Perché i gatti amano le olive ?
Le olive sono un cibo stranamente attraente per molti gatti. Ricche di grassi e antiossidanti, si potrebbe pensare che sia solo per quello che sono tanto desiderate. In questo articolo scopriamo le reali motivazioni per cui un gatto ama le olive, quali sono i rischi e cosa fare se il gatto mangia troppe olive.
Sinceramente quando mi hanno chiesto “perché i gatti amano le olive” mi hanno trovata un po’ spiazzata.
Non ci avevo mai pensato e non mi ero mai fatta questa domanda.
Sarà mi sono detta, perché sono ricche di grassi e quindi hanno in generale un sapore più appetitoso per i gatti.
In realtà approfondendo il discorso ho trovato qualcosa di parecchio più interessante! Vediamolo assieme
I gatti e il loro amore per le olive
Secondo studi abbastanza recenti (2016), le olive contengono un composto chiamato nepetalactolo, appartenente alla medesima famiglia degli iridoidi e parente del nepetalactone presente anche nell’erba gatta (Nepeta cataria, da cui il nome chimico), con effetti euforizzanti sul nostro micio.
Diversi studi dimostrano come il nepetalactolo sia la sostanza responsabile di tanti degli effetti che verifichiamo quando il nostro micio incontra la vera erba gatta (non la classica gramigna). Anche se è facile interpretare la risposta del vostro gatto all’erba gatta come un comportamento giocoso, in realtà questa è mediata da sostanze chimiche ad effetti ben precisi e che si è scoperto avere dei risvolti utili nell’adattamento per la sopravvivenza.
Il micio, infatti, quando incontra la Nepeta cataria, vuole leccarla e masticarne le foglie, strusciare il muso e tutto il corpo sulla pianta stessa e non tanto ingoiarla. Anzi, il nepetalactone dato per bocca non ha quasi effetti sul comportamento e la fisiologia del gatto. Questo fatto molto interessante potrebbe essere collegato al fatto che quando il gatto si struscia nella Nepeta cataria, ottiene dalle foglie “ammaccate” e masticate, una grande quantità di sostanze repellenti per parassiti e insetti.
Insomma, l’amore per le olive potrebbe essere legato a queste sostanze chimiche, oltre – banalmente – al fatto che sono ricche di grassi e generalmente salate e quindi molto appetibili per il nostro gatto. Anche perché se questi ultimi due fattori non fossero influenti (grasso e sale), i nostri gatti dovrebbero volersi strusciare solo nelle olive e non mangiarle!

parente del nepetalactone presente anche nell’erba gatta
Rischi per il gatto che mangia le olive
In linea generale le olive sono un alimento sicuro per il gatto. Dobbiamo però fare attenzione ad alcuni aspetti particolari:
- Nocciolo: anche se un gatto è generalmente abbastanza intelligente e non credo arrivi a mandare già il nocciolo di un’oliva, meglio dargliele come pasta di olive oppure denocciolate, per evitare rischi;
- Sale: il sale non ha effetti negativi in generale sulla salute del gatto, se non in quantità eccessive. Dato che le olive sono spesso in salamoia, dobbiamo fare attenzione che siano sciacquate almeno in parte da questa, per evitare un’intossicazione da sale.
Per il resto, unico altro rischio che ci rimane se il nostro gatto ci prende la mano, sono l’obesità e le indiscrezioni alimentari, ovvero una diarrea (e potenzialmente pancreatite) legata ad un eccessivo consumo di olive. Per quanto questi eccessi non siano comuni nel gatto, fateci attenzione quindi!
Cosa fare se il gatto ha mangiato molte olive
Se il gatto mangia troppe olive, dobbiamo prima di tutto chiederci se avevano il nocciolo. Lo so che sembra banale, ma se erano con il nocciolo dovete correre immediatamente in pronto soccorso veterinario, in quanto i noccioli possono essere un rischio molto serio per un intestino piccolo come quello del nostro gatto.
Se invece erano olive denocciolate, il rischio maggiore è quello della indiscrezione alimentare ed eventuale pancreatite annessa. Tenete monitorato il vostro gatto e se durante le 24-48 ore successive all’ingestione dovesse presentare sintomi di malessere (vomito, diarrea, o anche solo disappetenza) portatelo in visita.
Articolo della dott.ssa Maria Mayer, DMV per Kodami
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L’alimentazione del furetto
Il furetto è un piccolo mustelide, un mammifero domestico discendente della puzzola europea.
Alla stessa famiglia appartengono l’ermellino, la donnola e persino la lontra, il mustelide di più grandi dimensioni.
Sono animali dal corpo allungato, con gli arti corti, in grado di infilarsi ovunque!
Dal punto di vista nutrizionale si tratta di un carnivoro stretto, ancora più del gatto.
Qual è l’alimentazione ideale per un furetto?
Quali errori è importante evitare per non incorrere in problemi di salute?
Vediamolo insieme!
Il furetto, un piccolo carnivoro
Il furetto è un carnivoro, ce lo racconta con ogni dettaglio della sua anatomia e della fisiologia.
Ha canini robusti e premolari e molari conformati per masticare e triturare anche le ossa.
Lo stomaco ha una struttura semplice e può dilatarsi molto.
L’intestino è corto e il tempo di transito del cibo lungo l’apparato digerente è molto breve: nell’arco di tre o quattro ore il cibo viene completamente processato.
Il microbiota del furetto
I batteri maggiormente presenti nel microbiota del furetto sono anaerobi, come alcuni Clostridi e Helicobacter.
Anche per questa specie gli studi ci dicono che una scarsa variabilità del microbiota può essere associata a molte patologie, tra cui quelle del neurosviluppo.
Per questo è fondamentale che il furetto riceva la giusta alimentazione fin dallo svezzamento: nei primi mesi di vita i furetti acquisiscono le abitudini alimentari e convincerli a cambiare dieta da adulti non è affatto semplice!

può essere una buona alternativa anche per il furetto.
Furetto e alimentazione
Il furetto è un carnivoro stretto. Il suo precursore selvatico si nutre di piccoli mammiferi, topi, ratti, arvicole, lepri e conigli. Ma anche ricci e piccoli uccelli, uova, rettili e anfibi.
La loro dieta può essere costituita solo da alimenti di origine animale. Proteine di elevato valore biologico e grassi sono le fonti energetiche principali.
Purtroppo però la maggior parte dei prodotti per furetti in commercio contengono quote più o meno elevate di cereali e proteine e fibra di origine vegetale, che i furetti non sono predisposti a digerire e assimilare efficacemente.
Un’alimentazione di questo tipo, protratta nel tempo, può predisporre a numerose patologie: fermentazioni intestinali anomale, infiammazione e patologie intestinali croniche, insulinoma.
L’insulinoma è una patologia frequente del furetto: si tratta di un’alterazione progressiva del pancreas che determina abbassamento eccessivo del glucosio nel sangue con tremori, convulsioni e morte nei casi più gravi.
La dieta ideale per il furetto dev’essere varia e bilanciata, con un elevato tenore di proteine e grassi di origine animale, pochissima fibra e una quantità contenuta di carboidrati.
Andrebbero forniti piccoli pasti frequenti, evitando il digiuno prolungato.
Senza dimenticare che si tratta di un animale dalle abitudini crepuscolari-notturne, che dovrebbe mangiare dal tardo pomeriggio in poi.
Quali sono gli errori da evitare?
- Cibi ricchi di proteine e grassi vegetali
- Diete con carenza di acidi grassi essenziali, in particolare il linoleico, l’alfa linolenico e l’arachidonico
- Un contenuto di fibra troppo elevato, che può provocare diarrea e patologie infiammatorie intestinali
- Troppi carboidrati e zuccheri, che possono indurre nel tempo degenerazione neoplastica del pancreas
- Eccesso di grassi polinsaturi, peggio ancora se in carenza di vitamina E
BARF e furetto
La dieta BARF, che ben conosciamo per cani e gatti, può essere una buona alternativa anche per il furetto.
Può essere composta anche in questo caso da CSO (carne senza osso), organi e OP (ossa polpose), opportunamente formulata in modo da poter essere sia completa e bilanciata che adatta per la taglia del furetto.
Il vantaggio principale è quello di essere una dieta più simile a quella per la quale questi animali si sono specializzati nel corso di millenni di evoluzione.
Le criticità sono le stesse da considerare per cane e gatto, in particolare le questioni igienico-sanitarie che richiedono senza dubbio attenzione nella conservazione e preparazione del cibo, e le OP che devono essere di dimensione e consistenza adeguate.
Conclusione
L’alimentazione fresca nel furetto può essere una valida alternativa ai prodotti commerciali, che hanno una composizione troppo spesso non adatta per questi predatori carnivori e che protratta per mesi ed anni può essere fonte di gravi patologie.
In più la dieta fresca può essere formulata in modo individualizzato per il singolo animale, con le proprie caratteristiche peculiari, tenendo in considerazione il sesso, l’età e anche le condizioni cliniche, traendo dall’alimentazione il massimo in termini di prevenzione e di cura.
Articolo della dott.ssa Cinzia Ciarmatori, DMV
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Il diabete mellito nel cane
Il diabete nel cane è una delle più frequenti endocrinopatie.
Da un punto di vista scientifico ci sono ancora tanti i dubbi ma poiché sia la medicina umana sia quella veterinaria sono in costante evoluzione, lo è anche la ricerca a riguardo. La gestione del cane diabetico si deve basare su quattro fattori fondamentali: la terapia insulinica, l’attività fisica, un corretto trattamento nutrizionale ed un’ottima “compliance” con il proprietario.
In questo articolo vi parleremo di come riconoscere il diabete nel cane. E di quanto sia importante la sua gestione al fine di ottenere un buon controllo sulla sintomatologia clinica.
Che cos’è il diabete mellito
Il diabete mellito è un insieme di patologie metaboliche caratterizzate da uno stato di iperglicemia persistente. Dovuto ad un deficit di secrezione o di azione dell’insulina o ad entrambi.
Si distingue sostanzialmente in diabete di tipo insulino-dipendente e non insulino-dipendente.
Il diabete di tipo 1 (insulino-dipendente) è più frequente nel cane mentre il diabete di tipo 2 è quello più frequente nel gatto (non insulino-dipendente).
L’incidenza di questa patologia nel cane varia dallo 0.32 allo 0.6%.
Le razze maggiormente colpite risultano essere il Setter Irlandese, il Barbone, lo Yorkshire, lo Schnauzer nano, il Samoiedo, il Setter Inglese ed il Labrador Retriever. Ma potenzialmente tutte le razze possono essere colpite.
Come presentazione da un punto di vista del segnalamento sono soprattutto femmine e l’età è intorno ai 7 anni.
Esistono altre forme di diabete mellito, tra cui quelle dette “secondarie”. Nel caso di cani che assumono farmaci corticosteroidi o progestinici, in alcune femmine durante la fase diestrale del ciclo (chiamato diabete progesterone-dipendente).
In questi casi c’è una resistenza all’insulina a livello periferico per cui le cagne vanno sterilizzate il prima possibile per non incorrere ad un diabete non più reversibile. Inoltre ci sono quelle concomitanti ad altre endocrinopatie come può essere l’iperadrenocorticismo.

Dovuto ad un deficit di secrezione o di azione dell’insulina o ad entrambi.
Patogenesi del diabete nel cane
Nel cane la causa sottostante al momento non è del tutto chiara.
Si ritiene si tratti di una malattia multifattoriale. In cui predisposizione genetica, pancreatiti con distruzione immuno-mediata progressiva del pancreas o alcune situazioni predisponenti quali la sindrome di Cushing, l’iperlipemia e l’obesità inducendo insulino-resistenza possono provocare l’esaurimento funzionale del pancreas.
Sintomi
Il glucosio presente in eccesso nel sangue viene espulso con le urine. Causando uno squilibrio nei reni ed un’eccessiva produzione di urine (poliuria) che porterà il cane a disidratarsi e lo stimolerà a bere più del solito (polidipsia).
Il cane diabetico ha solitamente un appetito molto marcato (polifagia) ma nonostante ciò risulta evidente una progressiva diminuzione di peso.
Se il diabete è presente da molto tempo possono insorgere ulteriori complicazioni correlate, come la cataratta (opacizzazione del cristallino) o lo sviluppo di infezioni (spesso del tratto urinario ma anche respiratorio e cutaneo).
Diagnosi
La diagnosi di diabete mellito nel cane si basa inizialmente sulla presenza di una combinazione di segni clinici in associazione a iperglicemia persistente e glucosio nelle urine (glicosuria).
Una volta formulata la diagnosi è di primaria importanza effettuare ulteriori accertamenti per verificare la presenza di complicazioni o malattie concomitanti potenzialmente scatenanti o aggravanti il diabete mellito.
Terapia
La terapia del diabete è una terapia multimodale che coinvolge tantissimi fattori e spesso anche tante figure cliniche diverse che non sono per forza tutte riassunte nel medico di base.
La gestione terapeutica si prefigge l’obiettivo di eliminare/ridurre i segni clinici, prevenire le complicazioni a breve termine ed assicurare una prospettiva buona qualità di vita.
Quando parliamo di insulina dobbiamo ricordare che alcune sono più potenti ed altre meno e di solito la potenza è inversamente correlata alla durata di azione. Insuline molto potenti sono insuline rapide, che di solito si utilizzano nella chetoacidosi diabetica.
Nel cane in genere si utilizzano insuline lente, intermedie o anche le ultralente.
Dieta ed integrazioni in corso di diabete nel cane
Da un punto di vista nutrizionale, il diabete mellito è forse una delle situazioni più complesse e a volte anche frustranti da dover gestire.
La gestione alimentare è una componente importante del piano di trattamento.
Essa non può sostituire la somministrazione di insulina esogena ma può essere d’aiuto nel migliorare il controllo della glicemia.
La terapia dietetica dovrebbe fornire un alimento nutrizionalmente completo ed appetibile che venga prontamente consumato. Inoltre deve fare in modo che possa essere raggiunta e mantenuta una condizione fisica ottimale.
I punti salienti della dieta di un cane diabetico sono sostanzialmente questi:
– Acqua: un adeguato apporto idrico è di fondamentale importanza e non deve mai essere sottovalutato poiché in corso di diabete si ha un incremento della perdita di acqua dovuta alla diuresi osmotica associata alla glicosuria.
– Proteine: le diete per cani diabetici dovrebbero contenere un’elevata quantità di proteine al fine di ridurre l’apporto energetico somministrato con i carboidrati e di conservare al meglio la massa magra del soggetto.
– Carboidrati: la quantità di carboidrati da inserire in una dieta per cani diabetici non è definita con precisione, ma deve comunque risultare contenuta. Per quello che riguarda l’essenzialità dei carboidrati, spesso si sente dire che i carboidrati nella dieta del cane diabetico sono essenziali, in realtà al momento non ci sono evidenze del fatto che siano essenziali. Nel senso che non c’è uno studio nel cane diabetico che valuti cosa succede con una dieta priva di amidi. Di maggior rilevanza è la scelta del tipo di carboidrato da far assumere all’animale che dovrebbe orientarsi verso l’utilizzo di carboidrati complessi e con un basso indice glicemico.
– La regolarità dei pasti: nel cane devono essere 2, sempre alla stessa ora, in corrispondenza della somministrazione di insulina e devono essere ben standardizzati come quantità e come ingredienti. Evitare extra o snack soprattutto durante i primi mesi.
– Per quanto riguarda minerali e vitamine ricordiamoci che possono avere carenze di tanti e diversi nutrienti dovuto ad un aumento dell’escrezione con l’urina ma anche a problemi di regolazione osmotica.
Integrazioni
Una delle carenze più frequenti da vedere nel cane diabetico, molto grave, è la carenza di vitamina D. Integrarla migliorerà la qualità della vita.
Per quello che riguarda le integrazioni funzionali, ovviamente gli omega3 per diversi motivi.
In parte perché hanno un ruolo importante nella regolazione del metabolismo dei grassi, in parte perché hanno un ruolo fondamentale nella lipogenesi ma anche nell’aumentare la beta ossidazione a livello mitocondriale. In parte anche perché sembrano ridurre l’assorbimento intestinale di glucosio.
Ma soprattutto la cosa che a noi interessa di più, su cui non ci sono studi nel cane, è la regolazione dello stato infiammatorio a livello periferico e conseguentemente la regolazione della resistenza all’insulina.
Per quello che riguarda gli antiossidanti, fino a poco tempo fa si pensava che gli antiossidanti fossero importanti perché è dimostrato che nei diabetici ci sia un maggior stato ossidativo a livello di organismo. Ma ultimamente è uscito uno studio che dimostra come la vitamina E abbia un ruolo non solamente sulla regolazione dell’ossidazione dell’organismo ma anche a livello di controllo della glicemia.
Diabete nel cane e disbiosi
Nell’uomo si stanno facendo tantissimi studi in questo senso. Sarebbe molto interessante sapere se la disbiosi sia causa o conseguenza della patologia.
Sicuramente è dimostrato che ad una condizione di diabete sia di tipo 1 sia di tipo 2 segue un aumento della permeabilità intestinale. Con varie alterazioni a livello di metaboloma e disbiosi.
Uno studio è andato a documentare come anche nei cani con diabete insulino-dipendente ci siano dei pattern di disbiosi per cui possiamo affermare che il microbiota è fondamentale nel controllo della glicemia.
Parola d’ordine: standardizzazione!
Per quanto riguarda il trattamento del diabete uno degli aspetti in assoluto più importanti è l’educazione del proprietario. Questo vale per tantissime malattie ma per il diabete ancor di più perchè è il proprietario che dovrà monitorare il proprio animale, somministrare l’insulina e molto altro.
La comunicazione è fondamentale. Il proprietario deve essere istruito riguardo la preparazione corretta del prodotto insulinico al fine di ottenere una somministrazione efficace. E’ necessario assicurarsi che vengano utilizzate siringhe idonee alla concentrazione dell’insulina utilizzata.
Al proprietario va insegnata la costanza assoluta sia in termini di dieta sia di esercizio fisico che deve essere regolare, moderato, sempre uguale e sempre alla stessa ora.
Monitoraggio terapeutico
Generalmente il cane con diabete mellito necessita di circa 2 o 3 mesi prima di raggiungere un controllo glicemico adeguato o sono necessari controlli clinici periodici per tutta la vita dell’animale.
Inizialmente i controlli dovrebbero essere più frequenti poi con il passare del tempo gli intervalli possono essere più estesi.
Prognosi
La prognosi per un animale diabetico dipende da numerosi fattori riguardanti lo stato del paziente, l’età del soggetto, la diagnosi precoce, l’ottenimento di un buon controllo glicemico attraverso una terapia e una dieta adeguata, la presenza di malattie intercorrenti e complicazioni.
Un ruolo fondamentale nella prognosi è dato dall’impegno del proprietario.
Articolo della Dr.ssa Laura Mancinelli, DVM
- Published in Laura Mancinelli
I gatti possono bere il latte?
Assieme al riso e alla pasta sciacquati, credo che non esista una leggenda metropolitana più dura a morire di quella di dare il latte al gatto. In questo articolo chiariamo una volta per tutte come non sia una buona idea dare latte ai gatti, da dove provenga questo falso mito, se il gatto è intollerante o meno al lattosio e quali siano benefici e controindicazioni del dare il latte ai gatti.
Fra i luoghi comuni riguardo l’alimentazione del gatto, sicuramente la sua passione per il latte è uno di quelli più conosciuti. In realtà, per quanto possa risultare gradito al gusto, è molto difficile da digerire per la maggior parte dei gatti. Per questo è importante sapere quanto ci sta di vero in questa leggenda metropolitana e quanto invece non corrisponde a fatti certi e può essere anzi un pericolo per il nostro gatto.
Ne parliamo assieme, così ci chiariamo un po’ le idee.
Da dove vengono i falsi miti
La storia di dare al gatto la ciotolina di latte (caldo possibilmente) penso sia davvero uno dei miti più ricorrenti, forse anche perché presente in tanti film e cartoni animati. Ovviamente alcuni gatti potrebbero esserne attratti.
Si tratta di un alimento di origine animale, dopo tutto, ricco di proteine e di grassi. Da bravo carnivoro il gatto ovviamente ama alimenti di questo tipo.
Il gatto però, a differenza di una buona parte della popolazione umana, non ha capacità di digerire il lattosio, di cui il latte vaccino fra l’altro è particolarmente ricco. Questo zucchero ha bisogno di un enzima particolare, chiamato lattasi, per essere digerito e quindi assimilato. Il gatto adulto manca di lattasi.
Per questo se lo somministriamo nella maggior parte dei casi otterremo fermentazione e diarrea, dovuta proprio alla scarsa digeribilità del lattosio.
Gatti e lattosio: dipende dal momento della vita
Come abbiamo visto parlando di latte ai gattini neonati, effettivamente i gatti nascono, come tutti i mammiferi, con la capacità di digerire il lattosio. Il problema però è che il latte che devono bere i gattini è comunque un latte di diverso rispetto a quello bovino. Essendo pensato per crescere un piccolo carnivoro, il latte della gatta infatti è molto più ricco di proteine e di grassi, mentre è povero di zuccheri (il lattosio appunto). Anche ad un gattino neonato quindi, con una perfetta capacità di digerire il latte di gatta, provocheremo diarrea e disidratazione se diamo latte vaccino.
Con il passare delle settimane poi, a partire circa dai 2 mesi di vita, il gattino perde la capacità residua di digerire il lattosio. In questo senso, è lo stesso principio degli esseri umani che vengono definiti intolleranti al lattosio: manca del tutto l’enzima lattasi in grado di digerire il latte. Quando adottiamo un micio quindi, a meno che non si tratti di un orfano, è estremamente probabile che non possa già digerire più il latte. Se invece si tratta di un gattino molto piccolo, sotto le 4-5 settimane di vita, dobbiamo scegliere un latte apposito per gattini.
Infine, se a qualcuno venisse il dubbio: no, neanche il latte privo di lattosio va bene per il gatto. In questo caso infatti, si tratta di un alimento che probabilmente non provocherà diarrea (il lattosio è già “pre-digerito” infatti), ma che comunque è troppo ricco di zuccheri per l’alimentazione giornaliera del nostro gatto.

Il problema però è che il latte che devono bere i gattini è comunque un latte di diverso rispetto a quello bovino.
Benefici e controindicazioni per il gatto
Per quel che riguarda i benefici per il gatto questi sono davvero pochi.
Il latte può essere utilizzato infatti, in piccole quantità e sotto controllo di un medico veterinario esperto in nutrizione, come terapia per la costipazione. Sottolineo che, pur essendo un rimedio assolutamente naturale, debba essere utilizzato sotto controllo medico perché come visto sopra il latte tende a creare, tramite un meccanismo osmotico, disidratazione nel paziente. Se abbiamo il gatto costipato quindi si potrebbe utilizzare un goccio di latte per aiutarlo a svuotarsi, ma solo curando in contemporanea la sua idratazione corretta.
Per quel che riguarda le controindicazioni invece possiamo dire che sono tantissime.
Il latte vaccino in genere è totalmente controindicato per il gatto, in tutte le fasi della sua vita. Anche il latte di capra, che si utilizza per altre specie, risulta troppo zuccherino per il nostro piccolo carnivoro domestico.
Se il nostro gatto arrivasse a berlo ci dovremmo aspettare sintomatologia nel giro di 4-12 ore. I sintomi più comuni possono essere diarrea e vomito. La diarrea in particolare, soprattutto se la quantità ingerita di latte è notevole, sarà liquida, quasi acquosa. Nell’eventualità è ovviamente importante portare il nostro gatto dal medico veterinario curante, per una visita clinica.
Il latte non è infatti mortale né tossico in sé per il gatto, ma il problema è che la disidratazione che può conseguirne può essere anche molto grave.
Infine, anche se il vostro gatto fosse di quei pochi che riescono a digerire il lattosio, vi consiglio di non somministrarlo ugualmente. Si tratta infatti pur sempre di uno zucchero, che se dato giornalmente può provocare alterazioni, esattamente come qualsiasi altro zucchero dato ad un carnivoro, provocando nella migliore delle ipotesi delle fermentazioni anomale.
Articolo della dott.ssa Maria Mayer, DMV per Kodami
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Il cane può mangiare le noci?
Ottime le noci e la frutta secca, sì, ma quando la diamo al nostro cane dobbiamo sapere che possono fare male. In questo articolo parliamo di cosa può succedere se il nostro cane mangia delle noci e quali tipi di frutta secca può invece mangiare in sicurezza.
Le noci sono certamente uno dei frutti secchi che incontriamo più frequentemente sulle nostre tavole, specialmente in inverno, ma il cane può mangiarle? La risposta in linea generale è sì, ma con estrema moderazione. Questo non a causa della quantità di grassi, come molto spesso riportato in articoli divulgativi incontrati sul web. Il cane infatti, come quasi tutti i carnivori, ha un’ottima capacità di digestione dei grassi e pensare che quello di poche noci possa dargli noia è un’assurdità. Quello che invece può far male al nostro cane sono sostanze attive sul sistema nervoso presenti soprattutto in alcuni tipi di noci. Vediamolo assieme.
Perché le noci possono far male al cane
Non tutte le noci sono tossiche per il cane. In generale, le noci sicuramente tossiche sono le noci di macadamia: prodotto non facilmente reperibile in Italia, dato che sono originarie di Australia e Stati Uniti, le noci di macadamia sono un alimento ricco di selenio ma altamente tossico per il cane. Questo tipo di noci infatti possono provocare sintomatologia neurologica, con debolezza, tremori muscolari e persino paralisi, se ingerite in alte dosi. In caso il vostro cane mangi noci di macadamia quindi di corsa dal veterinario, poco importa la dose, meglio effettuare almeno una visita clinica.
Le noci comuni invece che troviamo sulle nostre tavole in inverno e che molti cani si procurano persino da soli nei giardini (possono diventare bravissimi a sgusciarle), non hanno una tossicità così marcata. Le noci comuni però, pur avendo fantastiche proprietà nutrizionali (sono ricche infatti di magnesio, a forte azione antistress e rilassante) è meglio non vengano somministrate al cane. Ad alte dosi infatti (100g di noci sgusciate per un cane di 10kg circa) possono dare infatti anch’esse sintomatologia neurologica.
Cosa succede se un cane mangia noci e cosa fare
Come detto sopra, prima di tutto dobbiamo capire quante noci e quali abbia ingerito il nostro cane. Se non siete sicuri del tipo o della quantità è meglio che ricorriate comunque all’aiuto del vostro medico veterinario.
Se il vostro cane ha ingerito noci di macadamia, come detto sopra, la sintomatologia potrebbe apparire anche a basse dosi. Probabilmente i primissimi sintomi potrebbero essere vomito e/o diarrea. Successivamente, potrebbero insorgere sintomi neurologici con sbandamenti, atassia (incapacità di mantenere l’equilibrio) e tremori. Se non trattati questi sintomi possono evolvere in modo grave per cui è importante procedere con il ricovero.
Nel caso invece il vostro cane abbia mangiato alcune noci comuni, probabilmente non succederà nulla. Se le dosi fossero un pochino più alte di solo qualche noce, potreste notare che il cane ha vomito. Difficilmente la sintomatologia sarà più grave, anche se, come sempre, “è la dose che fa il veleno”.
Una questione a parte è quella dei cani “snocciolatori”, come li chiamo io, ovvero tutti quei cani allenatissimi a estrarre la noce direttamente dal mallo e poi dal guscio per mangiarsela felicemente direttamente dal prato sotto l’albero. In questo caso, attenzione perché il vomito, anche a distanza dal momento incriminato è frequente. Se il vostro cane vomita quindi in modo cronico e in giardino avete un albero di noci, nominatelo al vostro medico veterinario curante. Attenzione infine ai gusci duri, che ovviamente possono far male ai denti del vostro cane, causandone rottura o scheggiatura.

Quale frutta secca possono mangiare i cani
Dato che la frutta secca è molto amata anche da noi pet mate, non è detto che si debba rinunciare all’idea di condividerla con loro, potremmo decidere di darne magari altre, che non siano noci. Fra la frutta secca che un cane può mangiare con discreta sicurezza possiamo nominare:
- Nocciole: non più di 1 o 2 al giorno
- Mandorle: come le nocciole, in piccole dosi possono essere date
- Arachidi: non le amo molto, dato che sono ricche di acido arachidonico, ad azione proinfiammatoria, ma non sono pericolose in sé per il cane per cui se si vuole se ne può dare una o due al giorno.
- Pistacchi: anche i pistacchi si possono dare al cane, anche se è bene dosarne le quantità.
In linea generale, quando diamo frutta secca, cerchiamo di evitare quella troppo salata (arachidi soprattutto) e di privilegiare piccole quantità, tenendo anche conto della taglia del nostro amico.
Articolo della dott.ssa Maria Mayer, DMV per Kodami
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