine nelle urine.
Questa moltitudine di sintomi clinici e di alterazione ematologiche, possono portare ahimè ad una diagnosi tardiva.
Perché la Leishmaniosi non si manifesta sempre nello stesso modo?
Una piccola premessa importante, non tutti i cani infetti si ammalano, il parassita può rimanere in forma latente e non provocare segni clinici né alterazioni ematobiochimiche, a meno che i titoli anticorpali non crescano.
Altri cani invece una volta entrati in contatto con questo protozoo, vanno incontro alla sua proliferazione sviluppando la malattia.
Le diverse reazioni dell’organismo dipendono dal tipo di risposta immunitaria e dalla sua efficienza.
Il sistema immunitario potrà rispondere in due modi:
- Con una risposta umorale, che è responsabile della progressione della malattia a causa della formazione di Immunocomplessi.
- Con una risposta cellulo-mediata attraverso la quale l’animale rimarrà infetto ma non svilupperà la malattia.
Come scegliere il giusto apporto nutrizionale e le integrazioni?
Quando un veterinario nutrizionista deve formulare una dieta per un cane affetto da Leishmania, dovrà prendere in considerazione la sintomatologia clinica e le alterazioni ematobiochimiche, per poterla cucire così in modo sartoriale.
Sarà importantissimo utilizzare una dieta ad elevata digeribilità che conterrà delle proteine ad alto valore biologico, queste oltre ad essere la fonte principale di sostentamento nel cane, aiuteranno a rafforzare il sistema immunitario.
Per quanto riguarda la quantità di proteine da usare sarà necessario basarsi sulle analisi e valutare il grado, se presente, di nefropatia. Inoltre sarà necessario valutare anche lo stato di cachessia dell’animale e valutare il possibile rischio di urolitiasi in corso di terapia con allopurinolo.
Sarà importante anche rendere i pasti appetibili, in quanto la maggior parte dei soggetti affetti da Leishmania sono anoressici ed hanno anche tanta nausea. Un’arma vincente potrebbe essere utilizzare dei grassi animali, come il ghee o lo strutto, che sono sempre molto apprezzati.
Nella nostra dieta non potranno mai mancare Vitamina C, Vitamina E ed Omega-3.
Vitamina C e Vitamina E, sono gli antiossidanti per eccellenza, usati spesso in associazione.
- La vitamina C: Potente antiossidante, adatta soprattutto per contrastare stress ossidativi, inoltre è un aiuto essenziale per il sistema immunitario.
- La Vitamina E: Anche questa ottimo antiossidante, adatta soprattutto in corso di problemi legati al fegato, al cervello e alla cute.
- Omega Tre (EPA e DHA): hanno una potente azione antinfiammatoria, oltre ad avere un’azione benefica sulla cute, sui reni e a livello cardiaco.
E lo Zinco?
Lo zinco è un oligoelemento essenziale, è infatti responsabile di una lunga serie di reazioni ed interazioni con l’organismo che si possono considerare “terapeutiche”.
In medicina umana è stata dimostrata la sua efficacia in malattie infiammatorie croniche, compresa la Leishmaniosi.
Ha una azione Leishmanicida in quanto inibisce alcuni enzimi necessari per il metabolismo del parassita ed ha anche una azione immunomodulante, infatti sembra essere in grado di stimolare maggiormente la risposta immunitaria cellulo-mediata, che come abbiamo spiegato prima è essenziale affinchè non si instauri la malattia.
Da non sottovalutare anche l’effetto positivo della sua integrazione sulle dermatopatie, purtroppo spesso presenti in corso di Leishmania.
Esistono anche dei funghi medicinali con azione immunomodulante, quindi capaci di orientare verso la risposta immunitaria corretta, come ad esempio L’Agaricus Blazei Murril (ABM) e il Cordyceps Sinensis.
In Fitoterapia invece di particolare interesse risulta essere La Genziana Lutea, per il suo potere Leishmanicida.
La Genziana Lutea è una pianta officinale di antico utilizzo.
I principali componenti del fitocomplesso sono amarogentina e genziopicroside. La Amarogentina è capace di bloccare la replicazione del protozoo, agisce inibendo l’azione della DNA Topoisomerasi I.
In conclusione
Per concludere possiamo affermare che con l’alimentazione e le giuste integrazioni riusciamo a potenziare l’azione dei farmaci tradizionali, agendo così in sinergia.
Affidatevi sempre ad un medico veterinario esperto, per essere seguiti nel miglior modo possibile riducendo al minimo i possibili effetti collaterali.
Articolo della dott.ssa Francesca Parisi, DMV
- Pubblicato il Francesca Parisi
I gigli sono tossici per il gatto?
Le piante del genere Lilium sono tossiche per il gatto, anche in piccolissime quantità.
Vediamo quindi cosa succede e soprattutto cosa fare per agire tempestivamente in caso il vostro gatto ne ingerisca qualche foglia o fiore.
I Lilium sono delle piante bulbose, definite comunemente Gigli, che si coltivano industrialmente per la produzione di fiori recisi, ma che possono essere presenti nelle nostre case come piante indoor. Il fatto che ai nostri climi normali siano delle piante tenute in casa purtroppo espone sempre di più i nostri gatti ad intossicazione acuta legata all’ingestione di questa pianta. Infatti, per quanto belli, i gigli presentano una velenosità molto elevata e la loro ingestione può causare nel gatto un danno renale acuto, anche molto grave. Vediamo quindi quali tipi di gigli sono tossici e cosa succede se il nostro gatto ne mangia.
Quali gigli sono tossici per i gatti
Già dall’inizio degli anni 90, diversi report di tossicità hanno identificato le piante del genere Lilium (e Hemerocallis, molto simili come apparenza) come altamente tossiche per il gatto. Non è solamente una specie in particolare, infatti, ad essere tossica (il primo report riguardava L. longiflorum), ma sembra che tutte le specie di Gigli debbano essere considerate come nefrotossiche per il gatto domestico.
Le tossine specifiche responsabili della nefrotossicità del Giglio nel gatto non sono ancora state identificate, ma sappiamo che sono localizzate in tutta la pianta (fiori e foglie). In effetti, è stata riportato un esito fatale dopo l’ingestione di appena 2 o 3 foglie o persino di frammenti di fiori.
Un aspetto molto particolare della tossicità del Lilium è che sembra essere correlata alla specie: rati, topolini e conigli infatti non dimostrano alcun tipo di danno a seguito dell’ingestione del Lilium. Per quel che riguarda il cane, anche se non è considerata una specie sensibile al Lilium, è comunque consigliabile evitarne contatto e ingestione ed eventualmente ricorrere al veterinario se questo dovesse accadere.
Cosa succede al gatto se mangia i gigli
Dopo l’ingestione anche di piccole quantità della pianta, fiori o foglie, il nostro gatto andrà incontro ad una tossicità renale. Le tossine presenti nel Giglio infatti andranno a danneggiare il tubulo renale, che è la parte del rene dove vengono riassorbiti la maggior parte dei nutrienti che il nostro gatto non deve perdere. I primi sintomi iniziano in genere dopo circa 1-3 ore dall’ingestione e includono:
- Vomito
- Salivazione eccessiva
- Anoressia ovvero rifiuto totale del cibo
- Forte depressione
I sintomi a seguire saranno quelli dell’insufficienza renale acuta, quindi dopo 12-30 ore dall’ingestione il nostro gatto potrà presentare:
- Poliuria (aumento dell’urinazione)
- Polidipsia (aumento di assunzione di acqua)
- Disidratazione importante
Infine, purtroppo nella fase finale il gatto va incontro ad anuria, ovvero riduzione o assenza totale di urinazione, con morte entro 7 giorni dall’ingestione. Dato che l’unico trattamento in questo caso è la dialisi, vediamo invece cosa fare subito dopo l’ingestione per evitare se possibile questi danni.
Cosa fare se il gatto ha mangiato una pianta tossica
Come abbiamo visto, non esiste sostanzialmente un antidoto all’ingestione del Lilium nel gatto. Una volta quindi che il danno renale si è avviato è già troppo tardi per il nostro gatto. Per questo è fondamentale agire subito dopo l’ingestione della pianta.
Il primo passo quindi è recarsi quanto prima dal nostro medico veterinario di fiducia o in una clinica che si occupi di urgenze. Dato che il tempismo è vitale in questo caso, mi raccomando non vi fermate a ragionare troppo sul da farsi: se ha ingerito anche solo una piccolissima quantità di Lilium recatevi subito dal vostro Vet. Anzi, quando lo sentite telefonicamente, questo potrebbe persino suggerirvi di stimolare il vomito, ma dato che anche piccole quantità della tossina possono avere effetti gravi, dovete recarvi in clinica per eseguire una lavanda gastrica.
A quel punto, il vostro gatto rimarrà comunque in clinica in osservazione, per eseguire una terapia di supporto, al fine di aiutare i reni. Non temete: è vero che è un’intossicazione molto grave, ma se agite subito la prognosi è eccellente.
Un consiglio però: forse se avete un gatto a casa, la cosa migliore è regalare le piante di Lilium a qualche amico o parente! Prevenire è meglio che curare, come si dice!
Articolo della dott.ssa Maria Mayer, DMV per Kodami
- Pubblicato il Maria Mayer
Cos’è la tosse da reflusso del cane?
Quando il nostro cane ha tosse il nostro primo pensiero è una patologia dell’apparato respiratorio, ma non sempre è così, potrebbe trattarsi di tosse da reflusso!
La tosse infatti è un sintomo che può avere diverse cause scatenanti: patologie polmonari, cardiopatie, malformazioni e molte altre tra cui patologie dell’apparato digerente.
In particolare ci riferiamo al reflusso gastroesofageo che è una patologia sempre più diagnosticata nei nostri animali e come nell’uomo è responsabile della tosse da reflusso”
Vediamo insieme quali sono i segni clinici di una tosse legata a disturbi digestivi e come possiamo intervenire con l’alimentazione.
Quali possono essere le cause di tosse? Quali indagini possono aiutare per la diagnosi?
La tosse può essere causata da varie patologie anche gravi e identificarle a volte non è così semplice.
La visita clinica dal vostro veterinario di fiducia e alcuni esami strumentali sono essenziali per individuare l’origine della tosse.
Vediamo quali sono gli esami utili in questo caso:
- Auscultazione cardio polmonare per identificare eventuali soffi cardiaci o anomalie dei rumori polmonari.
- Valutazione cardiologica nel caso in cui l’auscultazione rilevi alterazioni.
- Radiografia del torace per visualizzare patologie del parenchima polmonare o della trachea (es. collasso tracheale) o dilatazione esofagea.
- Endoscopia delle vie aeree e digerenti.
Nel caso in cui non si rilevino anomalie cardiologiche o polmonari si dovranno prendere in considerazione anche patologie dell’apparato digerente.
In particolare il reflusso gastroesofageo (anche detto GERD) può essere causa della così detta tosse da reflusso e non è una patologia semplice da diagnosticare.
Per facilitare la diagnosi è utile fare attenzione ad alcuni aspetti del sintomo “tosse”: frequenza, intensità, eventuale espettorato, modalità d’insorgenza.
Tosse da reflusso gastroesofageo (GERD)
Nell’uomo il reflusso gastroesofageo è una patologia molto studiata e relativamente frequente.
Negli ultimi anni anche in medicina veterinaria, grazie ai progressi degli studi e mezzi diagnostici sempre più all’avanguardia si sta rivelando una patologia più comune del previsto.
Il reflusso gastroesofageo consiste in un ritorno di materiale gastrointestinale e/o ingesta nel lume esofageo.
Questo fenomeno è dovuto a un’incompetenza dello sfintere esofageo inferiore.
Lo sfintere esofageo inferiore (cardias) ha il compito di permettere il passaggio del materiale alimentare dall’esofago allo stomaco e di serrarsi immediatamente dopo questo passaggio.
In caso di mancata contrazione del cardias o di un suo scarso tono avviene la risalita di materiale gastrointestinale nel lume esofageo.
Il materiale che dallo stomaco ritorna in esofago è ricco di acidi gastrici, enzimi digestivi e sali biliari che a contatto con la mucosa esofagea provocano irritazione e a lungo andare erosione della stessa.
La patogenesi del reflusso gastroesofageo non è ancora ben nota, ma sembrano partecipare diversi fattori:
- Vomito cronico
- Ernia iatale
- Patologie neuromuscolari che alterano la chiusura dello sfintere esofageo inferiore
- Anestesia
Il materiale acido che ristagna in esofago può venire aspirato dall’apparato respiratorio causando anche in questa sede irritazione dei bronchi con insorgenza di bronchiti croniche, polmoniti e quindi tosse.
Quali sono le caratteristiche della tosse da reflusso?
La tosse da reflusso è generalmente una tosse secca, spesso sembra che il cane provi a vomitare ma non viene espulso nessun materiale, si verifica più frequentemente dopo che il cane è stato sdraiato o ha dormito.
Molto spesso questo tipo di tosse è accompagnato anche da altri sintomi riferibili al reflusso gastroesofageo.
Per esempio, i cani che soffrono di reflusso gastroesofageo possono presentare: alitosi, nausea, si leccano spesso le labbra, sbadigliano insistentemente, rifiutano il pasto (soprattutto quello del mattino).
Al momento della visita clinica è importante riportare queste preziosissime informazioni che saranno di grande aiuto per arrivare alla diagnosi.
Come possiamo intervenire?
In caso di reflusso gastroesofageo si deve ricorrere a una terapia combinata farmacologica, alimentare e nutraceutica.
Nei casi più gravi potrebbe essere necessario ricorrere a farmaci come inibitori di pompa protonica e antiacidi, che nel lungo periodo possono causare diverse problematiche come la disbiosi.
In commercio ci sono molti integratori a base di sodio arginato e fitoterapici che agiscono sulla mucosa gastroesofagea con effetto lenitivo e ostacolano la risalita del materiale gastrico.
Dal punto di vista alimentare è utile la divisione della razione giornaliera in un alto numero di pasti. In molti casi somministrare uno snack prima di dormire aiuta a diminuire l’acidità gastrica che si viene a creare durante il digiuno notturno.
È consigliabile rialzare il piano delle ciotole in modo da favorire meccanicamente l’avanzamento del bolo alimentare.
È importante scegliere una dieta iperdigeribile con un moderato contenuto di grassi e di fibre.
Laddove possibile una dieta no carb è preferibile rispetto ad una dieta con carboidrati.
Articolo della dott.ssa Giulia Moglianesi, DMV
- Pubblicato il Giulia Moglianesi
Integratori per i gatti e complementi alimentari: quando e perché usarli
Ci stanno tanti dubbi riguardo gli integratori e complementi alimentari per gatti.
Vediamo cosa sono esattamente, se possono essere usati per prevenire o trattare malattie nel gatto.
Parleremo anche degli integratori mineral-vitaminici, di taurina e Omega-3, utili per migliorare la salute del gatto.
Se si vive con un gatto, sarà capitato di chiedersi se il cibo che gli stiamo fornendo è completo o se fosse meglio usare degli integratori o dei complementi alimentari. In effetti è una delle domande che mi sento fare più spesso: “è sufficiente quello che sto dando al mio gatto?”.
Dato che il gatto è un animale particolarmente sensibile a carenze e errori alimentari, porsi questa domanda è importante! Vediamo quindi quando e perché è utile usare degli integratori o complementi alimentari per il nostro gatto.
Cosa sono gli integratori per i gatti e i complementi alimentari
Da un punto di vista legislativo, tutto quello che comunemente noi chiamiamo integratore o complemento alimentare per gatto è catalogato come “mangime complementare”. Un mangime complementare è un alimento che per definizione “complementa”, completa la razione di un animale ed è quindi sempre da dare associato ad altri alimenti.
Una volta inquadrati da un punto di vista legislativo, dobbiamo però anche capire di quanti e quali tipi questi integratori o complementi alimentari possono essere. Possiamo catalogarli in queste tipologie:
- Integratori per i gatti o complementi alimentari utili per bilanciare le diete fresche: diverse paste o polveri mineral-vitaminiche possono essere utilizzate per bilanciare la dieta fresca di un gatto. Anche se vogliamo farlo mangiare il più naturale possibile infatti i gatti sono spesso iper-selezionatori, motivo per il quale a volte è necessario ricorrere a questi aiuti, dato che rifiutano alcuni o molti alimenti. Un altro motivo per utilizzarli è quello di semplificare la dieta, fattore importante nelle nostre vite sempre di corsa.
- Integratori o complementi alimentari utili per trattare stati di malattia: alcune volte, quando un gatto sta male, è necessario ricorrere a degli integratori o complementi alimentari che possano aiutarlo. Questo genere di prodotti, pur essendo di libera vendita, non andrebbe mai somministrato se non prescritto da un medico veterinario.
- Integratori o complementi alimentari salutistici, atti a prevenire una malattia: questi sono in assoluto i miei preferiti! Amo infatti lavorare sulla salute in modo attivo, non attendendo passivamente la malattia per poi trattarla, ma piuttosto agendo con una alimentazione sana e, perché no, anche con degli integratori di questo tipo.
Nei prossimi paragrafi vedremo alcune classi particolari di integratori e complementi alimentari per gatti.
Integratori per i gatti e complementi di vitamine e minerali
Cominciamo con il dire che gli integratori di vitamine e minerali non sono in generale necessari per un gatto in salute che mangi un buon alimento commerciale. Possono invece essere particolarmente utili o persino necessari nelle diete fresche, soprattutto se cotte. A causa della temperatura infatti alcune vitamine possono essere distrutte e un complemento mineral-vitaminico può quindi risultare necessario.
Attenzione per a non darli senza motivo, specialmente se contengono vitamine liposlubili (Vitamina A e D in particolar modo) oppure calcio, ad esempio. In questo caso infatti potrebbero essere dannosi per il vostro gatto, dato che sono elementi per i quali è possibile un eccesso.
In linea generale invece vanno sempre bene tutti gli integratori e complementi alimentari composti da vitamine del complesso B o vitamina C. Essendo idrosolubili vengono al limite eliminati con le urine, se in eccesso.
Integratori e complementi alimentari per migliorare la salute del gatto
Abbiamo detto che tutti gli integratori e complementi alimentari che servano per trattare uno stato patologico devono essere prescritti da un medico veterinario. Questo perché, anche se in etichetta è indicato spesso “per i problemi renali del gatto” o “ per i problemi epatici del gatto”, con magari anche delle dosi, l’approccio medico deve sempre essere individualizzato. Nessun gatto è uguale ad un altro, anche se ha la stessa patologia di un altro gatto.
Esiste invece una classe di integratori e complementi alimentari che si può dare con serenità al proprio gatto, per migliorare la sua salute e prevenire le patologie. Fra questi, i più importanti sono senza dubbio gli acidi grassi essenziali Omega-3. Gli Omega-3, in particolare EPA e DHA, hanno infatti una potente azione anti-infiammatoria. Poiché l’infiammazione è la causa comune di tante patologie, darli tutti i giorni evita che una malattia ai suoi inizi possa evolvere. Ad esempio, sono utilissimi per la prevenzione delle enteriti croniche, i disturbi cutanei, le patologie cardiache, l’insufficienza renale cronica, osteoartrite e disturbi articolari di vario tipo e tanto altro ancora.
Gli Omega-3 giocano un ruolo essenziale anche nel aiutare il nostro gatto in un invecchiamento di successo, diminuendo l’incidenza di sintomi comportamentali e neurologici. Infine, sono utili persino nella lotta contro il cancro!
Fra gli integratori che sono sempre utili possiamo citare anche la taurina. Questo aminoacido essenziale per il gatto, generalmente è sempre presente nell’alimentazione del gatto, sia essa commerciale (dove è integrata) o fresca. La taurina però ha un effetto positivo sul metabolismo del gatto e non provoca alcun eccesso, motivo per il quale è possibile integrare con 250mg al giorno la dieta di tutti i gatti. Aiuta a mantenere sani la vista e il cuore dei nostri gatti, ed è fondamentale per la sintesi degli acidi biliari.
Articolo della dott.ssa Maria Mayer, DMV per Kodami
- Pubblicato il Maria Mayer
Probiotici nei furetti. La relazione tra microbiota e comportamento.
Nell’ambito della nutrizione e della medicina veterinaria in generale non si sottolinea mai abbastanza il ruolo e l’importanza del microbioma intestinale e del suo equilibrio per molte specie differenti.
Qual è il ruolo dei probiotici nei furetti?
Studi recenti hanno gettato luce su come la composizione del microbioma intestinale possa influenzare direttamente il comportamento anche nei furetti, aprendo nuovi orizzonti nel trattamento di disturbi neuro-comportamentali tramite interventi mirati sulla dieta e l’uso di probiotici.
La connessione tra microbiota e comportamento
La relazione tra il microbiota intestinale e il comportamento sembra essere particolarmente significativa nei disturbi dello sviluppo neurologico, dove i sintomi gastrointestinali sono frequentemente osservati.
Si tratta soprattutto di studi condotti in medicina umana, come quelli legati ai disturbi dello spettro autistico in cui i bambini spesso sperimentano disagi e disturbi gastrointestinali come dolore e gonfiore addominale, costipazione o diarrea. Questi sintomi non solo persistono dall’infanzia all’età adulta ma sembrano anche avere una correlazione con la gravità dei sintomi comportamentali.
Probiotici nei furetti. Cosa dicono gli studi.
Alcuni studi sono stati condotti anche sui furetti, allo scopo di valutare se le variazioni del microbiota intestinale possono influenzare direttamente la fisiologia gastrointestinale ma anche il comportamento.
Uno studio in particolare ha rivelato che l’introduzione di probiotici nei furetti può parzialmente ripristinare la salute dell’apparato digerente.
Non è ancora stato del tutto chiarito invece se gli interventi probiotici possano avere effetti a lungo termine. Né se possano modulare l’ecosistema intestinale e il comportamento in età adulta.
I risultati però sono promettenti.
Il microbiota del furetto
Il microbiota intestinale del furetto è un complesso ecosistema di microrganismi che svolge un ruolo cruciale nella salute e nel benessere di questi piccoli mustelidi.
È composto principalmente da batteri, ma anche da virus, funghi e protozoi.
Come nel cane, nel gatto e in molte altre specie compresa la nostra il microbiota intestinale contribuisce alla digestione, alla sintesi di alcune vitamine come quelle del gruppo B e alla protezione contro agenti patogeni.
I furetti sono carnivori stretti e hanno un sistema digestivo evoluto per la digestione efficace ed efficiente di proteine e grassi animali. Di conseguenza, il loro microbiota intestinale è dominato da batteri capaci di degradare proteine e grassi, con una minor presenza di microrganismi che degradano invece i carboidrati.
I generi più comunemente rappresentati nell’intestino dei furetti includono, tra gli altri, Escherichia, Clostridium, e Bacteroides.
Quando sono indicati i probiotici nei furetti?
La composizione del microbiota può variare in base a diversi fattori, tra cui l’età, la dieta, l’ambiente di vita e l’uso di antibiotici e altri farmaci.
Per questo motivo l’uso di probiotici può avere un ruolo di grande rilevanza anche per questa specie, in tutte quelle situazioni in cui si sospetta che sia necessario ripristinare un equilibrio del microbiota turbato da una o più cause: ad esempio in corso di patologie che coinvolgono l’apparato digerente, nei cambi di dieta o in concomitanza di terapie farmacologiche, in primis quelle antimicrobiche.
Sono diversi i prodotti che si possono utilizzare, in generale è opportuno scegliere con la guida di un medico veterinario esperto nella medicina del furetto: non tutti i probiotici sono uguali e ogni situazione va valutata nello specifico.
Conclusioni e implicazioni future
I risultati delle ricerche aprono la strada a una comprensione sempre più profonda del ruolo per la salute del microbiota intestinale, ma anche dello stretto collegamento con molti disturbi del comportamento.
Anche per i furetti dunque il microbiota intestinale ha un ruolo cruciale non solo per la salute gastrointestinale ma anche per il benessere comportamentale e psicologico.
I probiotici anche in questa specie possono diventare uno strumento terapeutico prezioso, a patto di farne un uso corretto studiato per il singolo individuo, con la propria storia e le proprie peculiarità.
Articolo della dott.ssa Cinzia Ciarmatori, DMV
- Pubblicato il Cinzia Ciarmatori
Perché esistono cibi specifici per le razze
Le razze canine sono tutte uguali per l’alimentazione? Ne parliamo in questo articolo, approfondendo perché e come vengono formulati cibi specifici per razza e se è davvero indispensabile che la nostra scelta venga guidata da questo fattore.
Quando si entra nei negozi per animali, fra gli aspetti che sicuramente ci saltano agli occhi, sono i tanti alimenti per cani destinati specificatamente alle diverse razze.. In generale si tratta di alimenti più cari dei corrispettivi della stessa linea. Questo prezzo aggiuntivo viene attribuito ad alcune caratteristiche che rendono questi cibi diversi dalla norma, in qualche modo superiori o comunque più adatti alle richieste di quella specifica razza.
Quanto ci sta di fondato in questa strategia di marketing?
Come vengono formulati i cibi specifici per le razze?
I cibi specifici per razza possono avere caratteristiche diverse fra di loro, più o meno correlate con alcune necessità del cane cui sono indirizzate. Per citare alcuni esempi andiamo da crocchette più grandi rispetto ad altre per i cani di taglia gigante, ad alimenti più poveri di grassi nel caso ci sia maggiore predisposizione all’obesità. In alcuni casi, soprattutto per i cani di taglia piccola, si tratta di alimenti più appetibili rispetto ad altri della stessa linea.
Nel caso la razza di cani abbia problematiche mediche conosciute, con predisposizione quindi a determinate patologie, potrebbe poi essere addizionati alcuni principi indirizzati a migliorare queste situazioni o a prevenirne l’insorgenza (es. patologie renali, problemi digestivi etc.).
Il principio in sé è interessante ed è se vogliamo quello della medicina Ippocratica: fai del cibo la sua medicina e della medicina il suo cibo. La nutrizione, tramite alcune accortezze, può essere indirizzata fin da cuccioli, a prevenire stati patologici, con effetti anche molto importanti. Il “problema” se così vogliamo chiamarlo è quanto di queste promesse è effettivamente rispettato nel cibo che stiamo acquistando e quanto invece non è banalmente marketing.
È davvero indispensabile scegliere il cibo in base alla razza?
In linea generale no, non è affatto indispensabile scegliere il cibo specificatamente formulato per la razza. Anzi! Potrebbe essere ad esempio che il nostro Barboncino abbia problemi di digestione perché nel cibo commerciale dedicato a questa razza sono comunque presenti quantità di amido importante, difficili da digerire. Oppure ancora potremmo avere un Labrador con un metabolismo particolarmente rapido che non ha affatto bisogno di meno calorie rispetto ad un meticcio del suo peso. Comprare infatti un alimento commerciale “pensato” e formulato da altri sulla base della sola caratteristica “razza” potrebbe portare in realtà a dare alimenti non benefici per il nostro specifico cane.
Una soluzione molto semplice in questo caso è farci aiutare dal nostro medico veterinario di fiducia a scegliere la migliore alimentazione non tanto o non solo basandoci sulla razza del nostro cane, ma su tanti altri fattori, come salute, età, gusti etc. Il sacco potrebbe magari non riportare un’immagine simile al nostro cane, ma il prodotto all’interno potrebbe essere in realtà più utile.
Nutrigenetica e nutrigenomica: la vera alimentazione in base al soggetto
Abbiamo detto che il cibo specifico per razza può rappresentare uno specchietto per le allodole in qualche modo. Quello che invece ritengo possa essere molto utile è utilizzare un’alimentazione specifica per il soggetto che abbiamo di fronte. Questo sì, ovviamente, può avere reali benefici e rappresentare quindi non una scelta di facciata, ma qualcosa che davvero può migliorare la salute del nostro cane nel tempo.
Il concetto di nutrigenetica se vogliamo è proprio questo: utilizzare un’alimentazione specifica, basata sulla genetica del nostro cane (non solo la razza), per regolare e migliorare nel tempo il suo stato di salute. Ad esempio, se il nostro cane è un meticcio, senza alcuna razza particolare quindi, ma siamo a conoscenza di una displasia renale (patologia congenita), potremmo improntare un’alimentazione utile a rallentare la progressione dell’infiammazione renale. In questo modo, lo stesso cane ricevendo un cibo apposito, potrebbe vivere più a lungo e meglio rispetto a quello che la sua genetica avrebbe permesso.
In questo senso ovviamente la scelta migliore è sempre rappresentata dalla dieta fresca che può essere adattata, ingrediente per ingrediente, al nostro cane. Inoltre, possiamo regolare “l’intensità” della nostra prevenzione, in base all’andamento della patologia. Una vera alimentazione salutare insomma!
Articolo della dott.ssa Maria Mayer, DMV per Kodami
- Pubblicato il Maria Mayer
Cosa può mangiare un cane con problemi ai denti?
Non sono casi frequenti, tuttavia ci sono situazioni in cui, per vari motivi, un cane può trovarsi a vivere senza denti o con pochi denti residui.
Cosa può mangiare in questi casi?
Questa condizione, benché non sia comune, non preclude certo la possibilità di offrire al cane con cui viviamo una dieta comunque varia e nutriente. Ecco come gestire al meglio l’alimentazione di un cane con problemi ai denti.
Cause della perdita dei denti nel cane
La perdita dei denti in un cane può essere la conseguenza di molteplici fattori, principalmente di natura medica.
I cuccioli nascono senza denti, sviluppando poi i denti da latte che verranno sostituiti dai denti permanenti intorno alle 14-15 settimane di vita.
Al contrario della nostra specie, i cani raramente perdono i denti per cause naturali legate all’età. Si tratta più spesso di cause traumatiche o dell’accumulo di tartaro.
Tra le cause traumatiche ci sono le fratture dentarie, spesso conseguenza di masticazioni compulsive di oggetti duri o di scontri con altri cani.
Anche l’usura eccessiva dei denti può portare alla necessità di rimozioni dentarie per prevenire il dolore.
Il tartaro, quando estremamente diffuso, può richiedere l’estrazione del dente per evitare complicazioni come la patologia parodontale, che in alcuni casi richiede trattamenti antibiotici prolungati.
Esiste anche la stomatite cronica ulcerativa, una condizione dolorosa che può necessitare l’estrazione dei denti come soluzione ultima.
Esigenze nutrizionali di un cane senza denti
Nonostante la mancanza di denti, le esigenze nutrizionali di un cane non cambiano.
L’attenzione si sposta quindi sul metodo di somministrazione del cibo piuttosto che sulla sua composizione nutrizionale. È fondamentale assicurarsi che il cibo offerto rispetti le necessità dietetiche del cane, indipendentemente dalla sua consistenza.
Opzioni alimentari per cani senza denti
Ecco alcune opzioni alimentari adatte a cani senza denti, che tengono conto delle loro specifiche esigenze nutrizionali:
- Cibo secco commerciale pre-ammollato: mettere a bagno le crocchette in acqua per alcune ore per poterle ammorbidire rende questo tipo di cibo più facilmente ingeribile da un cane con difficoltà di masticazione.
Attenzione però, perché uno studio recente ha sollevato dubbi sugli effetti dell’umidificazione del cibo secco, che potrebbe provocare alterazione del microbiota intestinale e anche innalzamento del colesterolo nel sangue.
Si potrebbe pensare di inserire cicli di probiotici, ma monitorando con attenzione le condizioni cliniche e i valori ematici in attesa di ulteriori studi. - Cibo umido commerciale: questa opzione è valida purché si scelga un prodotto etichettato come “alimento completo” e non “complementare”.
Se necessario, per regolare l’apporto di fibre che potrebbe essere insufficiente, si possono aggiungere al cibo umido carote lesse e frullate o altre fonti di fibra. - Cibo cucinato in casa: preparare in casa il cibo per il cane con cui viviamo permette un controllo maggiore sugli ingredienti utilizzati e anche sulla grandezza dei bocconi. È importante che la dieta sia bilanciata da un veterinario nutrizionista per assicurare tutti i nutrienti necessari.
- Dieta BARF: può sembrare controintuitivo, ma una dieta BARF adeguatamente bilanciata e preparata può essere adatta a cani senza denti, evitando però l’inclusione di ossa polpose intere e ricorrendo a quelle macinate.
In conclusione, nonostante la perdita dei denti possa sembrare un ostacolo, con la giusta attenzione e cura, è possibile garantire al cane una dieta equilibrata e soddisfacente, adattata alle sue esigenze specifiche.
Articolo della dott.ssa Cinzia Ciarmatori, DMV
- Pubblicato il Cinzia Ciarmatori
L’alimentazione del gatto con insufficienza renale
Il gatto con insufficienza renale cronica ha esigenze nutrizionali molto precise.
In questo articolo approfondiamo esattamente cosa può mangiare e cosa deve invece essere evitato, oltre a quanto deve bere.
L’insufficienza renale cronica è purtroppo una delle patologie più frequenti, soprattutto nel caso del gatto anziano. Quando i reni cominciano a non poter svolgere più la loro funzione, in generale non si hanno sintomi fino a che non si arriva ad una percentuale di tessuto non funzionante maggiore al 75%.
Quando rimane in sostanza quindi meno di un quarto del tessuto renale di un gatto che può svolgere il proprio dovere, possiamo vedere l’inizio dei classici sintomi come aumento dell’urinazione e dell’acqua assunta, nausea e malessere generale.
L’alimentazione può incidere tanto su questa patologia, dato anche se non è possibile curarla in alcun modo, possiamo sfruttare principi nutrizionali per rallentarne la progressione. Al contempo, l’alimentazione non corretta può peggiorare sia la sintomatologia che l’evoluzione della patologia. Vediamo il tutto nei dettagli.
Cosa può mangiare un gatto con problemi renali
In generale, esistono ormai in commercio diversi alimenti formulati in modo apposito per il gatto con insufficienza renale, sia agli stadi iniziali che a quelli più avanzati.
Questi alimenti sono in generale la scelta migliore per i gatti che sono abituati a mangiare commerciale e che non possono/vogliono cambiare dieta. Si tratta quindi di trovare l’alimento corretto scegliendo in base alla formulazione dello stesso e (soprattutto, purtroppo) ai gusti del nostro micio, spesso così limitanti.
In generale, gusti permettendo, sarebbe ottimo passare ad alimentazione umida, se non in modo totale, quanto meno in buona percentuale, facendosi aiutare dal proprio veterinario a scegliere il miglior alimento secondo il momento della stadiazione della patologia.
In questo modo il nostro gatto sarà sempre ben idratato, avendo questo cibo maggiore quantità di acqua all’interno.
Le formulazioni per gatti con patologie renali hanno in genere un tenore ridotto in fosforo ed un alto tenore di acidi grassi Omega-3. Sono composti da fonti proteiche nobili, che apportano proteine di alto valore biologico in grado di produrre meno scorie azotate. Il tenore di grassi in genere è alto per fare in modo che siano più appetibili, vista la nausea. Spesso inoltre, dato che le fonti proteiche (carne ad esempio) apportano sia proteine che fosforo, gli alimenti potrebbero avere anche un tenore proteico ridotto. Anche se questo punto in particolare è oggetto di accese discussioni in medicina veterinaria.
Cosa non deve mangiare un gatto con insufficienza renale
In generale, un gatto con insufficienza renale non deve mangiare cibo che non sia stato pensato per aiutare in questa patologia. Molti degli alimenti “normali” infatti hanno tenori di fosforo più elevati, che possono causare peggioramento della sintomatologia anche importante. Alcuni alimenti non etichettati come “renali” potrebbero comunque avere le caratteristiche necessarie, ma in questo vi deve aiutare un medico veterinario esperto in nutrizione, per la scelta.
Meglio non dare anche premietti e snack vari, se non programmati, per lo stesso motivo. Ad esempio, in generale uno snack sano per il gatto potrebbe essere la carne essiccata, ma in questo caso avremo un tenore di fosforo non incluso nel piano dieta, extra appunto, che può andare a peggiorare la situazione.
La dieta soprattutto in corso di questa patologia diventa come una medicina insomma.
In questo senso, non vanno dati alimenti/medicine non prescritti, per descrivere meglio il tutto.
Dieta casalinga per il gatto con insufficienza renale
La dieta casalinga per il gatto con insufficienza renale è una ottima soluzione, dato che oltre ad essere composta di alimenti freschi è possibile comporla esattamente secondo le necessità del singolo paziente. In base quindi allo stato clinico e agli esami del sangue, andremo a decidere esattamente quanto e cosa inserire nel suo piano dieta.
Le fonti proteiche saranno scelte quindi in base al loro valore biologico, oltre che ai gusti del singolo gatto. Inseriremo grassi e fibre adatti non solo a dare i giusti nutrienti, ma anche a supportare l’intestino del gatto che spesso quando ci sono problemi renali va in sofferenza, peggiorando la nausea.
Inoltre, la quantità e il tipo di acidi grassi Omega-3 sarà scelta in base ai valori ematici e delle urine, cambiandoli poco alla volta in base alla risposta clinica.
Articolo della dott.ssa Maria Mayer, DVM per Kodami
- Pubblicato il Maria Mayer
Metodi di cottura per la dieta casalinga dei nostri animali
Iniziare una dieta fresca per il nostro cane o il nostro gatto è sempre un momento emozionante, ma anche pieno di dubbi! Quali sono i metodi di cottura migliori per preparare il loro cibo?
Mentre la scelta di una dieta casalinga per cani e gatti diventa sempre più diffusa tra i proprietari di animali domestici, la preparazione e la cottura dei pasti possono essere un’avventura culinaria creativa. Tuttavia, è essenziale comprendere i diversi metodi di cottura e le loro implicazioni sulla salute e sul benessere dei nostri amici a quattro zampe, poichè alcune cotture preservano maggiormente le sostanze nutritive ed aumentano l’appetibilità dei cibi.
Cottura a Vapore
La cottura a vapore è un metodo delicato che conserva la maggior parte dei nutrienti presenti negli ingredienti.
È ideale per la preparazione di verdure, carne magra e pesce.
Questo processo mantiene la consistenza e il sapore degli alimenti, rendendolo un’opzione ottimale per le diete casalinghe dei nostri animali domestici.
Cottura al Forno
La cottura al forno è un altro metodo popolare per preparare pasti per cani e gatti.
Questo metodo richiede temperature moderate e tempi di cottura più lunghi.
È ottimo per la preparazione di casseruole, biscotti e altre prelibatezze, ma può anche essere utilizzato per carne o pesce. Attenzione a non utilizzare temperature troppo elevate: i cibi bruciati sono dannosi anche per loro!
Cottura a bassa temperatura
La cottura a bassa temperatura consente di conservare al meglio le proprietà nutritive degli alimenti, garantendo anche un’ottima appetibilità poichè le carni rimangono morbide e succose.
E’ una cottura molto comoda per chi non ha troppo tempo da dedicare ai fornelli: basterà mettere tutto in una slow cooker o utilizzare la cottura sottovuoto (ne abbiamo parlato qui), non dovremo più pensare a niente e ci ritroveremo i pasti pronti.
Bollitura
La bollitura è sicuramente uno dei metodi di cottura più comodi e conosciuti, ma attenzione: è anche la cottura che priva maggiormente gli alimenti delle sostanze nutritive, specialmente se vengono bolliti per tempi lunghi.
Inoltre tende ad asciugare e seccare molto le carni, rendendole meno appetibili.
E’ consigliabile quindi non utilizzarla per carne e pesce, ma va benissimo per le verdure o, se previsti nella dieta del nostro animale, i carboidrati.
Cottura alla griglia
Questo metodo di cottura aumenta notevolmente il sapore di alcune carni o di alcuni tipi di pesce, ma allo stesso tempo può seccare facilmente gli alimenti e renderli meno gustosi.
Attenzione anche alla temperatura, se troppo alta gli alimenti si bruceranno diventando nocivi!
Cottura in padella
Questo metodo di cottura è un buon compromesso fra la bollitura e la cottura a bassa temperatura.
Basteranno una padella, un filo d’acqua ed un coperchio e potremo cuocere la carne come se fosse uno stufato, mantenendola morbida e senza eccessiva perdita di sostanze nutritive.
Ottima anche per cuocere le verdure!
Cottura per assorbimento
Questo metodo di cottura è consigliabile soprattutto per il riso o altre fonti di carboidrati.
Consiste nel raggiungere il giusto punto di cottura attraverso l’assorbimento graduale dell’acqua.
Può essere realizzato con una normale pentola o meglio ancora tramite una cuoci riso.
Considerazioni finali
Scegliere il metodo di cottura giusto per una dieta casalinga per cani e gatti è fondamentale per garantire il loro benessere a lungo termine. Alcuni animali poi hanno gusti più esigenti, soprattutto i gatti, quindi all’inizio potrebbe essere necessario provare vari metodi di cottura al fine di trovare quello più gradito. In ogni caso è sempre importante che non siano presenti grassi in cottura, che risultano molto nocivi per i nostri animali. Niente fritti o soffritti per loro!
Ricorda sempre di consultare un Medico Veterinario Nutrizionista prima di apportare cambiamenti significativi alla dieta del tuo animale. Un professionista può aiutarti a creare un piano alimentare bilanciato che soddisfi le esigenze nutrizionali specifiche del tuo animale domestico.
Articolo della dott.ssa Camilla Marchetti, DMV
- Pubblicato il Camilla Marchetti
Cereali soffiati per il cane. Si può?
Spesso chi prepara la dieta casalinga al proprio cane aggiunge cereali soffiati alla ciotola, in particolare il riso soffiato. E’ indubbiamente un ingrediente molto comodo in quanto “pronto all’uso” ma è effettivamente salutare? Approfondiamo in questo articolo dove valuteremo i pro e contro dei cereali soffiati, come sceglierli e utilizzarli.
I cereali soffiati sono cereali in chicco sottoposti prima a un processo di cottura ad alta temperatura (300-400°) e in seguito alla soffiatura che consiste nell’introduzione di vapore acqueo preriscaldato a circa 250° seguita da un rapido abbassamento di pressione. In questo modo il cereale si idrata e aumenta di volume, acquisendo la tipica consistenza del “soffiato”.
Nei supermercati è possibile ormai trovare tantissimi tipi di cereali soffiati diversi: riso, farro, avena, miglio, quinoa, orzo, amaranto.
Il più utilizzato nell’alimentazione del cane è sicuramente il riso soffiato.
Cereali soffiati: Pro e Contro
I cereali soffiati in quanto fonte di carboidrati non sono essenziali nella dieta del cane.
Nei cani che tollerano i cereali è possibile inserirli nella dieta, le grammature ovviamente varieranno da soggetto a soggetto.
Il riso soffiato, in particolare, è un alimento facilmente digeribile e senza glutine.
Contiene in media 350 kcal/100 gr. Queste calorie possono essere utili per coprire il fabbisogno calorico giornaliero ma se il riso soffiato è dato in eccesso o come extra può causare sovrappeso e obesità. Inoltre presenta un indice glicemico piuttosto elevato.
Per evitare picchi glicemici post prandiali è importante quindi che sia inserito in una dieta bilanciata, con corrette quantità di proteine, grassi e fibre che lo bilancino.
Quale scegliere?
Le varietà di riso soffiato “per cani” reperibili in molti negozi per animali contengono spesso coloranti ed eccipienti.
Il consiglio è quindi quello di acquistare i cereali soffiati ad uso umano (quelli per la colazione per intenderci), prestando attenzione che siano senza zuccheri aggiunti.
Un’altra opzione potrebbe essere quella di dare il cereale soffiato in forma di galletta che non è altro che cereale soffiato “compatto”.
Come dare i cereali soffiati
I cereali soffiati e le gallette sono “pronti all’uso”, non è necessario ammollarli in acqua.
Possono essere dati contestualmente al pasto, o nel caso soprattutto delle gallette possono essere utilizzati come comodi snack.
Quando utilizzare i cereali soffiati
Se nella dieta del vostro cane è inserito un cereale questo può in linea generale essere sostituito dall’equivalente soffiato o in gallette sporadicamente, salvo diversa indicazione specifica da parte del Veterinario Nutrizionista.
Nell’ottica di una dieta varia e per quanto segnalato riguardo l’indice glicemico consiglio sempre di alternarlo con l’equivalente in chicco da cucinare.
Li propongo ad esempio per i periodi di vacanza, dove sarà molto più comodo portare con sé il cereale soffiato, che non richiede cottura.
Se invece li si vuole utilizzare come snack le gallette sono ottime, soprattutto in molti cani che soffrono di reflusso gastroesofageo.
Attenzione però, contrariamente a quanto si potrebbe pensare neanche loro sono ipocaloriche!
Una galletta in media pesa 8-10 gr quindi indicativamente mezza al giorno è più che sufficiente come snack per un cane di piccola taglia, 1 per un cane di media taglia, 2 per un cane di grossa taglia. Ovviamente queste dosi sono indicative e potrebbero non applicarsi a tutti.
Articolo della dott.ssa Denise Pinotti, DMV
- Pubblicato il Denise Pinotti
I gatti possono mangiare la frutta secca?
Quanto è buona la frutta secca, ma i gatti la possono mangiare?
Oggi rispondiamo a questa domanda, parlando dei vari tipi di frutta secca, dei benefici che può avere il gatto e delle dosi e modalità con cui possiamo offrirla al nostro micio.
La frutta secca è sempre più presente sulle nostre tavole soprattutto in inverno, in particolare a Natale ma non solo. È normale chiedersi se il gatto ne possa mangiare. Per alcune persone poi la diventa un’abitudine salutistica: facciamo sempre più spesso colazione o merenda con noci, mandorle, noccioli o pistacchi. E se ne allunghiamo una al nostro gatto che potrebbe succedere? In linea generale, nulla di male. Infatti, fatta eccezione per l’uvetta, non è tossica per il gatto. Vediamo però di approfondire il tema in questo articolo.
Tipi di frutta secca: quali possiamo dare al gatto?
Prima di dire cosa possiamo dare e cosa non possiamo dare al nostro gatto, dobbiamo chiarire di quale frutta secca stiamo parlando. Infatti, ne abbiamo due tipi normalmente presente sul mercato:
- La frutta secca glucidica: ovvero frutta disidratata o essiccata, come ad esempio mele essiccate, albicocche essiccate, fichi, datteri o…uvetta!
- La frutta secca lipidica: in questo caso si parla spesso di frutta a guscio o semi oleosi. Si tratta di nocciole, noci, mandorle, pistacchi e pinoli.
Per quel che riguarda la frutta secca glucidica, valgono in linea di principio le linee guida per la frutta fresca, con però un “aggravante”. Se infatti la frutta fresca può essere data in piccole quantità al gatto, quella essiccata deve essere davvero in quantità minima e solo se non viene aggiunto glucosio alla preparazione. Troppo zucchero per i nostri piccoli carnivori domestici.
Da evitare del tutto ovviamente l’uvetta, in quanto tossica per il gatto anche in piccole dosi.
Parliamo invece della frutta secca lipidica o dei così detti semi oleosi, perché questi sì potrebbero avere un piccolo ruolo in più nell’alimentazione del nostro gatto.
Frutta secca oleosa per il gatto quale possiamo dare
Chiarito l’aspetto della frutta secca glucidica, vediamo invece qualche informazione interessante a proposito dei semi oleosi per il gatto.
I semi oleosi, ovvero nocciole, mandorle, noci, pistacchi e pinoli sono quelli che genericamente vengono chiamati frutta secca e possono tutti essere dati al gatto. Altri semi oleosi sono quelli di girasole, lino e zucca che, seppur non tossici, vi consiglierei di evitare in quanto spesso non vengono digeriti e transitando possono provocare irritazione meccanica alle pareti intestinali.
Attenzione anche ad evitare la frutta a guscio d’importazione, fra cui anacardi e noci di macadamia. Per quel che riguarda le noci di macadamia infatti queste sono tossiche per il gatto.
Gli arachidi invece non sono tossici in sé e quindi se il vostro gatto dovesse ingerirne qualcuno non dovete correre dal Medico Veterinario. Nonostante questo, in generale vi sconsiglio di darli al vostro gatto per due motivi: il sale, di cui spesso apportano grandi quantità in quanto venduti salati, e l’eccessivo potenziale infiammatorio. Gli arachidi infatti sono ricchi di acido arachidonico che è un acido grasso essenziale pro-infiammatorio molto importante.
Benefici delle nocciole, mandorle e altra frutta secca per il gatto
Eccoci alla frutta secca che amiamo di più: noci, nocciole, mandorle e pistacchi. Lascerò da parte i pinoli, come proprietà nutrizionali, poiché pur essendo fantastici sono estremamente cari e difficili da reperire.
Noci, nocciole, mandorle e pistacchi hanno un punto chiave in comune dal punto di vista dei valori nutrizionali ovvero le chilocalorie! La frutta secca di questo tipo è infatti estremamente ricca di grassi e apporta approssimativamente dalle 550 alle 750kcal per 100g! Per darvi un termine di paragone, poco meno kcal di quelle apportate dagli olii puri.
I grassi contenuti in questo tipo di frutta secca sono in generale dei “grassi buoni”: per la maggior parte polinsaturi, sono composti in gran parte di acido linoleico e acido alfa linolenico, entrambi essenziali per il gatto.
Gli acidi grassi essenziali hanno azioni estremamente benefiche sugli organismi animali, anche se nel caso del gatto i benefici sono minori rispetto a quelli che hanno per l’uomo, vista l’impossibilità di trasformarli nelle molecole antinfiammatorie EPA e DHA.
Oltre ai grassi buoni comunque, la frutta secca oleosa contiene anche vitamine, fra cui le più interessanti sono le liposolubili. La Vitamina E in particolare o alfa-tocoferolo sarà presente soprattutto nella frutta secca oleosa molto fresca e ben conservata ed ha una azione antiossidante molto importante.
Come e quanta frutta secca dare al gatto
Vista la densità calorica della frutta secca, pur non essendo tossici per il gatto quindi, si impone un consumo estremamente moderato di noci, nocciole, mandorle e pistacchi.
Per quel che riguarda i pistacchi inoltre, dobbiamo considerare anche il fattore sale in quanto anche questi frutti sono nella maggior parte dei casi presenti in commercio già salati.
Se vogliamo tirare delle linee generali quindi potremmo provare ad offrire noci, nocciole, mandorle e pistacchi così come sono, interi al nostro gatto, oppure rotti a metà. Ovviamente senza guscio, si intende! Se così fossero ancora troppo grossi, si potrebbe provare a tritarli e sminuzzarli finemente.
Come quantità infine, direi che per un gatto da 5kg circa di peso non si dovrebbe dare più di una nocciola, una mandorla, mezza noce o due pistacchi a settimana. Certo molto dipende anche da quanto si muovono, ma ricordate anche che il loro consumo calorico è circa un decimo (o meno) del nostro, quindi estrema moderazione!
Articolo della dott.ssa Maria Mayer, DMV per Kodami
- Pubblicato il Maria Mayer
Perché i gatti amano le olive ?
Le olive sono un cibo stranamente attraente per molti gatti. Ricche di grassi e antiossidanti, si potrebbe pensare che sia solo per quello che sono tanto desiderate. In questo articolo scopriamo le reali motivazioni per cui un gatto ama le olive, quali sono i rischi e cosa fare se il gatto mangia troppe olive.
Sinceramente quando mi hanno chiesto “perché i gatti amano le olive” mi hanno trovata un po’ spiazzata.
Non ci avevo mai pensato e non mi ero mai fatta questa domanda.
Sarà mi sono detta, perché sono ricche di grassi e quindi hanno in generale un sapore più appetitoso per i gatti.
In realtà approfondendo il discorso ho trovato qualcosa di parecchio più interessante! Vediamolo assieme
I gatti e il loro amore per le olive
Secondo studi abbastanza recenti (2016), le olive contengono un composto chiamato nepetalactolo, appartenente alla medesima famiglia degli iridoidi e parente del nepetalactone presente anche nell’erba gatta (Nepeta cataria, da cui il nome chimico), con effetti euforizzanti sul nostro micio.
Diversi studi dimostrano come il nepetalactolo sia la sostanza responsabile di tanti degli effetti che verifichiamo quando il nostro micio incontra la vera erba gatta (non la classica gramigna). Anche se è facile interpretare la risposta del vostro gatto all’erba gatta come un comportamento giocoso, in realtà questa è mediata da sostanze chimiche ad effetti ben precisi e che si è scoperto avere dei risvolti utili nell’adattamento per la sopravvivenza.
Il micio, infatti, quando incontra la Nepeta cataria, vuole leccarla e masticarne le foglie, strusciare il muso e tutto il corpo sulla pianta stessa e non tanto ingoiarla. Anzi, il nepetalactone dato per bocca non ha quasi effetti sul comportamento e la fisiologia del gatto. Questo fatto molto interessante potrebbe essere collegato al fatto che quando il gatto si struscia nella Nepeta cataria, ottiene dalle foglie “ammaccate” e masticate, una grande quantità di sostanze repellenti per parassiti e insetti.
Insomma, l’amore per le olive potrebbe essere legato a queste sostanze chimiche, oltre – banalmente – al fatto che sono ricche di grassi e generalmente salate e quindi molto appetibili per il nostro gatto. Anche perché se questi ultimi due fattori non fossero influenti (grasso e sale), i nostri gatti dovrebbero volersi strusciare solo nelle olive e non mangiarle!
Rischi per il gatto che mangia le olive
In linea generale le olive sono un alimento sicuro per il gatto. Dobbiamo però fare attenzione ad alcuni aspetti particolari:
- Nocciolo: anche se un gatto è generalmente abbastanza intelligente e non credo arrivi a mandare già il nocciolo di un’oliva, meglio dargliele come pasta di olive oppure denocciolate, per evitare rischi;
- Sale: il sale non ha effetti negativi in generale sulla salute del gatto, se non in quantità eccessive. Dato che le olive sono spesso in salamoia, dobbiamo fare attenzione che siano sciacquate almeno in parte da questa, per evitare un’intossicazione da sale.
Per il resto, unico altro rischio che ci rimane se il nostro gatto ci prende la mano, sono l’obesità e le indiscrezioni alimentari, ovvero una diarrea (e potenzialmente pancreatite) legata ad un eccessivo consumo di olive. Per quanto questi eccessi non siano comuni nel gatto, fateci attenzione quindi!
Cosa fare se il gatto ha mangiato molte olive
Se il gatto mangia troppe olive, dobbiamo prima di tutto chiederci se avevano il nocciolo. Lo so che sembra banale, ma se erano con il nocciolo dovete correre immediatamente in pronto soccorso veterinario, in quanto i noccioli possono essere un rischio molto serio per un intestino piccolo come quello del nostro gatto.
Se invece erano olive denocciolate, il rischio maggiore è quello della indiscrezione alimentare ed eventuale pancreatite annessa. Tenete monitorato il vostro gatto e se durante le 24-48 ore successive all’ingestione dovesse presentare sintomi di malessere (vomito, diarrea, o anche solo disappetenza) portatelo in visita.
Articolo della dott.ssa Maria Mayer, DMV per Kodami
- Pubblicato il Maria Mayer
L’alimentazione del furetto
Il furetto è un piccolo mustelide, un mammifero domestico discendente della puzzola europea.
Alla stessa famiglia appartengono l’ermellino, la donnola e persino la lontra, il mustelide di più grandi dimensioni.
Sono animali dal corpo allungato, con gli arti corti, in grado di infilarsi ovunque!
Dal punto di vista nutrizionale si tratta di un carnivoro stretto, ancora più del gatto.
Qual è l’alimentazione ideale per un furetto?
Quali errori è importante evitare per non incorrere in problemi di salute?
Vediamolo insieme!
Il furetto, un piccolo carnivoro
Il furetto è un carnivoro, ce lo racconta con ogni dettaglio della sua anatomia e della fisiologia.
Ha canini robusti e premolari e molari conformati per masticare e triturare anche le ossa.
Lo stomaco ha una struttura semplice e può dilatarsi molto.
L’intestino è corto e il tempo di transito del cibo lungo l’apparato digerente è molto breve: nell’arco di tre o quattro ore il cibo viene completamente processato.
Il microbiota del furetto
I batteri maggiormente presenti nel microbiota del furetto sono anaerobi, come alcuni Clostridi e Helicobacter.
Anche per questa specie gli studi ci dicono che una scarsa variabilità del microbiota può essere associata a molte patologie, tra cui quelle del neurosviluppo.
Per questo è fondamentale che il furetto riceva la giusta alimentazione fin dallo svezzamento: nei primi mesi di vita i furetti acquisiscono le abitudini alimentari e convincerli a cambiare dieta da adulti non è affatto semplice!
Furetto e alimentazione
Il furetto è un carnivoro stretto. Il suo precursore selvatico si nutre di piccoli mammiferi, topi, ratti, arvicole, lepri e conigli. Ma anche ricci e piccoli uccelli, uova, rettili e anfibi.
La loro dieta può essere costituita solo da alimenti di origine animale. Proteine di elevato valore biologico e grassi sono le fonti energetiche principali.
Purtroppo però la maggior parte dei prodotti per furetti in commercio contengono quote più o meno elevate di cereali e proteine e fibra di origine vegetale, che i furetti non sono predisposti a digerire e assimilare efficacemente.
Un’alimentazione di questo tipo, protratta nel tempo, può predisporre a numerose patologie: fermentazioni intestinali anomale, infiammazione e patologie intestinali croniche, insulinoma.
L’insulinoma è una patologia frequente del furetto: si tratta di un’alterazione progressiva del pancreas che determina abbassamento eccessivo del glucosio nel sangue con tremori, convulsioni e morte nei casi più gravi.
La dieta ideale per il furetto dev’essere varia e bilanciata, con un elevato tenore di proteine e grassi di origine animale, pochissima fibra e una quantità contenuta di carboidrati.
Andrebbero forniti piccoli pasti frequenti, evitando il digiuno prolungato.
Senza dimenticare che si tratta di un animale dalle abitudini crepuscolari-notturne, che dovrebbe mangiare dal tardo pomeriggio in poi.
Quali sono gli errori da evitare?
- Cibi ricchi di proteine e grassi vegetali
- Diete con carenza di acidi grassi essenziali, in particolare il linoleico, l’alfa linolenico e l’arachidonico
- Un contenuto di fibra troppo elevato, che può provocare diarrea e patologie infiammatorie intestinali
- Troppi carboidrati e zuccheri, che possono indurre nel tempo degenerazione neoplastica del pancreas
- Eccesso di grassi polinsaturi, peggio ancora se in carenza di vitamina E
BARF e furetto
La dieta BARF, che ben conosciamo per cani e gatti, può essere una buona alternativa anche per il furetto.
Può essere composta anche in questo caso da CSO (carne senza osso), organi e OP (ossa polpose), opportunamente formulata in modo da poter essere sia completa e bilanciata che adatta per la taglia del furetto.
Il vantaggio principale è quello di essere una dieta più simile a quella per la quale questi animali si sono specializzati nel corso di millenni di evoluzione.
Le criticità sono le stesse da considerare per cane e gatto, in particolare le questioni igienico-sanitarie che richiedono senza dubbio attenzione nella conservazione e preparazione del cibo, e le OP che devono essere di dimensione e consistenza adeguate.
Conclusione
L’alimentazione fresca nel furetto può essere una valida alternativa ai prodotti commerciali, che hanno una composizione troppo spesso non adatta per questi predatori carnivori e che protratta per mesi ed anni può essere fonte di gravi patologie.
In più la dieta fresca può essere formulata in modo individualizzato per il singolo animale, con le proprie caratteristiche peculiari, tenendo in considerazione il sesso, l’età e anche le condizioni cliniche, traendo dall’alimentazione il massimo in termini di prevenzione e di cura.
Articolo della dott.ssa Cinzia Ciarmatori, DMV
- Pubblicato il Cinzia Ciarmatori
Il diabete mellito nel cane
Il diabete nel cane è una delle più frequenti endocrinopatie.
Da un punto di vista scientifico ci sono ancora tanti i dubbi ma poiché sia la medicina umana sia quella veterinaria sono in costante evoluzione, lo è anche la ricerca a riguardo. La gestione del cane diabetico si deve basare su quattro fattori fondamentali: la terapia insulinica, l’attività fisica, un corretto trattamento nutrizionale ed un’ottima “compliance” con il proprietario.
In questo articolo vi parleremo di come riconoscere il diabete nel cane. E di quanto sia importante la sua gestione al fine di ottenere un buon controllo sulla sintomatologia clinica.
Che cos’è il diabete mellito
Il diabete mellito è un insieme di patologie metaboliche caratterizzate da uno stato di iperglicemia persistente. Dovuto ad un deficit di secrezione o di azione dell’insulina o ad entrambi.
Si distingue sostanzialmente in diabete di tipo insulino-dipendente e non insulino-dipendente.
Il diabete di tipo 1 (insulino-dipendente) è più frequente nel cane mentre il diabete di tipo 2 è quello più frequente nel gatto (non insulino-dipendente).
L’incidenza di questa patologia nel cane varia dallo 0.32 allo 0.6%.
Le razze maggiormente colpite risultano essere il Setter Irlandese, il Barbone, lo Yorkshire, lo Schnauzer nano, il Samoiedo, il Setter Inglese ed il Labrador Retriever. Ma potenzialmente tutte le razze possono essere colpite.
Come presentazione da un punto di vista del segnalamento sono soprattutto femmine e l’età è intorno ai 7 anni.
Esistono altre forme di diabete mellito, tra cui quelle dette “secondarie”. Nel caso di cani che assumono farmaci corticosteroidi o progestinici, in alcune femmine durante la fase diestrale del ciclo (chiamato diabete progesterone-dipendente).
In questi casi c’è una resistenza all’insulina a livello periferico per cui le cagne vanno sterilizzate il prima possibile per non incorrere ad un diabete non più reversibile. Inoltre ci sono quelle concomitanti ad altre endocrinopatie come può essere l’iperadrenocorticismo.
Patogenesi del diabete nel cane
Nel cane la causa sottostante al momento non è del tutto chiara.
Si ritiene si tratti di una malattia multifattoriale. In cui predisposizione genetica, pancreatiti con distruzione immuno-mediata progressiva del pancreas o alcune situazioni predisponenti quali la sindrome di Cushing, l’iperlipemia e l’obesità inducendo insulino-resistenza possono provocare l’esaurimento funzionale del pancreas.
Sintomi
Il glucosio presente in eccesso nel sangue viene espulso con le urine. Causando uno squilibrio nei reni ed un’eccessiva produzione di urine (poliuria) che porterà il cane a disidratarsi e lo stimolerà a bere più del solito (polidipsia).
Il cane diabetico ha solitamente un appetito molto marcato (polifagia) ma nonostante ciò risulta evidente una progressiva diminuzione di peso.
Se il diabete è presente da molto tempo possono insorgere ulteriori complicazioni correlate, come la cataratta (opacizzazione del cristallino) o lo sviluppo di infezioni (spesso del tratto urinario ma anche respiratorio e cutaneo).
Diagnosi
La diagnosi di diabete mellito nel cane si basa inizialmente sulla presenza di una combinazione di segni clinici in associazione a iperglicemia persistente e glucosio nelle urine (glicosuria).
Una volta formulata la diagnosi è di primaria importanza effettuare ulteriori accertamenti per verificare la presenza di complicazioni o malattie concomitanti potenzialmente scatenanti o aggravanti il diabete mellito.
Terapia
La terapia del diabete è una terapia multimodale che coinvolge tantissimi fattori e spesso anche tante figure cliniche diverse che non sono per forza tutte riassunte nel medico di base.
La gestione terapeutica si prefigge l’obiettivo di eliminare/ridurre i segni clinici, prevenire le complicazioni a breve termine ed assicurare una prospettiva buona qualità di vita.
Quando parliamo di insulina dobbiamo ricordare che alcune sono più potenti ed altre meno e di solito la potenza è inversamente correlata alla durata di azione. Insuline molto potenti sono insuline rapide, che di solito si utilizzano nella chetoacidosi diabetica.
Nel cane in genere si utilizzano insuline lente, intermedie o anche le ultralente.
Dieta ed integrazioni in corso di diabete nel cane
Da un punto di vista nutrizionale, il diabete mellito è forse una delle situazioni più complesse e a volte anche frustranti da dover gestire.
La gestione alimentare è una componente importante del piano di trattamento.
Essa non può sostituire la somministrazione di insulina esogena ma può essere d’aiuto nel migliorare il controllo della glicemia.
La terapia dietetica dovrebbe fornire un alimento nutrizionalmente completo ed appetibile che venga prontamente consumato. Inoltre deve fare in modo che possa essere raggiunta e mantenuta una condizione fisica ottimale.
I punti salienti della dieta di un cane diabetico sono sostanzialmente questi:
– Acqua: un adeguato apporto idrico è di fondamentale importanza e non deve mai essere sottovalutato poiché in corso di diabete si ha un incremento della perdita di acqua dovuta alla diuresi osmotica associata alla glicosuria.
– Proteine: le diete per cani diabetici dovrebbero contenere un’elevata quantità di proteine al fine di ridurre l’apporto energetico somministrato con i carboidrati e di conservare al meglio la massa magra del soggetto.
– Carboidrati: la quantità di carboidrati da inserire in una dieta per cani diabetici non è definita con precisione, ma deve comunque risultare contenuta. Per quello che riguarda l’essenzialità dei carboidrati, spesso si sente dire che i carboidrati nella dieta del cane diabetico sono essenziali, in realtà al momento non ci sono evidenze del fatto che siano essenziali. Nel senso che non c’è uno studio nel cane diabetico che valuti cosa succede con una dieta priva di amidi. Di maggior rilevanza è la scelta del tipo di carboidrato da far assumere all’animale che dovrebbe orientarsi verso l’utilizzo di carboidrati complessi e con un basso indice glicemico.
– La regolarità dei pasti: nel cane devono essere 2, sempre alla stessa ora, in corrispondenza della somministrazione di insulina e devono essere ben standardizzati come quantità e come ingredienti. Evitare extra o snack soprattutto durante i primi mesi.
– Per quanto riguarda minerali e vitamine ricordiamoci che possono avere carenze di tanti e diversi nutrienti dovuto ad un aumento dell’escrezione con l’urina ma anche a problemi di regolazione osmotica.
Integrazioni
Una delle carenze più frequenti da vedere nel cane diabetico, molto grave, è la carenza di vitamina D. Integrarla migliorerà la qualità della vita.
Per quello che riguarda le integrazioni funzionali, ovviamente gli omega3 per diversi motivi.
In parte perché hanno un ruolo importante nella regolazione del metabolismo dei grassi, in parte perché hanno un ruolo fondamentale nella lipogenesi ma anche nell’aumentare la beta ossidazione a livello mitocondriale. In parte anche perché sembrano ridurre l’assorbimento intestinale di glucosio.
Ma soprattutto la cosa che a noi interessa di più, su cui non ci sono studi nel cane, è la regolazione dello stato infiammatorio a livello periferico e conseguentemente la regolazione della resistenza all’insulina.
Per quello che riguarda gli antiossidanti, fino a poco tempo fa si pensava che gli antiossidanti fossero importanti perché è dimostrato che nei diabetici ci sia un maggior stato ossidativo a livello di organismo. Ma ultimamente è uscito uno studio che dimostra come la vitamina E abbia un ruolo non solamente sulla regolazione dell’ossidazione dell’organismo ma anche a livello di controllo della glicemia.
Diabete nel cane e disbiosi
Nell’uomo si stanno facendo tantissimi studi in questo senso. Sarebbe molto interessante sapere se la disbiosi sia causa o conseguenza della patologia.
Sicuramente è dimostrato che ad una condizione di diabete sia di tipo 1 sia di tipo 2 segue un aumento della permeabilità intestinale. Con varie alterazioni a livello di metaboloma e disbiosi.
Uno studio è andato a documentare come anche nei cani con diabete insulino-dipendente ci siano dei pattern di disbiosi per cui possiamo affermare che il microbiota è fondamentale nel controllo della glicemia.
Parola d’ordine: standardizzazione!
Per quanto riguarda il trattamento del diabete uno degli aspetti in assoluto più importanti è l’educazione del proprietario. Questo vale per tantissime malattie ma per il diabete ancor di più perchè è il proprietario che dovrà monitorare il proprio animale, somministrare l’insulina e molto altro.
La comunicazione è fondamentale. Il proprietario deve essere istruito riguardo la preparazione corretta del prodotto insulinico al fine di ottenere una somministrazione efficace. E’ necessario assicurarsi che vengano utilizzate siringhe idonee alla concentrazione dell’insulina utilizzata.
Al proprietario va insegnata la costanza assoluta sia in termini di dieta sia di esercizio fisico che deve essere regolare, moderato, sempre uguale e sempre alla stessa ora.
Monitoraggio terapeutico
Generalmente il cane con diabete mellito necessita di circa 2 o 3 mesi prima di raggiungere un controllo glicemico adeguato o sono necessari controlli clinici periodici per tutta la vita dell’animale.
Inizialmente i controlli dovrebbero essere più frequenti poi con il passare del tempo gli intervalli possono essere più estesi.
Prognosi
La prognosi per un animale diabetico dipende da numerosi fattori riguardanti lo stato del paziente, l’età del soggetto, la diagnosi precoce, l’ottenimento di un buon controllo glicemico attraverso una terapia e una dieta adeguata, la presenza di malattie intercorrenti e complicazioni.
Un ruolo fondamentale nella prognosi è dato dall’impegno del proprietario.
Articolo della Dr.ssa Laura Mancinelli, DVM
- Pubblicato il Laura Mancinelli
I gatti possono bere il latte?
Assieme al riso e alla pasta sciacquati, credo che non esista una leggenda metropolitana più dura a morire di quella di dare il latte al gatto. In questo articolo chiariamo una volta per tutte come non sia una buona idea dare latte ai gatti, da dove provenga questo falso mito, se il gatto è intollerante o meno al lattosio e quali siano benefici e controindicazioni del dare il latte ai gatti.
Fra i luoghi comuni riguardo l’alimentazione del gatto, sicuramente la sua passione per il latte è uno di quelli più conosciuti. In realtà, per quanto possa risultare gradito al gusto, è molto difficile da digerire per la maggior parte dei gatti. Per questo è importante sapere quanto ci sta di vero in questa leggenda metropolitana e quanto invece non corrisponde a fatti certi e può essere anzi un pericolo per il nostro gatto.
Ne parliamo assieme, così ci chiariamo un po’ le idee.
Da dove vengono i falsi miti
La storia di dare al gatto la ciotolina di latte (caldo possibilmente) penso sia davvero uno dei miti più ricorrenti, forse anche perché presente in tanti film e cartoni animati. Ovviamente alcuni gatti potrebbero esserne attratti.
Si tratta di un alimento di origine animale, dopo tutto, ricco di proteine e di grassi. Da bravo carnivoro il gatto ovviamente ama alimenti di questo tipo.
Il gatto però, a differenza di una buona parte della popolazione umana, non ha capacità di digerire il lattosio, di cui il latte vaccino fra l’altro è particolarmente ricco. Questo zucchero ha bisogno di un enzima particolare, chiamato lattasi, per essere digerito e quindi assimilato. Il gatto adulto manca di lattasi.
Per questo se lo somministriamo nella maggior parte dei casi otterremo fermentazione e diarrea, dovuta proprio alla scarsa digeribilità del lattosio.
Gatti e lattosio: dipende dal momento della vita
Come abbiamo visto parlando di latte ai gattini neonati, effettivamente i gatti nascono, come tutti i mammiferi, con la capacità di digerire il lattosio. Il problema però è che il latte che devono bere i gattini è comunque un latte di diverso rispetto a quello bovino. Essendo pensato per crescere un piccolo carnivoro, il latte della gatta infatti è molto più ricco di proteine e di grassi, mentre è povero di zuccheri (il lattosio appunto). Anche ad un gattino neonato quindi, con una perfetta capacità di digerire il latte di gatta, provocheremo diarrea e disidratazione se diamo latte vaccino.
Con il passare delle settimane poi, a partire circa dai 2 mesi di vita, il gattino perde la capacità residua di digerire il lattosio. In questo senso, è lo stesso principio degli esseri umani che vengono definiti intolleranti al lattosio: manca del tutto l’enzima lattasi in grado di digerire il latte. Quando adottiamo un micio quindi, a meno che non si tratti di un orfano, è estremamente probabile che non possa già digerire più il latte. Se invece si tratta di un gattino molto piccolo, sotto le 4-5 settimane di vita, dobbiamo scegliere un latte apposito per gattini.
Infine, se a qualcuno venisse il dubbio: no, neanche il latte privo di lattosio va bene per il gatto. In questo caso infatti, si tratta di un alimento che probabilmente non provocherà diarrea (il lattosio è già “pre-digerito” infatti), ma che comunque è troppo ricco di zuccheri per l’alimentazione giornaliera del nostro gatto.
Benefici e controindicazioni per il gatto
Per quel che riguarda i benefici per il gatto questi sono davvero pochi.
Il latte può essere utilizzato infatti, in piccole quantità e sotto controllo di un medico veterinario esperto in nutrizione, come terapia per la costipazione. Sottolineo che, pur essendo un rimedio assolutamente naturale, debba essere utilizzato sotto controllo medico perché come visto sopra il latte tende a creare, tramite un meccanismo osmotico, disidratazione nel paziente. Se abbiamo il gatto costipato quindi si potrebbe utilizzare un goccio di latte per aiutarlo a svuotarsi, ma solo curando in contemporanea la sua idratazione corretta.
Per quel che riguarda le controindicazioni invece possiamo dire che sono tantissime.
Il latte vaccino in genere è totalmente controindicato per il gatto, in tutte le fasi della sua vita. Anche il latte di capra, che si utilizza per altre specie, risulta troppo zuccherino per il nostro piccolo carnivoro domestico.
Se il nostro gatto arrivasse a berlo ci dovremmo aspettare sintomatologia nel giro di 4-12 ore. I sintomi più comuni possono essere diarrea e vomito. La diarrea in particolare, soprattutto se la quantità ingerita di latte è notevole, sarà liquida, quasi acquosa. Nell’eventualità è ovviamente importante portare il nostro gatto dal medico veterinario curante, per una visita clinica.
Il latte non è infatti mortale né tossico in sé per il gatto, ma il problema è che la disidratazione che può conseguirne può essere anche molto grave.
Infine, anche se il vostro gatto fosse di quei pochi che riescono a digerire il lattosio, vi consiglio di non somministrarlo ugualmente. Si tratta infatti pur sempre di uno zucchero, che se dato giornalmente può provocare alterazioni, esattamente come qualsiasi altro zucchero dato ad un carnivoro, provocando nella migliore delle ipotesi delle fermentazioni anomale.
Articolo della dott.ssa Maria Mayer, DMV per Kodami
- Pubblicato il Maria Mayer