Telemedicina e nutrizione veterinaria
La nutrizione veterinaria è una disciplina che per motivi diversi si coniuga molto bene con la Telemedicina.
Ma cosa si intende per Telemedicina? Come si svolge una consulenza nutrizionale a distanza?
Quali sono i vantaggi e gli svantaggi rispetto ad una visita in presenza?
La Telemedicina non è una novità degli ultimi anni, in medicina umana è studiata da decenni e oggi anche il settore veterinario comincia ad utilizzarla in molti ambiti.
Vediamo di cosa si tratta e perché può esserci utile.
Telemedicina veterinaria. Di cosa si tratta?
In medicina umana la Telemedicina è in uso da almeno trent’anni.
Nel 2005 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha cominciato a studiarla e implementarla attraverso un osservatorio globale, per fornire assistenza medica e servizi umanitari anche nei luoghi del mondo più disagiati.
Ogni aspetto, dall’etica, alla politica, dalla sostenibilità economica agli standard procedurali e strumentali è stato approfondito nel corso del tempo.
Gli scenari degli ultimi anni, legati alla gestione dell’emergenza pandemica, hanno contribuito ad accelerare un processo già in atto da tempo. E non, come si potrebbe pensare, a crearlo da zero.
Per quanto riguarda l’ambito veterinario invece si fa risalire al 2016 la nascita ufficiale della Telemedicina, anche se in realtà possiamo pensare che da quando esistono i telefoni è iniziata la creazione di relazioni a distanza tra medici veterinari e famigliari dei pazienti.
La Telemedicina infatti non è altro che l’impiego di strumenti tecnologici (ormai davvero alla portata di tutti come gli smartphone) che mettono in connessione in tempo reale clienti/pazienti con medici, veterinari o altri professionisti della salute quando non si trovano fisicamente nello stesso luogo.
Nutrizione veterinaria e Telemedicina
La Telemedicina dunque non è una disciplina medica, è solo il modo in cui una prestazione sanitaria può essere erogata.
Questo significa anche che da un punto di vista legislativo e normativo non cambia nulla: si tratta sempre di un atto medico per il quale il professionista della salute è responsabile, sia da una prospettiva deontologica che legale.
Proprio per questo è fondamentale sottolineare che una consulenza in Telemedicina non può mai sostituire una visita in ambulatorio o in clinica, né può essere impiegata in condizioni di urgenza se non per il triage che precede la visita in presenza.
In alcuni ambiti però, e tra questi senz’altro la nutrizione, può essere una valida alleata. Ecco perché.
Nutrizione veterinaria e Telemedicina: vantaggi
Il nutrizionista veterinario è un medico veterinario con specifica preparazione ed esperienza in nutrizione.
Si tratta di una figura specialistica che può essere chiamata in causa da colleghi o colleghe che si occupano di medicina di base o di altri ambiti, per elaborare un piano nutrizionale per i propri pazienti.
La Telemedicina in questi casi consente di annullare le distanze e permette di far entrare il nutrizionista nell’equipe che ha già in cura il paziente.
In questo modo è possibile raggiungere e aiutare molti più animali e le loro famiglie.
Oppure sono gli stessi famigliari a rivolgersi direttamente al nutrizionista, chiedendo l’elaborazione di un piano nutrizionale per un cucciolo o un gattino, per animali adulti sani oppure in caso di patologie.
In tutte queste situazioni è importante (e tassativo in caso di animali con patologie in corso) che venga coinvolto il medico veterinario di base.
Anche in questi casi annullare le distanze permette di mettersi in contatto con professionisti che altrimenti non sarebbero raggiungibili, aumentando le probabilità di trovare chi può fare al caso nostro.
Senza dimenticare che in determinate situazioni, soprattutto in corso di malattie croniche ma anche nel caso di patologie o disturbi del comportamento, può essere vantaggioso non dover sottoporre gli animali allo stress del trasporto e della visita veterinaria.
Nutrizione veterinaria e Telemedicina: svantaggi
Come abbiamo avuto modo di capire una consulenza non è una visita e non può mai sostituirla: non è possibile (ancora!) effettuare una visita virtuale e “mettere le mani” sul paziente.
Per questo motivo è importante potersi fidare e affidare ai colleghi curanti. I loro pareri e le loro indicazioni sono fondamentali, così come quelli dei famigliari.
In molti casi poi è consigliabile eseguire esami diagnostici e monitoraggi. E anche in questo ambito è d’obbligo far riferimento a colleghi e colleghe che lavorano in strutture adeguatamente equipaggiate.

Consulenza nutrizionale a distanza. Come funziona?
Ogni professionista ha com’è ovvio le proprie preferenze e modalità.
In genere il contatto con i famigliari degli animali o con colleghi e colleghe curanti avviene via mail o al telefono.
Serve a capire quali sono le richieste e le esigenze e a decidere se è possibile proseguire fissando la consulenza. Oppure se si tratta di situazioni che richiedono una visita clinica urgente, alla quale si rimanda.
Se si può proseguire verrà fissato un appuntamento in modalità video o telefonica, in base alla scelta del professionista e/o del cliente.
A quel punto in genere viene richiesta la compilazione di questionari e formulari dettagliati, che consentono di raccogliere in via preliminare l’anamnesi.
Con particolare riferimento a quella nutrizionale: cosa e quanto mangia l’animale, cosa ha mangiato in precedenza, se vive con altri animali, quali sono i suoi gusti e molte altre cose ancora!
Anche la documentazione clinica verrà richiesta ed esaminata con attenzione. Esami del sangue recenti e passati, referti diagnostici o specialistici, foto, video. Tutto quello che può servire a ricostruire la storia e la situazione clinica del paziente.
Una volta arrivato il momento dell’appuntamento ci si collega con il medico veterinario nutrizionista nella modalità stabilita e inizia l’avventura!
Perché elaborare un piano nutrizionale è un lavoro fatto “a misura” del singolo paziente e della sua famiglia e richiede monitoraggio costante.
Gli animali, proprio come noi, cambiano nel tempo e in ogni fase di vita hanno necessità, anche nutrizionali, differenti di cui tenere conto.
Il segreto? Scegliere il nutrizionista che fa per noi.
La nutrizione veterinaria è un ambito che ha suscitato e continua a suscitare grande attenzione ed interesse.
Sono molte oggi le figure professionali che se ne occupano a vario titolo e in modi diversi e non sempre si tratta di medici veterinari.
La scelta dovrà sempre orientarsi verso professionisti di indubbia preparazione ed esperienza.
Il medico veterinario è l’unica figura “autorizzata” ad occuparsi di nutrizione in corso di patologia. Ma anche nel caso di cuccioli o gattini in accrescimento, di condizioni fisiologiche particolari come la gravidanza o l’allattamento e non solo, confrontarsi con professionisti con una preparazione medica alle spalle può fare la differenza.
E più di ogni altra cosa quello che conta è trovare un professionista con il quale creare una relazione di stima e fiducia. Nutrire un animale non è solo mettere un cibo piuttosto che un altro in una ciotola.
Molte cose, anche intangibili eppure preziose nel processo di cura come le emozioni, passano attraverso l’atto del nutrire.
Per questo è così importante creare relazioni di valore con il medico veterinario nutrizionista (e non solo!), basate su stima e rispetto umano e professionale.
La dieta può anche essere ben formulata, ma solo se la prepariamo e la offriamo con amore e fiducia sarà davvero perfetta!
Articolo della dott.ssa Cinzia Ciarmatori, DMV
- Pubblicato il Cinzia Ciarmatori
L’alimentazione in oncologia veterinaria
Quando un animale è affetto da malattia tumorale c’è bisogno di sostenere al meglio tutto l’organismo. Il primo alleato che ci viene incontro è l’alimentazione.
Che dieta possiamo scegliere in corso di neoplasia? Qual è il ruolo dell’alimentazione in oncologia?
I tumori in medicina veterinaria e l’alimentazione in oncologia
Purtroppo anche ai nostri animali capita di ammalarsi di tumore.
Quello della diagnosi è sempre un momento molto difficile e delicato, sia per loro che per la loro famiglia.
A volte i tumori si manifestano in maniera molto evidente, mentre altre volte i sintomi sono subdoli e servono vari percorsi diagnostici prima di riuscire ad avere una diagnosi definitiva.
Tutte queste situazioni, insieme allo stress della famiglia (ricordiamoci sempre che gli animali percepiscono le nostre emozioni!) possono sicuramente portare ad un risentimento da parte dell’intero organismo. Con conseguente indebolimento del sistema immunitario, peggioramento del quadro clinico complessivo e degli eventuali effetti collaterali di alcune terapie.
Le terapie mirate a sconfiggere o rallentare i tumori, come in medicina umana, prevedono a volte la chirurgia, a volte la chemioterapia, a volte la radioterapia. Altre volte una combinazione di alcune o tutte e tre.
Per quanto i farmaci chemioterapici in medicina veterinaria diano meno effetti collaterali di quelli che pensiamo e ci aspettiamo, si tratta comunque di farmaci molto potenti. Possono indebolire l’organismo ed il sistema immunitario e provocare qualche disturbo. Inoltre, se partiamo con un sistema immunitario più debole o con una flora intestinale meno forte e sana, potremmo avere effetti collaterali più marcati ed evidenti.
Ecco perché una dieta studiata a misura di paziente e della sua malattia neoplastica può sicuramente venirci in aiuto. Vediamo come.
L’alimentazione in oncologia e la dieta individualizzata
Partendo dal presupposto che ogni animale è un individuo diverso da tutti gli altri, che possono essere presenti altre patologie concomitanti e che ogni tumore è diverso sia per la sua natura che per gli effetti che può provocare sull’organismo, possiamo fare molto con una dieta naturale.
La dieta naturale (casalinga o Barf, vedremo meglio più avanti) ci permette di adattare la dieta ad ogni singola necessità del nostro animale. Tenendo sempre in considerazione tutte le sue caratteristiche e modulando ingredienti, quantità ed integrazioni in base alle esigenze di quello specifico momento. La dieta infatti si può sempre modificare al variare delle condizioni generali!
In caso di malattia oncologica, come si evince da molti studi in medicina umana, potrebbe essere particolarmente indicata una dieta chetogenica.

La dieta chetogenica (o simil chetogenica)
La dieta chetogenica prevede che l’energia che traiamo dagli alimenti derivi principalmente dai grassi e, in minor percentuale, dalle proteine. Contrariamente a quanto avviene generalmente, quando il glucosio dei carboidrati fornisce la maggior parte dell’apporto energetico all’organismo.
I carboidrati, in questo tipo di dieta, non vengono utilizzati se non in piccolissima percentuale e solo di determinate tipologie. In questo modo il corpo formerà a partire dai grassi i cosiddetti corpi chetonici (da qui il nome della dieta), non avendo a disposizione il glucosio.
Questo risulta molto utile in corso di malattia neoplastica: molti tumori, infatti, utilizzano il glucosio come nutrimento. Quindi meno gliene daremo con l’alimentazione, meno saranno in grado di nutrirsi e crescere.
Inoltre, il picco di insulina che si crea dopo il pasto sembra sia associato all’innalzamento di alcuni fattori che stimolano la crescita tumorale.
In medicina veterinaria è difficile adattare al cento per cento il modello di dieta chetogenica utilizzato in umana. Per questo infatti si parla di dieta simil chetogenica. Un esempio può essere una dieta casalinga senza carboidrati con un’alta percentuale di grassi.
Questi grassi, oltre ad essere introdotti gradualmente e sempre verificando la risposta dell’animale, non saranno scelti a caso: prediligeremo sempre acidi grassi a corta e media catena. Come l’olio di cocco o l’MCT oil, in quanto più digeribili e con numerose proprietà benefiche per tutto l’organismo (qui potete approfondirne le proprietà).
La dieta BARF
La dieta BARF sembrerebbe perfetta per soddisfare tutti i requisiti di una dieta chetogenica, dal momento che è composta principalmente da grassi e proteine e non prevede l’utilizzo di carboidrati.
Purtroppo però se l’animale deve effettuare dei trattamenti chemioterapici non è consigliabile a causa della possibile depressione del sistema immunitario (Ne abbiamo parlato in questo articolo).
Tumori e disbiosi: il ruolo dell’alimentazione in oncologia
Spesso al tumore è associata anche la disbiosi, ovvero l’alterazione del microbiota (la cosiddetta flora intestinale). Alcuni tipi di tumori gastroenterici sono strettamente collegati a stati di enteropatia cronica e disbiosi: i tumori si nutrono di infiammazione, e dove c’è infiammazione c’è più probabilità di sviluppo neoplastico.
Forme croniche di enteropatia a grande componente infiammatoria possono nel tempo predisporre all’insorgenza di tumori, proprio come avviene in medicina umana.
Una delle prime cose da fare sarà prendersi cura del microbiota, per ristabilire l’equilibrio dell’apparato gastroenterico ma anche di tutto l’organismo e del sistema immunitario (ne abbiamo parlato anche qui).
Il miglior modo per nutrire il microbiota è attraverso la giusta alimentazione. Sappiamo quanto anche per noi una dieta sana e naturale possa fare la differenza sotto molti punti di vista, rinforzando l’intestino, il microbiota e migliorando la salute di tutto l’organismo.
Possono venirci in aiuto anche i probiotici, ovvero i fermenti lattici, che saranno sempre scelti e valutati per ogni singolo animale e per le sue esigenze.
Integrazioni per l’alimentazione in oncologia
Per sostenere al meglio l’organismo affetto da malattia tumorale, soprattutto se si devono affrontare terapie, ci sono molte integrazioni che possiamo prendere in considerazione.
Prime fra tutte gli Omega 3, dal potente effetto antinfiammatorio (vediamoli meglio qui).
A seconda del tumore, dello stadio della malattia e delle esigenze dell’animale, saranno un grande supporto anche antiossidanti (vitamina E e C), melatonina, vitamina D, prebiotici e probiotici per il benessere intestinale, curcuma ed altri fitoterapici (Puoi approfondire in questo articolo).
Fino ad arrivare anche alla cannabis medicinale, utile non solo per il controllo del dolore ma anche in caso di nausea indotta sia dal tumore stesso che dai farmaci (le proprietà della cannabis medicinale sono moltissime, ne abbiamo parlato qui).
Qualche considerazione
Non arrendiamoci mai davanti ad una brutta diagnosi, si può sempre fare molto per aiutare il nostro animale a stare bene e sostenerlo al meglio.
Ricordiamoci che la cosa più importante per il suo benessere è la qualità della vita, e un’ottima ciotola è sempre un momento di gioia!
Articolo della dott.ssa Camilla Marchetti, DMV
- Pubblicato il Camilla Marchetti
Cibo monoproteico per cani
In questo articolo parliamo di cibo monoproteico per cani, spiegando a chiare lettere cosa è, quali sono i suoi vantaggi, quali si suoi svantaggi e quando darlo al nostro cane.
Il cibo monoproteico per cani è un tipo di alimento sempre più diffuso nell’alimentazione del cane che consiste, come dice il nome appunto, in un alimento composto con una sola fonte proteica.
Il cibo monoproteico può essere utilizzato per la diagnosi di reazioni avverse al cibo nel cane. Viene suggerito infatti da molti colleghi e colleghe, quando il nostro cane presenta feci molli ricorrenti, vomito o sintomatologia dermatologica come prurito. Approfondiamo però meglio l’argomento, perché pur essendo molto diffuso, sono molti i punti che forse sfuggono ai più.
Che cosa è il cibo monoproteico
Quando si parla di alimento monoproteico, si fa riferimento alla fonte proteica maggiormente rappresentata nel cibo, che deve essere appunto unica. Spiego meglio: se abbiamo di fronte un cibo monoproteico al maiale, questo dovrà contenere come unica fonte proteica di origine animale il maiale. Potrebbe però contenere altri alimenti, come ad esempio il frumento, che pur contenendo anche proteine, non ne apportano una quota importante nel complesso.
Ad esempio quindi il medesimo alimento viene considerato monoproteico se contiene maiale come unica fonte di proteine, anche se vengono integrati piselli all’interno, anche essi ricchi di proteine, ma non di origine animale.
Altro aspetto fondamentale da controllare quando scegliete un cibo monoproteico è che anche la fonte di grassi sia concorde alla proteina scelta. Nel nostro esempio precedente quindi è bene che sia indicato come fonte di grassi “grasso suino”. Questo perché se fosse presente grasso di pollo questo potrebbe apportare anche piccole quote di proteine di pollo, in grado di scatenare una reazione avversa in alcuni cani.

Vantaggi del cibo monoproteico
I vantaggi del monoproteico sono molti. A causa infatti di un aumento importante dell’incidenza di reazioni avverse al cibo nei nostri cani, accade sempre più frequentemente che vi siano risposte di tipo “allergico” agli alimenti. Dare un alimento monoproteico quindi ci consente, nel caso il nostro cane migliorasse, di relazionare la sintomatologia con l’alimento.
Se quindi ad esempio la diarrea migliora dopo introduzione di un alimento monoproteico, parleremo di diarrea responsiva all’alimento. La prova definitiva la abbiamo se reintroducendo altri alimenti, il nostro cane dovesse tornare ad avere la sintomatologia presentata in precedenza.
Al momento in commercio si trovano tanti e diversi tipi di monoproteici. Fonti proteiche più comuni, come maiale e pesce, ma anche quelle più rare, come cervo, soia e insetti. Questo ci permette nel caso il nostro cane non vada bene con un cibo monoproteico, di provarne altri, in modo da emettere la diagnosi.
Svantaggi del cibo monoproteico
Vi sono però degli svantaggi nel dare cibo monoproteico, quanto meno per lunghi periodi. In medicina umana infatti si è sempre detto, dai tempi di Ippocrate, come la dieta più sana fosse quella fresca e variata. Metto l’accento sull’ultima parola soprattutto, ovvero variata.
La variabilità è fondamentale nella dieta di tutti gli esseri viventi e questo la scienza ce lo sta dimostrando sempre di più. Oltre ad avere un’importanza etologica infatti, variare permette di evitare accumuli di sostanze tossiche eventualmente presenti negli alimenti. Mangiare tutti i giorni un monoproteico al pesce ad esempio potrebbe predisporre ad accumulo di metalli pesanti. Ma anche il maiale ha certamente le sue sostanze tossiche di accumulo e così dicasi per tutti i cibi.
Inoltre mangiare variato stimola la variabilità a livello di microbiota intestinale e questo lo sappiamo per certo da studi scientifici. Mangiare al contrario tutti i giorni un medesimo cibo porta ad un impoverimento della microflora, con conseguenti patologie cronico degenerative.
Quando dare cibo monoproteico
Come abbiamo visto sopra, le evenienze più comuni per cui si prescrive un cibo monoproteico sono diarrea, vomito o prurito, tutti sintomi di possibile reazione avversa al cibo.
Il cibo monoproteico quindi dovrebbe essere dato principalmente a scopo diagnostico (dieta privativa). Questo vuol dire utilizzarlo per un periodo di tempo che va dalle 4 alle 8 settimane, sotto supervisione medico veterinaria, al fine di avere una diagnosi di reazione avversa al cibo. Una volta terminato questo periodo di tempo, bisognerebbe sempre tornare a variare l’alimentazione, ovviamente evitando gli alimenti che sappiamo provocare sintomatologia.
Vi stimolo quindi a non rimanere per periodi troppo lunghi su un medesimo alimento, a meno che ovviamente il vostro medico veterinario non lo ritenga utile nel vostro specifico caso.
Se invece amate dare monoproteici al vostro cane per fargli provare gusti diversi, questo va benissimo per il suo microbiota e la salute in generale. L’accortezza però fondamentale da rispettare è quella di “mettervi da parte” sempre almeno una fonte proteica. Ad esempio, scegliete di non dare mai al vostro cane un cibo monoproteico al cervo e/o al maiale. Provate pure altri gusti come pesce, coniglio, pollo etc. ma non date mai né premietti né cibo a base delle fonti proteiche scelte. In questo modo, un domani, quando il vostro Medico Veterinario nutrizionista avrà bisogno di fonti proteiche mai provate in precedenza per eseguire una dieta privativa, avrete l’asso da tirare fuori dalla manica!
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Articolo della dott.ssa Maria Mayer, DVM per Kodami
- Pubblicato il Maria Mayer
Cannabis terapeutica in medicina veterinaria
La Cannabis terapeutica è una pianta ricca di proprietà medicinali, anche in Medicina Veterinaria. In questo articolo approfondiamo brevemente la parte di botanica, del sistema endocannabinoide che permette il suo utilizzo medicinale e delle proprietà terapeutiche di questa pianta.
La Cannabis terapeutica è una pianta ricca di principi attivi, tra i quali ritroviamo i Fitocannabinoidi. La Cannabis è usata da secoli per i suoi effetti terapeutici, ma il suo utilizzo in medicina è stato a lungo limitato per il timore di effetti collaterali di tipo psicotropo. Negli ultimi anni si sta però rivalutando la sua utilità per diverse patologie, sia in campo medico che medico veterinario.
La Cannabis fa parte della famiglia delle Cannabinacee, e di queste piante sono conosciute e utilizzate tre specie: la Cannabis sativa, la Cannabis indica e la Cannabis ruderalis.
È stata sfruttata fin dall’antichità, soprattutto nel continente asiatico ed in Sud America, a scopo terapeutico, ma non solo. La Cannabis infatti veniva molto utilizzata anche in Italia nell’industria del tessile, per produrre stoffe e corde utilissime durante l’espansione delle Repubbliche Marinare. Vediamo un po’ di che si tratta.
Cannabis terapeutica. Un po’ di botanica
La tassonomia ufficiale suddivide la Cannabis in tre specie: la C. sativa è la specie più coltivata in occidente, alta fino a tre metri e con foglie più strette. La C. indica, una specie selvatica proveniente dall’India, più bassa ma con un maggior numero di rami e foglie più ampie. Infine la C. ruderalis.
Gli ultimi studi però portano a pensare che esista una unica specie di Cannabis, la C. sativa, che include due sottospecie (la C. indica e la C. ruderalis) e diverse varietà.
Il sistema endocannabinoide
Perché i principi attivi della Cannabis abbiano effetto, è necessario che nell’organismo siano presenti i recettori per questi composti: e infatti, nell’organismo dei mammiferi ne sono presenti tantissimi!
La natura non ci ha fornito questi recettori appositamente per i principi attivi della Cannabis: è il nostro stesso organismo (e quello dei nostri animali) che produce molecole in grado di legarsi a questi recettori.
Queste molecole prendono il nome di Endocannabinoidi. I principi attivi della Cannabis hanno una struttura simile a queste molecole, e sono in grado perciò di combinarsi con i recettori presenti in un organismo.
Uno degli Endocannabinoidi è stato chiamato Anandamide. Un nome che deriva dal termine sanscrito Ananda, che significa beatitudine, proprio per l’effetto che è in grado di produrre.

Cannabis medicinale e fitocomplesso
Il fitocomplesso è l’insieme dei componenti chimici presenti nella pianta, responsabili della sua attività terapeutica. Nella Cannabis ritroviamo prevalentemente i Fitocannabinoidi. Ne esistono più di 140, ma i principali e più conosciuti sono il CBD (Cannabidiolo) ed il THC (Tetraidrocannabinolo). Vale la pena ricordare anche il CBG (Cannabigerolo).
La percentuale di Fitocannabinoidi varia notevolmente in base alla varietà di Cannabis interessata.
Le varietà di C. sativa, maggiormente coltivata in Europa e Nord America, hanno un basso potenziale tossico grazie alla concentrazione contenuta di THC, e all’alto tasso di CBD presente.
THC
Il THC è considerato il responsabile dell’effetto psicoattivo della Cannabis, ma nel giusto dosaggio presenta anche importanti attività terapeutiche. Il THC infatti è importante per la sua azione antidolorifica, aiuta in corso di nausea e vomito, tiene sotto controllo l’ansia e stimola l’appetito. Pensiamo a quanto possano essere utili queste azioni in alcuni pazienti, come gli oncologici, anche per tenere sotto controllo gli effetti collaterali di una chemioterapia.
CBD
Il CBD non presenta nessuna attività psicoattiva, e dunque da questo punto di vista è totalmente innocuo.
Presenta invece importanti attività antipsicotiche, rilassanti e neuroprotettive.
Ha inoltre azione anticonvulsivante, antinfiammatoria e analgesica e, secondo alcuni studi, anche antitumorale. Utilizzando varietà in cui il CBD è maggiormente presente, verranno mitigati gli effetti collaterali di tipo psicotropo che possono essere causati dal THC.
Terpeni e Flavonoidi
La Cannabis contiene anche altri principi attivi, diffusi anche in tante altre specie vegetali, che lavorano in sinergia con i Fitocannabinoidi potenziandone alcuni effetti o mitigandone altri.
I Terpeni ad esempio hanno attività analgesica, e quindi potenziano l’attività antidolorifica di THC e CBD. I Flavonoidi hanno una importante attività antiossidante e antinfiammatoria, ma anche antivirale ed antiallergica.
Le varietà terapeutiche
La Cannabis terapeutica non si trova negli shop di Cannabis light e men che meno proviene da traffici illeciti.
La resistenza che si incontra in ambito medico nasce forse da questo equivoco, ma le varietà utilizzate in medicina provengono da farmacie, che a loro volta le acquistano da fornitori autorizzati. Nel caso delle varietà coltivate in Italia ad esempio questo avviene sotto la supervisione dell’esercito. Devono rispettare precise concentrazioni di THC e CBD e se non risultano adeguate, le coltivazioni vengono direttamente distrutte.
Le varietà terapeutiche coltivate in Italia prendono il nome di FM1 ed FM2 e sono due varietà di Cannabis sativa. La nostra produzione nazionale non è purtroppo sufficiente per la richiesta di tutti i pazienti, umani e non, e dunque importiamo diverse varietà anche dall’Olanda e, in minor misura, dal Canada.
Le diverse varietà presentano concentrazioni differenti di principi attivi (THC e CBD, ma anche terpeni e flavonoidi), e possono essere utilizzate quindi per scopi diversi. Il medico veterinario potrà scegliere quale varietà prescrivere in base alla patologia e all’effetto che desidera ottenere sul paziente (ad esempio, serve più un effetto antidolorifico, o antiemetico? O magari anticonvulsivante?). Quando il medico veterinario avrà deciso quale varietà prescrivere, sarà poi compito del farmacista preparare il farmaco galenico ad hoc per ogni singolo paziente.
Un aiuto importante
Concludendo, la Cannabis terapeutica rappresenta per molti pazienti un aiuto indispensabile.
Non è certo la panacea per tutti i mali, ma i suoi molteplici effetti positivi vanno senz’altro tenuti in considerazione, nonostante la diffidenza che suscita ancora.
Articolo della dott.ssa Silvia Bernabucci, DMV
- Pubblicato il Silvia Bernabucci