Olio di cocco vergine per il cane. Cos’è, a cosa serve e come usarlo
L’olio di cocco vergine, sempre più popolare anche per il cane, è usato da molti anni in medicina umana in vari ambiti, che spaziano dalla cosmesi alla gestione di diverse patologie. In questo articolo vediamo cosa si intende per olio di cocco vergine, la tipologia d’ acquistare, come si presenta. Ma anche in che modo possiamo utilizzarlo per i nostri cani e quali sono gli effetti benefici. Infine, in quali patologie può essere utilizzato e in che quantità.
L’olio di cocco vergine è un ingrediente semplice, considerato oggi ormai un vero e proprio “super food” dai mille benefici per noi ma anche per i nostri cani. Il prezzo contenuto e i benefici che apporta ne fanno uno strumento utilissimo anche in Nutrizione Veterinaria. Lo conoscevate?
Cosa si intende per olio di cocco vergine?
Tutti conosciamo il cocco, che non è un frutto bensì il seme dell’albero tropicale del cocco!
È da questi semi che, una volta aperti, viene estratta la polpa interna, bianca e profumata. Dalla polpa fatta essiccare e poi pressata si ottiene l’olio di cocco.
Se il processo è eseguito nel modo più naturale possibile, senza uso di sostanze chimiche, si parla di olio pressato a freddo.
Quando poi, una volta ottenuto, non viene raffinato, decolorato o privato del suo profumo, allora possiamo definirlo olio di cocco vergine.
Quale olio di cocco è meglio acquistare?
È normale che la qualità sia strettamente collegata ai processi di lavorazione.
La dicitura pressato a freddo ci indica un prodotto estratto naturalmente, senza l’utilizzo di sostanze chimiche.
Con vergine si intende invece che stiamo acquistando un prodotto privo di ogni tipo di trattamento dopo l’estrazione.
Ovviamente dobbiamo fare attenzione all’etichetta e non acquistare un prodotto destinato alla cosmesi, ma all’alimentazione!
Per essere ancora più certi della qualità del prodotto possiamo sceglierne uno certificato come proveniente da agricoltura biologica. In questo modo riduciamo ulteriormente le possibilità che contenga contaminanti.

sia per evitare la presenza di contaminanti o altre sostanze nocive
Come si presenta l’olio di cocco?
L’olio di cocco, a dispetto del termine, si presenta in forma solida per la maggior parte dell’anno, con un punto di fusione tra i 24-26°C.
Come un panetto di burro ma al profumo di cocco!
Ma non abbiate paura di trovarlo liquido in estate, né di sottoporlo a riscaldamento per scioglierlo e poi lasciarlo solidificare di nuovo.
Si tratta infatti di un grasso molto resistente e difficilmente va incontro a deterioramento.
Come utilizzare l’olio di cocco per il cane e con quali benefici?
La particolarità dell’olio di cocco è la ricchezza di acidi grassi a media catena (in inglese Medium Chain Triglycerides, abbreviati nell’acronimo MCT).
I trigliceridi a media catena di maggiore interesse nutrizionale e medico sono rappresentati dall’acido caprinico, caprilico e caprico.
Questi acidi grassi hanno la caratteristica di essere facilmente assorbiti dall’intestino senza “affaticare” il fegato e di generare in modo rapido molta energia.
Sono un ottimo cibo da poter utilizzare in cani che fanno Agility o in altri sportivi, dove è richiesto uno sprint iniziale di durata abbastanza limitata nel tempo.
Ottime in questi casi le merende a base di olio di cocco un’ora e mezza prima di una gara, insieme a qualche cereale ed una fonte proteica.
Se poi volessimo usare l’olio di cocco per la cura del tartaro e dell’alitosi, possiamo applicarlo direttamente sui denti del cane.
Mi raccomando però, facciamolo solo se il nostro pet è attratto da quell’odore e accetta di buon grado di farsi mettere le mani in bocca. Altrimenti i benefici non giustificano lo stress inflitto!
Non dimentichiamoci del pelo. Possiamo applicare l’olio di cocco direttamente sul manto, per aiutare a ridurre rossori ed eczemi.
Anche somministrato per bocca nella dieta quotidiana può aiutare a conferire tutto l’anno un mantello lucente!
Per quali patologie può essere indicato l’olio di cocco vergine?
Con l’attenta guida di un medico veterinario esperto in nutrizione, l’olio di cocco può essere utilizzato in diverse patologie.
Come dicevamo questo tipo di olio non coinvolge il fegato nell’assorbimento, ossia non richiede la produzione di bile. Quindi sarà molto utile in tutte le patologie che coinvolgono il fegato.
Ma anche in tutte quelle situazioni d’infiammazione intestinale acute e croniche (nelle famose IBD, dove andrà a nutrire direttamente le cellule del piccolo intestino).
L’olio di cocco ricopre anche un ruolo importante anche nella gestione di patologie neurologiche come l’epilessia e disturbi comportamentali, come l’iperattività.
In entrambi i casi è sempre più evidente la connessione tra un intestino sano e/o malato ed il cervello.
Infatti andando ad apportare dei benefici intestinali magari anche grazie all’utilizzo dell’olio di cocco, si può agire di conseguenza sulla psiche e su una parte di patologie che coinvolgono il sistema nervoso centrale.
Quanto olio di cocco vergine possiamo somministrare al cane?
Se partiamo da una noce di burro di cocco, anche tutti i giorni, non possiamo che apportare vantaggi.
È ovvio che prima di tutto dobbiamo assicurarci che l’odore e il sapore siano graditi!
La taglia del cane può fare la differenza e sicuramente nei soggetti di più grande mole le quantità possono essere aumentate.
Facciamo però attenzione a non esagerare, perché rischiamo di far aumentare esageratamente il peso del cane, favorendo obesità ed infiammazione.
E per il gatto? Ne abbiamo parlato in questo articolo.
In conclusione quindi l’olio di cocco è un ottimo alimento naturale dalle mille proprietà ma occhio a non esagerare, perché come per tutti gli alimenti non superare le giuste quantità è importante!
Articolo del Dott. Camine Salese, DMV
- Pubblicato il Carmine Salese
I sensi del gatto
Il gatto ed il gusto: selezionatore sopraffine
In questo articolo affrontiamo il tema dei sensi del gatto, in particolare di quelli che vengono sfruttati dal nostro amico durante l’assunzione del cibo, e come cercare di cambiare la sua alimentazione.
Il rapporto del gatto con il cibo, oltre ad essere fortemente correlato alla sua specie ed al suo comportamento in natura, risulta essere strettamente associato anche alla sua anatomia. Se vuoi saperne di più leggi anche qui.
Non parliamo solo della sua dentizione e della sua masticazione, ma anche degli organi di senso.
Quali sono i gusti del gatto?
Per quanto riguarda i gusti del gatto, a livello anatomico possiede un numero di papille gustative di gran lunga inferiore a noi esseri umani ed al suo nemico/amico cane.
Infatti i nostri felini non sono dei grandi “degustatori” di pappa.
Ci sono sapori che non riescono proprio a percepire come il dolce (anche se molti di noi sarebbero pronti a scommettere il contrario); sapori salati che a stento avvertono; altri che distinguono molto bene, come il sapore acido (sfruttato anche in molti mangimi per esaltare il sapore) oppure l’odiato sapore amaro che può essere contenuto anche in molte verdure cotte.
Il sapore più amato dal gatto è quello dell’UMAMI, che può essere stimolato benissimo da sostanze presenti nella carne fresca.
Quali sensi del gatto vengono sfruttati durante l’assunzione del cibo?
I sensi che vengono sfruttati durante l’assunzione del cibo sono molteplici.
Abbiamo capito che la capacità del gatto di percepire il gusto in realtà è ben più bassa rispetto alla nostra.
Il suo olfatto non è quello di un cane, è sicuramente molto più spiccato del nostro. Ma non è il senso che ne fa da padrone.
La capacità del gatto di osservare la forma, il colore e soprattutto la consistenza e la temperatura del cibo è davvero impressionante. Infatti nel gatto è il caso di dire che il tatto rappresenti per lui un SESTO SENSO.
Quindi capiterà che quel cibo fresco dato frullato, possa riscuotere meno successo dello stesso cibo a pezzi o direttamente tutto intero. Magari da strappare ed ingoiare dopo una rapida masticazione.
Come un predatore, il gatto seleziona il cibo annusandolo, poi lo afferra tra la bocca per sentire di che pasta è fatto l’alimento ed infine lo mastica grossolanamente per gustarne il sapore. Adesso è spiegata la mania del gatto di mettere la zampa nella ciotola toccando tutto il cibo!

Come cambiare la sua alimentazione?
Il rapporto del gatto con il cibo non è del tutto scontato e cambiare la sua alimentazione non è poi così facile.
La prima regola è NON FORZARE MAI O INGANNARE un gatto!
Possiamo solo cercare di sfruttare quello che abbiamo detto. Scaldando il nuovo alimento per aumentare il suo profumo, provare diversi formati di cibi umidi (patè, straccetti, bocconcini ecc). Oppure diversi modi per offrire la novità fresca (frullata, scottata, macinata, ecc).
Possiamo provare a preparare un buon brodo di carne e mescolarlo nel cibo per invogliare il gatto ad assumerlo. Insomma, un vero gioco da Masterchef
Quindi, il gatto rimarrà sempre un selezionatore sopraffine. Con le sue caratteristiche fisiche e comportamentali, riuscirà a far scegliere a noi cosa veramente è gradito a lui!
Articolo del Dott Carmine Salese, DMV
- Pubblicato il Carmine Salese
Il cane può mangiare cereali?
In questo articolo parleremo del rapporto dei cani con i cereali, di razze poco predisposte a mangiarli, di quali cereali possono essere dati ai nostri amici ed infine di come possono essere cucinati, sfatando miti e leggende.
Molte volte ci troviamo a domandare se il cane può mangiare cereali, se possano far parte della loro dieta.
Ci sono diverse opinioni su questa tematica e in questo articolo proveremo a fare un po ‘di chiarezza.
Il rapporto dei cani con i cereali
Che l’antenato del cane sia il Lupo (C. Lupus) non ci sono dubbi . Ciò fa intendere come il cereale non sia in prima battuta un alimento fondamentale per il nostro amico. Ma il nostro cane, sottospecie del lupo, ha avuto 33mila anni di convivenza con noi uomini, cambiando abitudini, modi di vivere e di mangiare.
Tutto questo lo ha portato a distaccarsi da quello che era un lupo, sia esteticamente (fenotipo) che geneticamente (genotipo). Rendendolo un carnivoro opportunista.
Una grande differenza sta proprio nella capacità di digerire l’amido.
Infatti possiede geni in grado di codificare l’enzima deputato alla sua digestione, chiamato amilasi. Questo enzima permette di scindere la molecola di amido e farla digerire a livello intestinale.
Sicuramente una dieta povera/priva di cereali potrebbe determinare un stato di salute migliore per il cane, anche se non presenta difficoltà nella loro digestione. Questo perché molti cereali utilizzati per il cane contengono glutine. Una proteina pro infiammatoria che se somministrata per lunghi periodi senza variabilità può favorire anche in soggetti sani stati di malessere.
È Importante ribadire che è falso definire il cane come impossibilitato a mangiare cereali, ma è più veritiero affermare che la loro assunzione vada regolata e se necessario, limitata.
Il cane può mangiare cereali? Razze poco predisposte alla digestione degli amidi
Tra le razze poco predisposte alla digestione degli amidi, troviamo in genere tutte quelle che potremmo definire più “ancestrali” delle altre, come Akita, Shiba, Cane Lupo Cecoslovacco, Samoiedo. Ma anche cani che all’apparenza non avremmo mai preso in considerazione, come il Barboncino.
Tutte queste razze risultano avere una scarsa produzione di amilasi, come il loro antenato. Da non dimenticare anche forme di celiachia nel cane, accertate nelle razze Border Terrier e Setter Irlandese.

Quali cereali possono essere dati al cane?
Possono essere molteplici come la pasta di vari cereali, il riso (meglio ancora se basmati in quanto più digeribile), il miglio, il cous cous, farine di mais, ma anche le patate.
Queste ultime si tende a considerarle tra i cereali in quanto fonte di amido e con una densità energetica piuttosto alta rispetto ad una qualsiasi verdura (nonostante sia importante prendere in considerazione la quota di fibre che esse apportano).
Attenzione nell’utilizzo di tutti quei cereali a chicco come farro, orzo ecc, ed anche a tutte le forme di cereali integrali: in questi casi la digeribilità potrebbe essere compromessa.
Come possono essere cucinati i cereali?
Proviamo a sfatare il mito secondo cui cereali come riso e pasta debbano essere scotti.
L’eccessiva esposizione a fonti di calore rende invece l’amido indigeribile, come se fosse crudo.
La complessa molecola dell’amido man mano che viene sottoposta a calore si “apre” per essere attaccata dall’enzima amilasi. Ma questa apertura si arresta se l’esposizione alla fiamma perdura, andando a richiudersi su se stessa e diventando di nuovo indigeribile.
Quindi la pasta andrebbe cotta “il tempo indicato in etichetta più qualche minuto”.
Il riso, insieme al miglio ed il cous cous, andrebbero cotti invece con il “metodo giapponese”. Si utilizzano parti d’acqua uguali, doppie o triple in base alla quantità di cereale utilizzato, ed un tempo di cottura variabile.
In ogni caso, non bisogna sciacquare questi cereali dopo cottura, perché oltre ad essere inutile (la maggior parte dell’amido si trova all’interno del cereale cotto), può renderli ancora meno digeribili.
Vanno quindi lasciati raffreddare naturalmente.
Infine le patate, a differenza dei cereali, andrebbero sbucciate, bollite per lungo tempo e ridotte in purea.
In alcuni casi la buccia durante la cottura può essere lasciata per garantire la conservazione di tutti i principi nutritivi. Stessa lunga cottura per quanto riguarda i cereali a chicco.
Possiamo quindi affermare che il cane, con limiti di razza, può assumere nella propria dieta una determinata quantità di cereali e che questi vadano anche saputi scegliere e cucinati, al fine di rendere la digestione del nostro amico più ottimale possibile.
Articolo del Dott Carmine Salese, DMV
- Pubblicato il Carmine Salese