Visita nutrizionale. Come si svolge?
Anche se la figura del Medico Veterinario esperto in nutrizione si sta sempre più diffondendo negli ultimi anni, capita ancora spesso di ricevere domande di persone incuriosite da questa branca della Medicina Veterinaria che non conoscevano. La domanda più comune è: come si svolge una visita nutrizionale?
Qual è il ruolo del Medico Veterinario Nutrizionista? Cos’è importante sapere?
Ve ne parlo in questo articolo.
Visita nutrizionale. Non sono tutte uguali!
Cominciamo col dire che non esiste uno standard, ovvero che non tutte le visite nutrizionali sono uguali.
Noi Medici Veterinari del gruppo Nutravet ci occupiamo di nutrizione in ottica “sistemica”.
Questo significa che le nostre visite non sono finalizzate alla semplice stesura di una dieta, ma alla valutazione del paziente nella sua interezza e non solo della sua patologia.
Per svolgere le nostre visite seguiamo tutti un metodo comune, ma ciascuno di noi ha competenze specifiche in ambiti diversi (dalla dermatologia, all’oncologia, alle medicine integrate) che vengono messe a disposizione del paziente e dei suoi familiari.
Tutti noi, inoltre, effettuiamo sia visite in presenza che consulenze in Telemedicina, ovvero a distanza. Questo ci permette di raggiungere ed aiutare anche famiglie che abitano lontano da noi, sia in Italia che all’estero. Vuoi saperne di più sulla Telemedicina? Ne parliamo qui e anche qui.
Perché chiedere una visita nutrizionale
I motivi per cui viene richiesta una consulenza con un Medico Veterinario esperto in nutrizione possono essere vari.
Le famiglie possono giungere da noi in maniera autonoma, contattandoci direttamente per cambiare o rivedere l’alimentazione dei loro animali oppure, come accade più spesso, possono essere indirizzate a noi dai colleghi curanti per impostare un piano nutrizionale in caso di patologie.
Nei pazienti patologici, il nostro intervento a volte è risolutivo, altre volte, invece, dobbiamo lavorare in sinergia con altri specialisti per ottenere dei risultati. Possiamo però affermare con certezza che la nutrizione ha un ruolo centrale nella gestione della maggior parte delle patologie.
Ma una corretta alimentazione è anche un potentissimo strumento di prevenzione. Per questo motivo sono sempre di più le famiglie che scelgono di nutrire gli animali con cui convivono con una dieta fresca, fin da quando sono cuccioli. Impostare e seguire una dieta fresca e bilanciata per un cucciolo è assolutamente fattibile e consigliabile, senza nessun tipo di controindicazione (ne parliamo qui e qui ).
Nel caso in cui non fosse possibile seguire una dieta fresca, il Medico Veterinario esperto in nutrizione potrà comunque essere una guida per una scelta ragionata e consapevole di una dieta commerciale.
L’importanza dell’anamnesi
Sia che si svolga in presenza che in Telemedicina, la prima parte della consulenza, quella più importante, è rappresentata dalla raccolta dell’anamnesi. Ovvero di una serie di dati riguardanti il paziente dalla nascita (o dalla sua adozione) in poi.
In questa fase della visita il Medico Veterinario esperto in nutrizione potrebbe chiedervi, ad esempio, se il vostro cane è nato con parto naturale o cesareo. Se è stato allattato naturalmente o artificialmente e se ha assunto farmaci (e quali) nel primo anno di vita.
Queste domande, all’apparenza strane o poco pertinenti, non solo hanno un senso, ma sono fondamentali per comprendere molti aspetti di patologie in atto o che potrebbero verificarsi in futuro.
In questa prima parte della visita, generalmente, vengono anche visionati e commentati eventuali referti di analisi e altre indagini diagnostiche. Anche questo è un passaggio fondamentale che ci aiuta ad essere più accurati e specifici nella successiva stesura del piano nutrizionale personalizzato.
La visita clinica
Nel caso di visite in presenza, alla raccolta dell’anamnesi segue la visita clinica del paziente. Alcuni colleghi potrebbero decidere di visitarlo prima e non sarebbe di certo scorretto.
Personalmente preferisco farlo dopo per vari motivi, primo tra tutti quello di far familiarizzare l’animale con un ambiente nuovo, permettendogli di rilassarsi e di essere più collaborativo successivamente, senza stress per nessuno.
Durante la visita, otre al peso, verrà valutato il BCS (Body Condition Score), un punteggio che serve a stabilire se il paziente è sottopeso, sovrappeso o normopeso. Saranno auscultati torace e addome, valutati il cavo orale e la condizione dei denti, lo stato del pelo e lo stato generale dell’animale.
Tutti i dati raccolti durante la visita saranno registrati in una scheda clinica che sarà poi fornita, in copia, ai familiari insieme al piano nutrizionale.
Scelta e stesura del piano nutrizionale
Prima di procedere alla stesura del piano nutrizionale personalizzato, c’è un’altra tappa fondamentale: concordare coi familiari la scelta della tipologia di dieta (commerciale, casalinga, mista o BARF). Discutendo insieme i pro e i contro di ciascuna in relazione alle esigenze del paziente.
Ritengo questa una fase fondamentale perché la famiglia avrà un ruolo centrale nella gestione della dieta del proprio animale. Un piano nutrizionale “perfetto” sulla carta, ma non fattibile per i familiari, si rivelerà totalmente inutile per il paziente.
La formulazione della dieta potrebbe, infine, avvenire direttamente in visita o potrebbe richiedere qualche giorno. Questo dipende da diversi fattori quali il metodo di lavoro del professionista, il tempo a disposizione durante la visita, ma soprattutto le eventuali patologie del paziente.
Ci sono dei casi più complessi che richiedono un ulteriore studio successivo e altri approfondimenti prima di poter formulare il piano nutrizionale.
Non si tratta solo di “fare una dieta”, ma di iniziare un percorso basato sulla fiducia e sulla collaborazione reciproca. Il nostro lavoro non si conclude a fine visita, ma continua anche “dietro le quinte”!
Articolo della dott.ssa Marta Batti, DMV
- Pubblicato il Marta Batti
Malattia renale cronica del gatto. Un “renal” è sempre necessario?
La malattia renale cronica è una patologia molto frequente nei nostri animali soprattutto nel gatto ed è caratterizzata dalla perdita graduale, progressiva e irreversibile della funzionalità renale.
La dieta in questi pazienti svolge un ruolo fondamentale. Perché controlla i segni clinici minimizzandoli e cosa ancora più importante controlla la progressione della patologia, contribuendo così al benessere e alla longevità dei nostri amici felini.
In questo articolo scopriremo in cosa consiste la malattia renale cronica, il ruolo che ha la nutrizione nel paziente nefropatico ed in particolare approfondiremo l’aspetto della restrizione proteica.
Che cos’è la malattia renale cronica?
La CKD (chronic kidney disease) è tra le patologie più comuni riscontrate nei gatti anziani. Viene definita come un’alterazione organica e/o funzionale di uno, o entrambi i reni, presente da almeno 3 mesi.
I segni clinici sono legati alla diminuita capacità dei reni di svolgere le sue normali funzioni di regolazione e di escrezione.
Tra i più frequenti troviamo: aumento della diuresi (poliuria), aumento dell’assunzione di acqua (polidipsia), anemia, diarrea, vomito, perdita di peso, malessere generale.
Purtroppo quando compaiono i segni clinici già il 70-80% del rene è compromesso per questo è importante soprattutto in animali maturi/anziani effettuare una diagnosi precoce.
Tra le “strategie terapeutiche” attuate dai medici veterinari negli animali affetti da questa patologia rientra, quasi sempre, l’utilizzo di alimenti commerciali “renal”, ossia indicati per gatti affetti da insufficienza renale cronica.
Questi alimenti sono generalmente caratterizzati da:
- Ridotto contenuto in proteine, sodio e fosforo
- Aumento del tenore di fibre solubili
- Integrazione con vitamine del gruppo B
- Integrazione con antiossidanti e acidi grassi polinsaturi
- Elevata densità energetica ed elevato contenuto lipidico
Questi alimenti vanno sempre utilizzati?
Gli studi scientifici dimostrano che la risposta corretta a questa domanda è no.
La scelta della giusta alimentazione, da somministrare ad un paziente nefropatico, deve innanzitutto passare per un’attenta e corretta stadiazione della patologia in atto.
Innanzitutto, perché un soggetto nefropatico, ed affetto da CKD, non necessariamente presenta insufficienza renale cronica. In secondo luogo, perché la riduzione della funzionalità renale, che può conseguire alla presenza di CKD, può presentare diversi stadi di gravità.
La gravità della CKD è stata classificata in 4 stadi dall’ International Renal Interest Society (IRIS).
La stadiazione si basa inizialmente sulla concentrazione di creatinina nel sangue a digiuno, seguita poi da un’analisi completa delle urine, per valutare il peso specifico e l’eventuale presenza di proteinuria, e da una valutazione della pressione sanguigna.
Al fine di improntare una corretta terapia e una corretta alimentazione, risultano anche necessari la valutazione dell’azotemia, della fosfatemia, dell’esame emocromocitometrico. Nonché la valutazione della morfologia dei reni attraverso un’ecografia addominale.
Una volta stadiata la patologia, e individuato il grado di insufficienza renale del soggetto, si deve valutare quale sia la migliore strategia nutrizionale da applicare.
Se si decide di alimentare il gatto con un alimento commerciale “renal”, bisogna innanzitutto tenere in considerazione che alimenti differenti presentano tenori analitici diversi e, quindi, che a seconda del soggetto (e dello stadio IRIS in cui si trova), può essere utile sceglierne uno piuttosto che un altro.
Particolare attenzione va posta alla quantità e alla qualità delle proteine contenute, onde evitare di effettuare una restrizione proteica eccessiva quando non necessaria.
Proteine e malattia renale cronica
Infatti, non bisogna mai dimenticare che il gatto è un “carnivoro stretto” e che le proteine rivestono un ruolo fondamentale nella sua alimentazione, in particolar modo quando il soggetto è anziano e, quindi, che una loro diminuzione nella dieta deve essere valutata con molta attenzione.
Se da un lato la restrizione proteica può favorire la riduzione dell’azotemia e della sintomatologia che ne consegue, dall’altro un’eccessiva restrizione può causare danni altrettanto importanti come la malnutrizione, un’alterazione della risposta immunitaria, una riduzione della sintesi di emoglobina, nonché la perdita di tessuto muscolare.
Inoltre, per assicurare un adeguato apporto di aminoacidi essenziali, almeno l’80% dell’apporto proteico deve provenire da proteine di origine animale ad elevato valore biologico (carne, pesce).
Le attuali linee guida sconsigliano di effettuare una riduzione proteica in animali in stadio IRIS 1, mentre negli stadi successivi se ne consiglia una riduzione graduale.
Tuttavia, recenti studi mettono in dubbio queste linee guida, sostenendo che la riduzione proteica sia da evitare anche in gatti con insufficienza renale in stadi più avanzati.
Il dosaggio di proteine da somministrare in gatti affetti da CKD rimane, ad oggi, uno degli argomenti scientifici più dibattuti in nefrologia e nutrizione veterinaria.
La dieta casalinga può essere una valida alternativa per il gatto nefropatico?
Assolutamente sì, ma di questo ne parleremo in maniera approfondita in un altro articolo!
Articolo della Dr.ssa Laura Mancinelli, DVM
- Pubblicato il Laura Mancinelli
Il cane anziano: una gestione integrata
La terza e quarta età viene raggiunta sempre più spesso dai nostri cani.
Come possiamo aiutare un cane anziano ad invecchiare con stile?
Quando si può parlare di cane anziano?
Per il cane, l’aspettativa di vita è inversamente proporzionale alla taglia: in genere infatti più un cane è piccolo, più vive a lungo. Per questo motivo un cane di razza gigante come un alano può essere definito anziano già a 7 anni, quando un suo coetaneo barboncino invece è ancora un adulto. Possiamo dire che le razze medio-piccole diventano anziane intorno agli 11 anni, quelle grandi intorno ai 9.
Come si invecchia
Invecchiare è fisiologico. E’ un processo multifattoriale dove la genetica ha un ruolo importante ma ci sono altre componenti sulle quali possiamo lavorare, come l’alimentazione, lo stress, lo stile di vita, il benessere emozionale.
Quando un organismo invecchia, va incontro ad un declino immunitario, endocrino e neurologico. Infiammazione cronica di basso grado e stress ossidativo sono alla base di questo processo e lo velocizzano.
Su questi aspetti, la nutrizione e le integrazioni possono fare la differenza.
Le malattie più frequenti nel cane anziano
I problemi legati al peso sono estremamente comuni nell’animale anziano, in particolar modo sovrappeso e obesità. La perdita di massa muscolare, tipica di un organismo invecchiato, la possiamo riscontrare sia negli animali molto magri che in quelli grassi, anche se camuffata visivamente dal tessuto adiposo.
Anche la mente può invecchiare: la disfunzione cognitiva del cane presenta molte analogie con l’Alzheimer umano e può presentarsi in modi diversi (disorientamento spazio temporale, alterazioni del ciclo sonno-veglia, eliminazioni inappropriate…). Può iniziare in maniera quasi impercettibile e poi aggravarsi con il tempo.
La prevenzione per il cane anziano
Se la genetica non la possiamo cambiare, possiamo però agire su tutti i fattori che influenzano l’invecchiamento.
Cosa buona e giusta è ravvicinare i controlli con il nostro medico veterinario di base e effettuare periodicamente le analisi del sangue. Per invecchiare al meglio bisogna agire su tre fronti: alimentazione, integrazione e attività fisica.
Cosa deve mangiare un cane anziano?
Prima di parlare di cosa deve essere messo nella ciotola del nostro vecchietto, è importante valutare il suo stato di nutrizione: sta dimagrendo troppo o sta prendendo peso?
Lo scopo della dieta è quello di recuperare e mantenere il peso forma. La malnutrizione, presente sia negli animali troppo magri che troppo grassi, è molto frequente nei soggetti non più giovani.
Per i nostri cani anziani le proteine non devono mai mancare e devono essere di elevato valore biologico. Sono pochissime le patologie che necessitano di una riduzione proteica. Si sente spesso che è necessario “alleggerire” la dieta dell’anziano: in verità il cibo deve essere ricco e altamente digeribile se vogliamo supportare il nostro animale in questa fase delicata della sua vita. Anche i grassi devono essere sempre presenti, per i loro ruoli energetici e strutturali. Una buona fetta dei grassi in una dieta per cani anziani sarà data da acidi grassi a corta catena (olio di cocco o mct oil), che hanno un ruolo benefico anche sulle capacità cognitive.
La fibra per i soggetti di una certa età è importantissima: il giusto mix di fibra solubile e insolubile garantirà il corretto funzionamento dell’apparato digerente e nutrirà il microbiota intestinale.
Quali integrazioni funzionali?
L’integrazione di sostanze antiossidanti è fondamentale per contrastare l’ossidazione tipica dell’invecchiamento.
Via libera quindi a sostanze con proprietà antiossidanti come omega 3 (soprattutto EPA e DHA), capaci anche di migliorare il decadimento cognitivo. Vitamina C, vitamina E, coenzima Q10 e acido alfa-lipoico sono altre sostanze molto efficaci.
Concorda sempre con il tuo veterinario il piano di integrazioni più adatto per il tuo cane.
Il movimento è vita
L’età che avanza non è mai una controindicazione al movimento. La quantità di movimento deve essere sempre commisurata alle possibilità del cane, ma mantenere in attività l’apparato muscolo scheletrico è di vitale importanza. Sarebbe meglio fare piccole passeggiate durante tutta la giornata piuttosto che lunghi giri, per permettergli di recuperare più rapidamente. Il tono muscolare deve essere sempre preservato e passeggiate e nuoto, se possibile, sono le attività più indicate.
Gestire un cane anziano in casa a volte è una vera sfida ma dovete appoggiarvi al vostro veterinario di fiducia così da affrontarla insieme. La routine famigliare spesso deve adattarsi alle nuove esigenze del cane ma invecchiare insieme è un’avventura bellissima!
Articolo della dott.ssa Chiara Dissegna, DMV
- Pubblicato il Chiara Dissegna
In viaggio con le proteine, dalla ciotola all’intestino
Sappiamo che le proteine sono i macronutrienti più importanti nella dieta di cane e gatto, ma ci siamo mai chiesti il perché di questa affermazione?
In questo articolo analizzeremo il viaggio delle proteine, dalla ciotola dei nostri carnivori fino all’interno del loro intestino e oltre, per capire cosa sono e a cosa servono queste molecole così importanti per la loro esistenza.
Proteine, una collana di perle preziose
Le proteine sono catene di aminoacidi, tenute insieme da legami covalenti, detti “peptidici”. Per semplificare, potremmo immaginarcele come delle collane di perle di lunghezze diverse, dove ogni perla è un aminoacido.
In natura esistono solamente 20 aminoacidi. Tutte le proteine, da quelle dei batteri a quelle degli organismi più complessi, sono costituite sempre dagli stessi 20 aminoacidi. In base a come questi vengono assemblati a formare la catena, prenderà forma una proteina diversa.
Di questi 20 aminoacidi, più o meno tutte le specie sono in grado di sintetizzarne la metà (ovvero se li sanno produrre da soli). Gli altri devono invece essere necessariamente introdotti con la dieta e prendono il nome di “aminoacidi essenziali”. Gli aminoacidi essenziali non sono gli stessi in tutte le specie. Ad esempio la taurina è essenziale per il gatto, ma non per il cane. La carenza di questi aminoacidi essenziali nella dieta del cane e del gatto può provocare, nel tempo, disturbi del metabolismo proteico che possono causare alterazioni importanti della crescita e dello sviluppo.
Esattamente come per le collane di perle, che possono avere lunghezze diverse, anche per le proteine accade la stessa cosa. Ecco quindi che possiamo avere proteine molto corte (come ad es. l’Ossitocina, costituita solo da 9 aminoacidi) o molto lunghe (come la Connectina, presente nel tessuto muscolare, che di aminoacidi ne ha ben 33.000!).
Da una proteina all’altra
La digestione delle proteine ingerite con la dieta inizia nello stomaco e prosegue nell’intestino tenue ad opera di specifici enzimi (proteasi) che staccano gli aminoacidi dalla catena, in modo che questi possano attraversare la parete intestinale per assorbimento, per poi essere riassemblati in nuove catene peptidiche. E quindi dar vita a nuove proteine che saranno utilizzate dai nostri animali sia a fini strutturali (per costruire parti del loro organismo) che energetici (per produrre energia utile per i propri fabbisogni).
Tuttavia i nostri carnivori domestici non sono in grado di sfruttare tutte le proteine a scopi energetici, ma possono farlo solo con quelle di origine animale. Per questo motivo, quando analizziamo l’etichetta di un mangime commerciale o la formula di una dieta casalinga, dovremmo prestare attenzione non solo alla percentuale totale di proteine (che è data dalla somma di proteine animali e vegetali) ma anche e soprattutto alla quantità di proteine animali, che dovrebbe sempre prevalere in modo importante su quelle di origine vegetale.
Proteine e funzioni biologiche
Le proteine, come già accennato, non vengono sfruttate solo a scopi energetici, ma hanno anche tutta una serie di funzioni strutturali e biologiche a cui spesso non pensiamo e su cui, invece, vale la pena riflettere.
Sono fatti di proteine tutti i muscoli, cuore compreso. Actina e miosina, infatti, assieme al collagene e all’elastina, sono le principali proteine con funzione strutturale.
Ci sono poi proteine con funzioni di trasporto (come l’indispensabile emoglobina, che serve per trasportare l’ossigeno in tutto l’organismo), di difesa (tutti gli anticorpi, che ci proteggono dalle infezioni, sono proteine), di regolazione (gli ormoni sono molecole proteiche) e anche di riserva (come la caseina).
Le proteine sono quindi essenziali al corretto funzionamento di ogni organo e apparato e al mantenimento della connessione tra i sistemi, tanto cara alla PNEI. (ne parliamo qui).
Sono utili le diete a ridotto tenore proteico?
Da quanto detto fin qui, va da sé che ridurre le proteine nella dieta dei nostri carnivori domestici non è (quasi) mai una buona idea.
Cosa accade, infatti, se non forniamo una quantità sufficiente di proteine con la dieta? Accade che l’organismo, per preservare la sintesi delle proteine fondamentali per la sua sopravvivenza, non ricevendo una sufficiente quantità di aminoacidi attraverso la dieta, comincerà ad attingere alle riserve organiche, principalmente i muscoli (la c.d. “massa magra”) con conseguente instaurarsi di uno stato di deplezione muscolare detto “sarcopenia”, molto difficile, se non impossibile, da recuperare.
La sarcopenia si instaura spesso in soggetti anziani o con patologie oncologiche, renali e cardiache in fase avanzata. Ecco perché, anche in questi soggetti, la riduzione proteica nella dieta spesso non solo non è utile, ma può diventare addirittura controproducente, in quanto contribuisce ad un peggioramento della loro condizione, non solo per i motivi appena elencati, ma anche perché una dieta con poche proteine sarà una dieta molto poco appetibile per i nostri animali carnivori, spesso già disappetenti a causa della loro patologia.
Anche in quella piccola percentuale di condizioni patologiche in cui, invece, una restrizione proteica si renda necessaria, come l’ insufficienza renale in fase avanzata (ne parliamo qui) o gli shunt epatici, l’entità di questa restrizione, così come la qualità delle proteine da utilizzare nella dieta, dovrebbero essere sempre ponderate e ragionate sul singolo caso e sul singolo soggetto. Sempre meglio se con il supporto di un Medico Veterinario esperto in Nutrizione.
Articolo della Dott.ssa Marta Batti, DMV
- Pubblicato il Marta Batti
Pesce, krill o semi di lino. Come scegliere l’integrazione di Omega 3 per cane e gatto
Gli Omega-3 sono fondamentali per la salute del cane e del gatto.
In umana come integrazione di Omega 3 si utilizzano principalmente olio di pesce, krill o olio di semi di lino. Ma queste fonti sono ugualmente efficaci nel cane e nel gatto? Approfondiamo in questo articolo.
Cosa sono gli Omega 3
Gli Omega 3 sono dei grassi “essenziali”, quindi noi e i nostri animali domestici non siamo in grado di sintetizzarli da soli a partire da altri alimenti. Devono quindi essere introdotti con la dieta, in una quantità che dipenderà dal peso e dall’età. Soggetti in crescita e soggetti anziani, ad esempio, hanno un fabbisogno di omega 3 superiori agli adulti.
Vengono chiamati Omega 3 per la formula chimica che li contraddistingue. Gli acidi grassi essenziali Omega-3 compongono la membrana cellulare e la rendendono più flessibile e permeabile, permettendo quindi scambi migliori fra interno e esterno della cellula stessa. Hanno un’importantissima funzione antinfiammatoria su tutto l’organismo.
Per citare alcune delle loro funzioni: riducono la pressione sanguigna a livello renale contrastando l’insorgenza dell’insufficienza renale. Diminuiscono l’infiammazione in corso di artrosi a livello articolare, riducono l’infiammazione a livello intestinale contrastando i sintomi di enterite cronica, mantengono sano il sistema nervoso.
Olio di semi di lino
In umana per integrare gli omega 3 nelle diete vegetariane e vegane può essere utilizzato l’olio di semi di lino.
Cani e gatti però non sono in grado di trasformare gli Omega-3 di origine vegetale come l’ALA (acido alfa linolenico) nelle forme attive antinfiammatorie EPA e DHA. Gli olii vegetali quindi sono un importante fonte di Omega 6 ma non possono essere utilizzati per integrare gli Omega 3.
Olio di fegato di merluzzo
L’olio di fegato di merluzzo è ricco, oltre che di EPA e DHA, anche di vitamina A e D, a differenza dell’olio di pesce che, essendo ottenuto dal muscolo, non ha alte dosi di vitamine liposolubili. Il rischio utilizzando olio di fegato di merluzzo è quindi quello di causare un ipervitaminosi. In conclusione meglio non utilizzarlo e optare per EPA e DHA estratti dal muscolo del pesce.
Olio di pesce
EPA e DHA proveniente dal muscolo del pesce possono trovarsi o sottoforma di olio di salmone o di perle, consiglio queste ultime.
L’olio di salmone infatti è meno concentrato in EPA e DHA rispetto alle perle, contiene spesso più conservanti nonché tutti i contaminanti ormai purtroppo tipicamente riscontrabili nei pesci grassi. Inoltre dato il costo raggiunto dal salmone selvaggio proviene per la maggior parte da salmoni di allevamento.
Meglio optare quindi per le perle ma anche in questo caso con qualche accortezza nella scelta. E’ importante verificare che abbiano alte percentuali di EPA e DHA. Gli acidi grassi provenienti dal pesce non sono grassi “facili” da digerire quindi più le perle saranno concentrate meno quantità dovrò darne migliorandone la digeribilità. Indicativamente è meglio scegliere perle cha abbiano una percentuale di EPA e DHA di almeno 65-75% rispetto agli altri componenti della perla.
E’ importante verificare anche le certificazioni di assenza/controllo dei contaminanti per diminuire l’accumulo di metalli pesanti. Se indicato fate riferimento alla dichiarazione IFOS che assegna un punteggio da 1 a 5 a questo dato.
Per evitare l’ossidazione degli omega 3 possono essere utilizzati diversi conservanti. Il “migliore” è indubbiamente la vitamina E che è sufficiente solo se le perle sono conservate in un contenitore oscurato. No quindi a contenitori trasparenti, che richiedono altri conservanti chimici per evitare l’ossidazione degli omega 3.
Olio di Krill e Omega 3
Un’ altra valida fonte di EPA e DHA è l’olio di krill, da prediligere sempre in perle. Tendenzialmente è più costoso ma è ottimo nei soggetti con problematiche di reflusso o che non gradiscono il sapore dell’olio di pesce.
Articolo della dott.ssa Denise Pinotti, DMV
- Pubblicato il Denise Pinotti