Etichettature degli alimenti commerciali
Negli ultimi anni, il crescente interesse verso l’alimentazione dei nostri animali, ha portato ad una maggiore attenzione verso l’etichetta del cibo commerciale.
In questo articolo parleremo dell’etichettatura di un cibo commerciale e di come gli ingredienti vengono riportati. Analizzeremo le strategie di vendita con l’utilizzo di claim e come questi possano influenzare l’acquisto del prodotto finale.
L’affidabilità di un prodotto è spesso correlata alla trasparenza della sua etichetta. Un’etichetta chiara aiuterà il proprietario a scegliere il meglio per il proprio animale.
Etichettatura di un cibo commerciale
In etichetta partiamo dall’indicazione delle specie a cui è destinato il cibo (cane o gatto) o dalla categoria di destinazione (cuccioli, adulti, anziani, oppure cibo medicato tipo “renale, gastrointestinale”, ecc.).
Altre informazioni possono essere:
COMPLETO (ossia deve possedere le quantità adeguate di vitamine, minerali, proteine ecc. necessarie a rispettare i fabbisogni dell’animale).
COMPLEMENTARE (ossia il cibo non soddisfa tutte le esigenze nutrizionali). Attenzione ad esempio ai cibi umidi per gatti che molto spesso sono complementari, avendo ridotte quantità di Taurina.
“AL GUSTO DI”, “AROMATIZZATO AL”, CON” o “CONTIENE” indica che rispettivamente di quell’ingrediente non c’è nulla se non l’aroma (0%) o non più del 4%.
“ALTO IN” o “RICCO IN” non ha più del 14 % di quell’ingrediente (esempio “ricco in pollo” ecc.).
Se abbiamo la MARCA del cibo + l’ingrediente, esempio “Croccasuper agnello e riso”, vuol dire che deve essere presente almeno il 26% dell’ingrediente indicato.
“TUTTO” o “SOLO” contiene almeno il 99% dell’ingrediente scritto (tipo “solo tacchino” ecc).
Gli ingredienti in etichetta
Gli ingredienti in etichetta, devono essere sempre indicati in ordine decrescente (ossia il primo ingrediente descritto è quello maggiormente presente).
La formula con cui vengono espressi gli ingredienti potrebbe fare la differenza nel capire un’etichetta: un conto è scrivere “cereali, carni e derivati” (la cosiddetta formula chiusa), un conto è specificare i singoli ingredienti che compongono il mangime con la rispettiva percentuale “mais, riso 20 %, pollo ecc” ( la cosiddetta formula aperta).
È obbligatorio riportare sempre la quantità di proteine grezze, grassi grezzi, fibra grezza, ceneri grezze ed additivi (che sia vitamina C o grasso di pollo come appetizzante, vitamine E come antiossidante ecc.).
L’umidità (ossia l’acqua che un cibo contiene) non è obbligatorio che sia indicata in etichetta se non a partire dal 14%. Ma quindi, il cibo secco, non contiene acqua? Assolutamente si, almeno l’8%. ATTENZIONE quindi a confrontare un cibo secco con un cibo umido perché la loro quantità di acqua è diversa e quindi anche le percentuali che leggete vanno interpretate.
Più difficile è capire ad esempio, di quella proteina greggia, quanta sia di origine animale e quanta invece di origine vegetale. Non dimentichiamo che già il semplice glutine del frumento è una proteina vegetale, come anche una lenticchia. Ovviamente più proteine di origine animale abbiamo e meglio è per i nostri cani e gatti. Interessante è la percentuale di fibra indicata in etichetta, che si ottiene con un metodo di calcolo contenente “ufficialmente un errore di metodica”. Quindi quel 5% di fibra, potrebbe essere di più o anche di meno rispetto alla percentuale indicata.
Strategie di vendita e claim
Per claim intendiamo una sorta di slogan, pubblicità, “esaltazione” di una caratteristica di un cibo.
Tra i più comuni NORMATI dalla legge troviamo: FREE (molto frequente è il “GRAIN FREE”); FRESCO (spesso riportata la dicitura “CARNE FRESCA”); BIOLOGICO; NATURALE.
Tra quelli dove la NORMATIVA NON è ad oggi ben chiara, ci sono: CRUELETY FREE (non testato sugli animali) e MADE IN ITALY.
Ma come possono questi claim influenzare l’acquisto del consumatore?
GRAIN FREE spesso è associato all’assenza di carboidrati. Questo è un errore, perché gli amidi sono necessari in un processo di estrusione per ottenere un croccantino. La dicitura vuole dire assenza di amido dai cereali. Al massimo questi amidi possono derivare o dalle patate o dai legumi. Attenzione ai legumi, che sono ancora oggetto di studio per eventuale correlazione cardiomiopatia dilatativa nel cane/cibo ad alto contenuto di legumi.
MADE IN ITALY. In Italia, la carne utilizzata per i nostri animali, deve essere OBBLIGATORIAMENTE la stessa destinata al consumo umano, secondo le normative europee, anche se non riportato made in Italy. Ovviamente è carne scartata perché di seconda scelta (quindi potrebbe essere ANCHE di qualità inferiore). Ben diverso nei paesi extraeuropei (America, ecc.) dove il petfood viaggia su una linea diversa dello human food, quindi non segue necessariamente le stesse regole sulle somministrazioni di antibiotici, ormoni ecc..
FRESCO: ad esempio l’indicazione di CARNE FRESCA, come alimento principale, potrebbe indicare una minore quantità di proteina animale nel prodotto finale, poiché contiene più acqua, che viene persa dopo il processo di cottura. Quindi non per forza è segno di qualità alimentare ma va valutata attentamente al resto della formula.
SENIOR: questi cibi sono formulati basandosi anche su studi pregressi, dove anziano era sinonimo di ridotta quota proteica, ed alto volume di fibra. Questo non è sempre corretto, soprattutto in un animale anziano con una buona funzionalità renale. È la qualità della proteina che fa la differenza, quindi anziano non significa cibo senior!
È chiaro che interpretare un’etichetta non è cosi semplice, sia per il consumatore che per lo stesso professionista. Diventa, però, un’abitudine importante quella di esercitarsi nella lettura e nella comprensione delle etichette.
“The take of message “: Non esiste l’alimento migliore per un cane ed un gatto, esiste l’alimento migliore per il nostro cane e il nostro gatto, in base al suo stato di salute, al suo comportamento, la sua natura, le sue abitudini e molto altro ancora.
Articolo del Dr. Carmine Salese, DMV
- Pubblicato il Carmine Salese
Pressati a freddo: sono davvero più salutari per il nostro pet?
Se non possiamo offrire al nostro animale un cibo fresco, cercheremo sempre di trovare un cibo commerciale più adatto. Negli ultimi anni si sente spesso parlare di alimenti PRESSATI A FREDDO e di come questi possano essere più digeribili e salutari per il nostro amico. Ma è veramente così?
In questo articolo spiegheremo cos’è un pressato a freddo, la differenza con un croccantino estruso ed i reali vantaggi e svantaggi di questo alimento.
Interessante è cercare di soffermarsi sul tipo di tecnologia messa in pratica, che non sempre da un prodotto più digeribile per ogni animale o ne giustifica il reale costo finale.
PRESSATI A FREDDO E LA DIFFERENZA CON UN ESTRUSO
Per pressato a freddo intendiamo un cibo pellettato, ossia un cibo che si ottiene con una tecnologia chiamata pellettatura. Sfrutta un macchinario semplice chiamato pellettatrice, avente due rulli che premono il cibo contro una griglia e tramite l’attrito generano questo pellet. Qui si raggiunge una temperatura massima di 40-60 ‘ C con il solo “sfregamento” del cibo sulla griglia. Il classico croccantino invece, viene estruso mediante un macchinario molto costoso e complesso chiamato estrusore. Qui il cibo viene amalgamato con l’acqua e sfruttando il calore del vapore a 90-100’C ed una grossa vite, si ottiene il croccantino.
Oltre all’ evidente differenza di calore utilizzata nei due processi di produzione la differenza sta nella materia prima utilizzata:
Nel cibo pellettato pressato a freddo bisogna partire necessariamente da un cibo che sia già disidratato, macinato e ridotto in farina, poco umido. In un croccantino estruso si possono anche utilizzare materie prime fresche come la carne (che come detto in altri articoli, non è sempre un vantaggio)
Per quanto riguarda i nutrienti, la pellettatura utilizzando basse temperature, non dovrebbe portare a perdita di nutrienti e non richiederebbe aggiunta di additivi a fine produzione. Il cibo estruso invece, una volta asciugato e “gonfiato”, viene additivato infine con vitamine e Sali minerali in modo da non essere più degradate dal calore.
VANTAGGI E SVANTAGGI DEL PRESSATO A FREDDO
Il punto di forza del pressato a freddo è quello di non degradare le sostanze nutritive e non richiedere l’aggiunta a fine produzione di vitamine e Sali minerali come un croccantino estruso. Ma come abbiamo detto prima, deve necessariamente partire da materie prime che hanno già subito una disidratazione (come sarà avvenuta questa procedura?sono stati applicati comunque dei trattamenti hanno modificato la materia prima)
Ci sarebbe anche il vantaggio che la pellettatrice, costando molto meno di un estrusore, venga acquistata anche da realtà commerciali più piccole, definite di “nicchia”. Spesso però questi prodotti non costano meno di un classico croccantino estruso.
Il costo elevato è giustificato dalla loro alta digeribilità? Potendo utilizzare meno amido per le basse temperature (ricordate che c’è sempre amido anche in un pellettato!!) il cibo avrebbe anche più proteine e “galleggerebbe in un bicchiere d’acqua”. Per fortuna il nostro animale non si riduce ad un semplice bicchiere di acqua, ma è un organismo ben più complesso.
Usare meno amido non significa sempre facilitare la digestione. L’estrusione di un croccantino classico porta ad un processo chiamato gelatinificazione, che in molti animali rende l’amido più digeribile. Per assurdo, alcune razze con difficoltà a digerire gli amidi riescono ad utilizzare i loro pochi enzimi digestivi molto meglio su un prodotto cotto estruso piuttosto che pressato a freddo. Come lo capiamo? Andiamo a confrontare il volume e la quantità di feci del nostro animale e lì capiremo (feci=scarto). Per non parlare di alcuni pressati a freddo, dove l’ amido presente deriva solo da legumi.
Parlando di appetibilità, il pellettato non venendo appetizzato con grasso animale a fine produzione, spesso risulta meno gradito.
CONCLUSIONI
Ma allora questi pressati a freddo hanno troppi svantaggi? Assolutamente no! Esistono ditte molto affidabili, che selezionano bene le materie prime ed applicano una politica di trasparenza nel loro processo produttivo e dei loro ingredienti, usando amido prevalentemente derivato dalle patate e non dai legumi; studiano composizioni che rendano più appetibile il loro prodotto.
Se non si può scegliere un’alimentazione fresca e bilanciata ricordiamo sempre che “Non esiste l’alimento commerciale migliore per una cane ed un gatto, esiste l’alimento migliore per il nostro cane e il nostro gatto, in base al suo stato di salute, al suo comportamento, la sua natura, le sue abitudini e molto altro ancora”. Diffidiamo sempre da chi professa la verità assoluta!
Articolo del Dr. Carmine Salese, DMV
- Pubblicato il Carmine Salese
Gli insetti nell’alimentazione commerciale del cane e del gatto
L’emergenza ambientale, l’esaurimento delle risorse, l’attenzione verso tipi di alimentazioni più sostenibili e la maggiore sensibilità alla tutela e benessere degli animali, ci fa guardare verso nuove risorse alimentari per noi e per i nostri amici a quattro zampe.
In questo articolo parleremo di diversi studi che riguardano l’utilizzo degli insetti nel pet food commerciale, dei suoi benefici, dei suoi rischi e dei limiti per i consumatori
È interessante ricordare che gli insetti non sono affatto una novità nella dieta degli animali, poiché hanno sempre fatto parte dell’alimentazione del cane, del lupo e del gatto selvatico in ambiente naturale.
Gli insetti nel pet food commerciale
Attualmente in commercio esistono pochi cibi commerciali a base di insetti. Questi sono nati prevalentemente per l’esigenza di fornire una proteina “nuova” da utilizzare in corso di patologie specifiche, come quelle allergiche. C’è da dire, però, che la composizione attuale di molti di questi mangimi è rappresentata in prevalenza da legumi più che da insetti, quindi, bisogna far attenzione a quali soggetti destinare questi cibi. L’eccesso di legumi, nella dieta dei nostri animali, è sotto l’attenzione della comunità scientifica, con la correlazione di cardiomiopatie dilatative in razze predisposte. Ovviamente è ancora tutto in fase di studio ma, come si dice, “prevenire è meglio che curare”
Benefici
Se parlassimo di insetti come unico ingrediente di un alimento commerciale, di vantaggi ce ne sarebbero moltissimi. Gli insetti hanno molte proteine ad alto valore biologico, essendo una valida alternativa a farine di pesce o di soia. Pensate che il contenuto di aminoacidi essenziali nei grilli è paragonabile a quello delle uova, pollo, maiale e manzo. Gli olii ottenuti dagli insetti sono più ricchi di acidi grassi, flavonoidi e vitamina E, rispetto agli oli vegetali. Gli insetti grazie al loro “esoscheletro” hanno un’altissima concentrazione di calcio e fosforo. Ancora più interessante è sapere che gli insetti sono una fonte di sostanze, come l’acido ialuronico e le proteine antimicrobiche, che migliorano la risposta immunitaria e il microbioma del tratto digestivo.
Svantaggi
A controbilanciare i numerosi vantaggi dobbiamo considerare anche dei possibili rischi. Non possiamo attualmente escludere, per i nostri animali, possibili reazioni avverse, comprese quelle allergiche, verso le proteine d’insetto, che ancora non conosciamo bene e che, per assurdo, utilizziamo per escludere, a nostra volta, “allergie “alimentari. Devono poi essere considerati i rischi legati alla contaminazione durante l’allevamento, il confezionamento, la cottura o la somministrazione degli insetti (parliamo di batteri, muffe, micotossine, metalli pesanti ed antibiotici). Interessante specificare che la chitina, un elemento che compone lo scheletro degli insetti, se non rimossa adeguatamente, rende gli insetti stessi poco digeribili.
Limiti per i consumatori e per i produttori
Per quanto oggi giorno siano molti i vantaggi nell’utilizzare gli insetti nell’alimentazione quotidiana, la loro accettazione, da parte dei consumatori dei paesi occidentali, rimane difficile come retaggio culturale. Da non trascurare anche la completa trasformazione che il mercato mondiale dovrebbe affrontare per produrre questo nuovo tipo di alimento. In conclusione, è interessante sapere che, ad oggi, esisterebbe una nuova risorsa alimentare che, oltre a tutelare il pianeta, potrebbe essere per assurdo un’alimentazione migliore rispetto ad altri tipi di alimenti attualmente presenti in commercio per i nostri animali. Come si dice, attenzione che “l’apparenza inganna”!
Articolo del dott. Carmine Salese, DMV
- Pubblicato il Carmine Salese
La disfunzione cognitiva del cane anziano
Cosa sappiamo della disfunzione cognitiva del cane anziano, del morbo di Alzheimer e del ruolo dell’alimentazione? Nella nostra vita quotidiana vediamo sempre più cani spegnere le loro candeline di compleanno ad età incredibili. Questa cosa ci riempie di gioia ma porta con sé anche problemi che dobbiamo saper riconoscere e gestire.
In questo articolo parleremo della disfunzione cognitiva nel cane anziano e di come riconoscerla.
Evidenzieremo le cause e le somiglianze tra la disfunzione cognitiva e il nostro morbo di Alzheimer.
Infine non tralasceremo come sempre il ruolo dell’alimentazione e delle sue integrazioni .
Disfunzione cognitiva del cane
La disfunzione cognitiva non è altro che l’invecchiamento del cervello di tutti noi esseri viventi, l’arrivo della così detta “età geriatrica”. E’ progressiva e non può essere evitata.
I sintomi clinici della disfunzione cognitiva vengono raccolti in un acronimo D.I.S.H.A.A.L che correla problemi fisici con quelli neurologici e comportamentali:
- Disorientation (disorientamento)
- Interaction (ridotta interazione con uomo e animali)
- Sleep-wake cycle (ciclo del sonno disturbato)
- House soiling (eliminazioni inappropriate)
- Activity (livelli di attività modificati, iperattività o apatia)
- Anxiety (ansia)
- Learning and memory deficits (disturbi nell’apprendimento )
Disfunzione cognitiva del cane e morbo di Alzheimer nell’uomo
Il fatto che il nostro cane passi intere giornate a dormire mentre di notte si comporti da girovago, è indice di alterazione del ciclo veglia-sonno.
Questa alterazione è stata paragonata scientificamente alla stessa condizione che si presenta negli uomini affetti da morbo di Alzheimer.
Anche la perdita della memoria, tipica del morbo di Alzheimer, nel nostro cane affetto da disfunzione cognitiva si manifesterà con incapacità di riconoscere subito persone a lui care, il loro posto del cuore, il suo amico del parco ecc. Ovviamente tutto questo verrà correlato ad atteggiamenti, a volte anche incontrollati ed aggressivi, tipiche anche delle persone affette da morbo di Alzheimer
Alla base della disfunzione cognitiva del cane, c’è un’infiammazione continua di basso grado, chiamata inflammaging, che porta pian piano le cellule del cervello ad invecchiare.
Queste cellule hanno scarsa capacità di riformarsi e pochi enzimi antiossidanti pronti a salvarle dall’invecchiamento. In termini tecnici, si inizia ad accumulare nelle cellule una sostanza chiamata beta-amiloide che a sua volta coinvolge una proteina chiamata PROTEINA TAU.
Più si accumula, più si infiamma e più il nostro amico invecchia. E’ qui la differenza con il morbo di Alzheimer, dove gli studi scientifici hanno evidenziato per ora degli accumuli “diversi “di queste proteine nell’uomo rispetto al cane.
Alimentazione ed integrazioni funzionali
Importante oltre al supporto terapeutico di un medico veterinario esperto in comportamento, anche l’alimentazione. Ormai sappiamo quanto il cibo influenzi il microbiota intestinale e come una disbiosi intestinale favorisca il processo di infiammazione del cervello (asse intestino/ cervello)
Ma come possiamo aiutare il nostro amico “diversamente giovane”?
Psicobiotici e prebiotici, anche se gli studi sono scarsi, potrebbero tornarci utili.
Importante anche una dieta fresca specifica per un cane anziano, dove dobbiamo fare attenzione alla percentuale di fibra, a volte più alta rispetto ad un cane adulto.
La percentuale ed il tipo di grasso da utilizzare sono importanti come anche il valore biologico della proteina e non per forza sola la sua quantità. Da non sottovalutare l’idratazione associata ad un cibo fresco rispetto ad un cibo commerciale secco.
Le integrazioni funzionali della dieta possono giocare un ruolo importante. L’ MTC oil, fonte di energia alternativa per le cellule nervose, le vitamine ed antiossidanti (Vitamina E, Vitamina C, Vitamina B6 , Acido alfa-lipoico, Coenzima Q) gli omega 3 (in prevalenza DHA ), frutta e verdura (attenzione, alla dose ed alla cottura).
Tutto questo può rallentare di molto la degenerazione cognitiva.
In conclusione un buon lavoro tra medicina di base, comportamento e nutrizione, può far sì che il nostro amico invecchi nel modo più sano e felice possibile, per una vita insieme sempre più lunga!
Articolo del Dott. Carmine Salese, DMV
- Pubblicato il Carmine Salese
Dieta fresca nel cane e gatto con gravi patologie
In questo articolo tratteremo in chiave nutrizionale la gestione di un paziente malato con dieta fresca.
Daremo la definizione di paziente gravemente malato e parleremo delle differenze tra cane e gatto.
Affronteremo infine le diverse strategie per cercare di stimolare l’assunzione di cibo.
Molto probabilmente a chi da sempre condivide la propria vita con degli animali sarà capitato di dover gestire il suo pet in una situazione critica. Sia che si tratti di una malattia legata all’invecchiamento che di una patologia in particolare sentirsi incapaci di aiutare genera molta preoccupazione ed ansia.
Se ci pensiamo, proprio in questi momenti, il cibo diventa la chiave principale per accudire il proprio animale.
II paziente gravemente malato e la dieta fresca
Per paziente gravemente malato possiamo intendere un animale che progressivamente va incontro ad un peggioramento causato da una malattia che avanza (come un processo tumorale, una grave insufficienza renale, invecchiamento ecc ).
Oppure si parla di una malattia grave che potrebbe pian piano risolversi (ad esempio un soggetto che ha subito un trauma, ecc).
Infine possiamo parlare di animali che hanno una malattia cronica con forti ricadute (patologie cardiache, problemi intestinali cronici, ecc). Sono animali che potrebbero alimentarsi da soli ma che fanno fatica a farlo, perché magari hanno nausea. Oppure hanno fame ma non riescono ad arrivare da soli alla ciotola come nel caso di animali molto anziani o traumatizzati.
Alcune differenze tra cane e gatto in corso di patologia
Ricordiamoci che abbiamo davanti a noi due specie molto diverse.
Il cane malato molto spesso mostra una compliance alimentare molto più ampia, permettendoci spesso di imboccarlo e di provare a somministrare nuovi alimenti.
In molti casi offrire al proprio cane un nuovo cibo potrebbe essere lo stimolo giusto per farlo alimentare.
Il cambio di alimentazione va però sempre ponderato con il proprio medico curante, valutando rischi e benefici.
Spesso, anziché passare ad un cibo commerciale medicato per una specifica patologia (che sia gastrointestinale, renale ecc), buoni risultati possono essere ottenuti fornendo un pasto fresco, meglio ancora una proteina fresca.
Un cane difficilmente non apprezzerebbe della carne fresca.
Nel gatto malato la compliance alimentare è molto ridotta. Come spiegato in precedenti articoli, sono molti i fattori che influenzano l’assunzione di cibo nel gatto, come la consistenza dell’alimento, l’abitudine sin da piccolo a mangiare cibo fresco e il suo svezzamento. Sicuramente, sia per il cibo commerciale umido che per quello fresco, utile per il gatto è riscaldare l’alimento, per esaltare gli odori e stimolare l’appetito.
Quando parliamo del gatto non dimentichiamo l’effetto Garcia: l’associazione del cibo ad un evento sgradevole è molto accentuata nel gatto.
Quindi, se abbiamo in mente uno specifico alimento da utilizzare nel nostro gatto dopo la possibile guarigione, non utilizziamolo quando sta male. Altra cosa importante è non esagerare con l’alimentazione forzata.
Che proteina scegliere per la dieta fresca
Sicuramente una proteina digeribile ed appetibile potrebbe aiutarci. Anche selezionare un cibo mai mangiato o assunto raramente dal nostro animale, potrebbe giovare non solo sul suo appetito ma anche sull’intero organismo.
Le carni bianche come il tacchino (intolleranze ed allergie a parte) potrebbero essere utili al cane, mentre tagli più grassi come quelli di bovino nel gatto hanno più probabilità di successo.
Ricordiamoci di idratare l’alimento. Per i soggetti completamente immobili, cercare di :
- favorire lo svuotamento gastrico attraverso un aumento della frequenza dei pasti
- aggiungere in modo ponderato le fibre (giusto mix tra fibre solubili ed insolubili)
- fornire piccoli pasti ma molto energetici (in questo l’olio di cocco può darci una mano)
Come stimolare l’assunzione del cibo?
Compatibilmente con la patologia in atto, oltre a sostenere il paziente con terapie mirate (la cannabis medicinale ad esempio, antiemetici o altro) quando la condizione clinica lo permette, possiamo adottare diverse strategie alimentari, sfruttando proprio una dieta fresca:
- Cerchiamo di non cucinare eccessivamente la carne rendendola molto secca (il maiale invece deve avere sempre una cottura” a cuore”, ma questo ovviamente non significa stracotto!)
- Per il gatto può contare anche la forma e la consistenza del cibo (o meglio della proteina) che stiamo somministrando: cubetti, intera, a mousse, scottata, cruda, ecc
- Facciamo a parte un brodo di carne (in casi estremi anche con il dado pronto) e lo usiamo per condire il pasto (si può congelare in cubetti, scongelarlo e riscaldarlo ed utilizzarlo quando diamo il cibo)
- Utilizziamo sedano, origano, ed altre spezie (eccetto il prezzemolo, aglio e cipolla)
- Proviamo ad utilizzare lo snack preferito da polverizzare come parmigiano sul cibo
- In patologie come l’insufficienza renale, cerchiamo di ridurre la quantità di cibo aumentando le sue chilocalorie: molto apprezzato può essere il ghee o il burro chiarificato. Riesce a stimolare l’appetito ed a fornire molta energia senza rallentare lo svuotamento dello stomaco
- Non sovralimentare l’animale, ma stimare sempre le kcal complessive che deve mangiare. Se esageriamo, non sarà mai indotto a riprendere a mangiare spontaneamente
Possiamo concludere che la gestione alimentare di un paziente malato è strettamente correlata alla specie animale che stiamo andando ad aiutare. L’utilizzo di una dieta fresca in molti casi ci può essere d’aiuto.
Sapere come fornire una dieta diventa ancora più importante.
In corso di gravi tossicosi metaboliche o patologie gravi, difficilmente l’alimentazione da sola può aiutarci ma, applicare diverse strategie alimentari, potrebbe fornire al nostro animale una possibilità in più.
Articolo del dott Carmine Salese, DMV
- Pubblicato il Carmine Salese
La diarrea nel cane e nel gatto come gestirla al meglio
In questo articolo analizzeremo uno dei sintomi più comuni nei nostri animali da compagnia: la diarrea nel cane e nel gatto. Classificheremo i tipi di diarrea, parleremo delle cause che portano a questo sintomo e di come gestire un evento diarroico con o senza l’aiuto dell’alimentazione.
È difficile spiegare a chi non condivide la propria vita con un cane o un gatto quanto il sintomo diarrea possa dare preoccupazione. A volte si tratta di un problema cronico con cui il nostro animale convive, senza avere un peggioramento della qualità di vita. In altri casi invece la diarrea diventa un problema per l’animale e per il proprietario, che non riesce a gestirla.
Non è un sintomo da sottovalutare, soprattutto per chi vive in un centro storico o in una grande metropoli. Può provocare disagio sociale per l’intera famiglia.
Le tipologie di diarrea nel cane e nel gatto
Per aiutarci a gestire al meglio ansia e preoccupazione è importante saper riconoscere la tipologia di diarrea.
Si parla di diarrea acuta, quando oltre ad insorgere improvvisamente, perdura per pochi giorni. Ma quanti giorni? Non più di 5-7 giorni. Un dato importante per distinguerla dalla diarrea cronica, che dura da più di una settimana e può iniziare a destare preoccupazione.
Infatti, per quanto i fenomeni di diarrea acuta possano essere più allarmanti agli occhi di un proprietario (ma anche di un medico veterinario), spesso vengono arginati molto semplicemente senza la necessità di terapie farmacologiche vere e proprie.
Anche la “diarrea emorragica acuta” detta HGE (Acute Hemorrhagic Diarrhea Syndrome) va saputa distinguere. Alcuni studi dimostrano trattarsi di un fenomeno acuto, temporaneo e capace di rientrare del tutto da solo (autolimitante) senza l’utilizzo di antibiotico.
Ovviamente non deve essere accompagnata da febbre, grave abbattimento, scariche continue, età infantile a rischio malattie infettive. Né si deve trattare di animali anziani e debilitati.
In soggetti giovani/adulti, tendenzialmente sani con particolare sensibilità gastroenterica, il tempo di guarigione da questo sintomo è identico, con o senza antibiotico.
A volte invece di sangue possiamo trovare muco, che sta ad identificare colite.
Oppure feci completamente liquide dove il cibo non è stato per nulla assorbito.
Entrambe queste condizioni possono essere a loro volta acute o croniche e quindi vanno gestite in modo diverso.
Le cause di diarrea nel cane e nel gatto
Sono molteplici le cause di diarrea, prime tra tutte quelle alimentari.
Oltre ad aver mangiato un alimento non adatto, che si tratti di un cane o di un gatto, anche la razza può influenzare il tipo di reazione verso uno specifico cibo.
Non dimentichiamo che è “la dose che fa il veleno” e che spesso non conta solo cosa i nostri animali stanno mangiando, ma anche quanto e come.
Ecco che il pollo può generare diarrea nel cane non solo perché possibile fonte allergizzante, ma perché ne è stato mangiato troppo.
Oppure capita che un alimento fresco possa non generare sintomi gastroenterici, a differenza del suo corrispettivo commerciale.
Anche il passaggio repentino da un cibo all’altro può essere causa del sintomo.
La diarrea da cambio alimentare è fisiologica e nella maggior parte dei casi autolimitante.
Tra le tante ragioni, è da attribuire ad una necessità del microbiota intestinale di riadattarsi.
Ovviamente esistono anche cause di diarrea acuta/cronica non alimentari. Rappresentate da malattie infettive, parassitarie, autoimmuni, allergiche, chimiche, comportamentali, etc,
L’alimentazione in questi casi può essere una concausa e le terapie sono molto spesso farmacologiche
La gestione della diarrea nel cane e nel gatto
Partiamo dal concetto che l’utilizzo di antibiotici deve essere preso in considerazione solo in casi di estrema necessità e solo dopo approfondita valutazione medica.
L’uso ed abuso del farmaco in medicina (umana e veterinaria), insieme alle più recenti acquisizioni scientifiche, hanno modificato completamente l’approccio verso il sintomo diarrea.
Oggi infatti è importante imparare a trattare una diarrea acuta per quello che è, partendo dal cibo fino ad arrivare al parafarmaco e solo in casi particolari al farmaco.
Se il nostro animale sta assumendo pet food commerciale possiamo:
- In casi non estremamente acuti, lasciare il cibo attuale del nostro animale, andando a ridurne solo quantità e modificando la frequenza di somministrazione in piccoli pasti.
- In casi più intensi di diarrea acuta, utilizzare cibi iperdigeribili. Come cibi gastrointestinali o alimenti umidi a maggior contenuto di acqua
Se il nostro animale sta assumendo una dieta fresca casalinga gli approcci sono molteplici.
Sempre in base al soggetto, alla razza ed all’età. Anche la gestione nutrizionale del professionista che elabora il piano alimentare può essere molto diversa: si può scegliere di somministrare solo la fonte proteica, ridurre i grassi, dare solo una determinata fonte di carboidrati, aumentare o diminuire le fibre, etc.
Note di terapia
I parafamaci a disposizione per controllare la diarrea acuta sono molti.
Oltre all’impiego di probiotici si può ricorrere ad astringenti naturali a base di pectine, che richiamano acqua e aiutano a compattare le feci non formate.
Ne sono esempi i prodotti a base di farina di carrube. Una sostanza contenente anch’essa pectine che richiamano acqua, assieme ad acidi grassi insaturi, vitamine e sali minerali. Ricopre anche una funzione antibatterica, impedendo ai batteri di aderire alla parete intestinale.
Analoga funzione è anche quella della bentonite, un minerale naturale argilloso, che impedisce anche l’assorbimento di tossine.
Attenzione però a non abusare di questi prodotti: oltre a mascherare un sintomo che potrebbe essere cronico, possono ridurre nel lungo periodo anche l’assorbimento di sostanze nutritive.
Sempre tra i prodotti da banco ne esistono di ottimi anche per gestire condizioni più croniche.
La fibra solubile svolge sempre la funzione di richiamo dell’acqua dall’intestino al fine di compattare le feci. Importante nominare le cuticole/bucce macinate di psyllum, importante fibra ad azione prebiotica.
Anche in questo caso però attenzione: minimi eccessi possono provocare coliti!
Possiamo concludere dicendo che, anche se il sintomo diarrea può essere fonte di disagio e preoccupazione per il proprietario, saper riconoscere il tipo di diarrea e saperla contenere può ridurre il carico di stress emotivo ad essa correlata.
Senza mai dimenticare però di consultare il proprio medico veterinario di fiducia se il sintomo persiste o in caso di dubbio.
Articolo del dott. Carmine Salese, DMV
- Pubblicato il Carmine Salese
Le uova nella dieta del gatto
Come per il cane, anche per il gatto le uova rappresentano un ottimo alimento completo, al primo posto come valore biologico rispetto a tutte le altre proteine . Un insieme di vitamine, proteine nobili e sali minerali, spesso presente nelle nostre cucine e facilmente reperibile sul mercato. Il costo accessibile rende le uova un ingrediente alla portata di tutti. Importante però sarebbe investire un po’ di più per acquistare un prodotto biologico, proveniente d’allevamenti a terra, senza uso di farmaci e altre sostanze chimiche.
Anche per il gatto, le uova rappresentano un alimento molto digeribile ma ovviamente il nostro felino ha un rapporto con il cibo ben diverso dal cane. Quindi è importante considerare anche come somministrarle.
In questo articolo parleremo del ruolo nutrizionale che le uova ricoprono, in quali circostanze andrebbero preferite ad altri alimenti e come e quante uova somministrare al nostro gatto.
Il ruolo nutrizionale delle uova
Le uova hanno un altissimo valore biologico poiché costituite da un insieme di aminoacidi definiti essenziali per il gatto.
Il guscio rappresenta un’importante fonte di carbonato di calcio.
Se sottoposto ad un processo di essiccamento può rappresentare un ottimo integratore.
Facciamo però estremamente attenzione ad utilizzarlo in modo incontrollato: nel gatto un eccesso di calcio può portare ad uno squilibro del rapporto calcio /fosforo, causando danni importanti. Soprattutto nel caso di un gattino in accrescimento.
Le dosi di guscio necessarie in genere sono veramente minime, a volte non arrivano a superare una punta di un cucchiaino da caffè. Quindi affidiamoci sempre alle indicazioni di un professionista esperto in nutrizione veterinaria.
L’albume è quello che contiene in prevalenza le proteine dell’uovo. Queste come detto prima, sono costituite da amminoacidi essenziali che conferiscono all’uovo il suo alto valore biologico.
Il tuorlo è il “cuore multivitaminico” dell’uovo.
Ricco di vitamine liposolubili (A, D, K, E), quelle del gruppo B (in particolare la B12) e i minerali come il potassio, il ferro, il selenio, il magnesio e il calcio.
Contiene molti grassi insaturi, primo tra tutti l’acido oleico, e fosfolipidi come la fosfatidilcolina.
Questa svolge un ruolo importante per il benessere epatico, cerebrale e nel controllo del colesterolo.
Il tuorlo ha anche un’azione antiossidante, grazie alla luteina e la zeaxantina che intervengono sia a livello immunitario che visivo.
In che circostanze le uova andrebbero preferite ad altri alimenti?
Visto l’alto valore biologico e l’estrema digeribilità, le uova possono ricoprire un ruolo importante in soggetti affetti da patologie renali ed epatiche. Nelle quali la quantità e la qualità delle proteine può fare la differenza.
Anche in gatti debilitati dove è necessario apportare energia e facilitare la digestione, l’uovo potrebbe essere un buon alimento.
In condizioni fisiologiche le uova possono essere un valido ingrediente nella dieta di gattini, soggetti anziani e mamme in gravidanza o allattamento.
Quante uova possiamo somministrare al nostro gatto?
È stato dimostrato ormai da tempo, che almeno un’uovo può essere assunto anche tutti i giorni senza apportare peggioramento di nessun tipo sulla salute del soggetto.
In particolare non incide sull’aumento “negativo” del colesterolo (ricordiamo che solo il 20% del colesterolo ematico può essere influenzato da ciò che mangiamo).
Ovviamente, nel rispetto della variabilità del microbiota intestinale, non si consiglia di somministrare l’uovo come unico ingrediente in modo continuativo.
Il metodo ideale per la cottura sarebbe alla coque: albume cotto e turlo crudo.
La cottura del tuorlo porterebbe infatti alla perdita di gran parte delle vitamine e sali minerali.
L’albume invece contiene una sostanza antitnutrizionale (avidina) che impedisce l’assorbimento di importanti nutrienti come le vitamine del complesso B.
L’avidina viene inattivata solo dalla cottura. Ma attenzione a cuocere l’albume per troppo tempo: si riduce la digeribilità e l’assorbimento dei principi nutritivi. Quindi è sufficiente far coagulare rapidamente l’albume, senza cuocerlo eccessivamente.
Come somministrare le uova ad un gatto?
Tra i principali sensi sfruttati dal nostro felino il tatto ( inteso come consistenza dell’alimento) è il più utilizzato. Quindi sarà molto difficile riuscire a proporre ad un gatto un tuorlo crudo, che per giunta risulta in generale poco appetibile.
Ancora meno probabile è far mangiare ad un gatto un uovo alla coque.
Il giusto compromesso è “strapazzare” le uova molto velocemente , in modo da garantire la cottura dell’albume ed una lieve “scottata” del tuorlo.
Si può aggiungere anche un pizzico di sale (anche se nel gatto il salato è un gusto poco percepito). Ricordatevi di non forzare mai il gatto, non cercare di ingannarlo e fargli provare sempre un nuovo alimento la sera, in un momento di tranquillità.
Quindi l’uovo è un valido alimento per la dieta del nostro gatto. Ricordiamo però che in un felino l’alimentazione rimarrà sempre un gioco da Masterchef e che questo ingrediente va sempre adattato ai gusti del nostro gatto.
In questo caso, dovremo essere ancor più bravi poiché rispetto ad altri alimenti l’uovo non ha una grande appetibilità!
Articolo del Dott. Carmine Salese, DMV
- Pubblicato il Carmine Salese
La nutrizione nella gestione dell’epilessia idiopatica del cane
In questo articolo affrontiamo un tema importante. Una patologia complessa come l’epilessia idiopatica del cane può essere gestita anche attraverso l’alimentazione? Parleremo dei diversi meccanismi con cui l’alimentazione riesce ad aiutare il soggetto colpito.
Ancora una volta ci troveremo a trattare di asse microbiota-intestino-cervello, delle diverse fonti di energia derivanti dal cibo e delle sue modalità di somministrazione (corpi chetonici e dieta simil chetogenica. Ma anche del ruolo di diversi nutraceutici, dell’utilizzo di cbd e di particolari diete ad eliminazione.
Evidenzieremo come il contenuto di sale, a prescindere dal tipo di dieta, possa influenzare l’efficacia dei farmaci antiepilettici. Tutto questo considerando gli studi pubblicati fino al 2022.
Nell’ultimo decennio, la nutrizione ha guadagnato molto interesse nella gestione dell’epilessia idiopatica canina. Grazie anche a crescenti evidenze scientifiche. Gli obiettivi terapeutici della nutrizione in corso di epilessia idiopatica del cane sono volti a sostenere le adeguate funzioni cerebrali, arrestare o rallentare la progressione della malattia e ridurre gli effetti collaterali dei farmaci antiepilettici. Alleviando anche patologie comportamentali legate a questa condizione.
Cos’è l’epilessia idiopatica del cane?
Per epilessia si intende una patologia neurologica cronica, in cui un soggetto è predisposto ad avere crisi epilettiche. Queste crisi sono degli eventi improvvisi di durata variabile rappresentate da tremori, ipersalivazione, arti rigidi etc. Normalmente si interrompono da sole, ma la loro frequenza è imprevedibile.
Per idiopatico intendiamo un’epilessia che non ha una vera causa apparente. Si pensa che possa avere una base genetica come nell’uomo, ma attualmente si stanno facendo molte considerazioni ed ipotesi.
Asse microbiota-intestino-cevello
Abbiamo trattato più volte la relazione tra cervello ed intestino attraverso il microbiota intestinale (l’insieme dei microrganismi presenti nell’intestino).
Parliamo di un legame che avviene sia attraverso fibre nervose sia attraverso il sistema immunitario. Ma anche grazie a sostanze (metaboliti) rilasciate dai batteri intestinali dopo aver metabolizzato un determinato alimento (i così detti postbiotici).
Il cibo infatti può essere utilizzato dai batteri intestinali per produrre una serie di sostanze di origine alimentare, prima tra tutti il butirrato, ad azione antinfiammatoria e neuroprotettrice.
Gli studi hanno dimostrato che forti condizioni di disbiosi (alterazione del microbiota intestinale) sono tipiche dei soggetti epilettici e che il “benessere intestinale” riduca la tendenza a sviluppare crisi convulsive. Si alza cioè il cosi detto valore soglia epilettogeno e migliora la risposta ai farmaci antiepilettici.
Corpi chetonici e dieta simil-chetogenica
Da sempre nell’uomo è stato riconosciuto un potenziale del digiuno sulla gestione dell’epilessia, legato alla produzione di corpi chetonici (acetone, acido acetico, ecc).
Questi sono derivati principalmente dal metabolismo dei grassi e possono essere utilizzati rapidamente dal cervello come fonte di energia in caso di digiuno prolungato al posto del glucosio. Sono stati riconosciuti ai corpi chetonici diversi effetti benefici sia diretti a favore delle cellule nervose del cervello, che indiretti attraverso l’interazione con il microbiota intestinale.
In alimentazione umana, per ottenere corpi chetonici, si parla di DIETA CHETOGENICA.
Si tratta di una dieta con un’elevata percentuale di grassi, una buona percentuale proteica e ridotta/assente presenza di carboidrati.
Nel cane però l’esclusiva produzione di corpi chetonici con il digiuno non è possibile perché a differenza nostra è in grado di produrre parte del glucosio anche a digiuno.
Avere quindi una chetosi (ossia produzione esclusiva di corpi chetonici) nel cane richiederebbe un digiuno troppo prolungato.
Per questo si parla di DIETA SIMILCHETOGENICA. Costituita sempre da un elevata quantità di grassi, rappresentati in prevalenza dai MCT (grassi a media catena), un’elevata quantità di proteine e la presenza quasi nulla di carboidrati sotto forma di vegetali.
Un recente studio del 2022 ha riesaminato tutti gli studi fatti in precedenza.
È stata evidenziata un’ottima risposta a questa dieta nella gestione di crisi epilettiche idiopatiche del cane, soprattutto nei soggetti che rispondono poco e male alla terapia antiepilettica.
Nutraceutici
In molti studi rivolti alla gestione dell’epilessia idiopatica del cane è stata evidenziata l’aggiunta nella dieta di sostanze nutraceutiche.
L’utilizzo di acidi grassi omega 3 (in particolare DHA ed EPA) di cui il cervello è composto in grande prevalenza può portare ad un miglioramento della funzione delle cellule nervose, alla riduzione dei processi infiammatori, ma anche ad un controllo generalizzato sulla pressione arteriosa.
Cosi anche l’aggiunta di acidi grassi a media catena (MCT) sottoforma di olio di cocco o di Mct oil, si è dimostrata molto utile per il metabolismo delle cellule nervose. Forniscono molta energia al cervello e producono una buona quantità di corpi chetonici anche in presenza di carboidrati nella dieta.
CBD e diete ad eliminazione nell’epilessia idiopatica del cane
Quando si parla di CBD o cannabidiolo stiamo considerando la parte non “stupefacente” della pianta della Cannabis.
Normalmente viene dato per bocca come integrazione alla dieta. Il CBD riesce a controllare le crisi epilettiche in diversi modi, ma la tipologia e la sua dose minima efficace sono ancora oggetto di studio.
Parlando invece di diete ad eliminazione, ossia quelle diete fatte per escludere un’allergia o un’intolleranza verso un alimento, gli studi sono ancora preliminari.
Un’ipotesi è che l’eventuale processo infiammatorio correlato ad un determinato alimento, coinvolga non solo cute ed intestino, ma anche il cervello. Questa ipotesi è stata avvalorata nel 2022 da uno studio sulle razze terrier e la loro intolleranza al glutine. Eliminando questo ingrediente dalla dieta si assiste, secondo lo studio, ad una riduzione di crisi convulsive a cui questa razza è molto predisposta
Contenuto di sale nella dieta
Nei diversi studi, si è evidenziato come l’eccesso o il difetto di sale della dieta possa influenzare l’efficacia di alcuni farmaci, come il bromuro di potassio (troppo sale nella dieta lo porta a funzionare meno, viceversa invece la presenza di poco sale).
In conclusione, conoscere il tipo di dieta e come un cane affetto da epilessia idiopatica possa rispondere a questa, rappresenta un ulteriore strumento nella gestione della malattia. Affidarsi ad un medico veterinario nutrizionista in grado di gestire correttamente una dieta simil-chetogenica, con le adeguate integrazioni funzionali, potrebbe influenzare in modo significativamente positivo la risposta alle terapie convenzionali.
Articolo del Dott Carmine Salese, DMV
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Enteropatia cronica e alimentazione del cane e del gatto
In questo articolo cercheremo di spiegare cosa si intende per enteropatia cronica e il suo legame con l’alimentazione. La possibile correlazione tra razza/alimentazione/enteropatie ed il ruolo chiave di specifiche integrazioni funzionali nella dieta di un soggetto enteropatico.
Nell’attività quotidiana di un medico veterinario c’è la gestione di patologie intestinali acute e croniche.
Diarrea, feci poco formate, emissioni di odori tutt’altro che piacevoli. Oppure feci conformate ma in quantità eccessiva. Sono solo alcuni dei sintomi che il un animale enteropatico può manifestare.
Cosa si intende per enteropatia cronica e qual è il legame con l’alimentazione?
Quando parliamo di enteropatia cronica stiamo usando una denominazione generica. Parliamo di qualsiasi malattia dell’intestino in atto da un tempo prolungato.
Ma le enteropatie croniche non sono tutte uguali! Si differenziano tra quelle che rispondo all’alimentazione (le cosi dette enteropatie responsive alla dieta), a quelle che invece necessitano di farmaci come antibiotici (le cosi dette enteropatie responsive all’antibiotico) fino all’utilizzo di cortisone o altri immunosoppressori (enteropatie responsive agli immunosoppressori).
Ultimamente si tende a parlare di gastroenteropatia cronica, per ribadire anche l’importantissimo ruolo dello stomaco nel processo di digestione di un alimento.
Infatti nel cane e nel gatto buona parte della digestione è svolta dallo stomaco e se questo digerisce male, l’intestino a sua volta si troverà in difficoltà.
Troppo grasso, potrebbe mettere a dura prova lo stomaco nel suo svuotamento, rallentando tutto il transito intestinale e causando vomito; troppa fibra, soprattutto se insolubile potrebbe invece far passare troppo rapidamente il cibo nell’intestino provocando diarrea e perdita di peso.
Viceversa poca fibra potrebbe rallentare il passaggio del cibo nell’intestino provocando stitichezza.
Ecco perché nelle diete del cane e soprattutto del gatto, le verdure non possono essere date in quantità non controllata.
L’Enteropatia cronica per un cane ed un gatto, può provocare anche frequente flatulenza e feci gelatinose, magari perché abbiamo esagerato con broccoli e broccoletti, verdure che possono fermentare facilmente.
Ma a fermentare a volte possono essere anche i carboidrati in eccesso. Oppure le proteine in surplus (in questo caso se c’è flatulenza l’odore può essere davvero nauseabondo!).
Ricordiamoci sempre che il cibo verrà utilizzato dal microbiota intestinale, influenzando anche la sua funzione.
Razze, alimentazione e enteropatia cronica
Purtroppo in medicina veterinaria sono pochi gli studi che mettano in correlazione le razze con l’alimentazione e la predisposizione alle enteropatie, ma alcune peculiarità sono note.
Setter irlandesi e Border terrier ad esempio sembrano avere un’intolleranza genetica verso il glutine.
Le razze brachicefale, a causa di alcune caratteristiche anatomiche, dovrebbero ricevere diete iperdigeribili.
Molto spesso ci si basa sull’esperienza clinica del medico veterinario nutrizionista nella gestione delle infiammazioni intestinali croniche.
In generale si potrebbe decidere di gestire l’enteropatia aumentando i carboidrati oppure eliminandoli, riducendo grassi e proteine e cosi via.
Molti molossoidi o razze più primitive come il Lupo cecoslovacco sembrano essere più sensibili non solo al tenore di carboidrati della dieta, ma anche alla modalità di somministrazione della proteina (crudo vs cotto).
Altre razze sembrerebbero tollerare invece molto poco un eccesso proteico. Insomma non c’è una regola!
Il ruolo chiave delle integrazioni funzionali nell’enteropatia cronica
Sicuramente probiotici (tindalizzati, vivi o inattivati) insieme ai prebiotici (fos, mos, ecc) e post biotici, non possono mancare.
Ma non dimentichiamo l’importanza di antinfiammatori fitoterapici come la boswellia, la curcuma e molti altri.
Negli ultimi anni un ruolo chiave è svolto da integratori a base PEA (palmitoiletanolamide) e dalla cannabis terapeutica intesa come estratto di fitocomplessi.
Sono sostanze ormai da tempo impiegate in campo umano, che trovano un grande utilizzo nella gestione delle enteropatie croniche anche gravi. Regolando l’attività dell’intestino, dello stomaco e riducendo infiammazione, nausea e dolore.
Possiamo dunque affermare che le enteropatie croniche del cane e del gatto sono problematiche complesse, per le quali una corretta alimentazione può fare la differenza, insieme ad un approccio terapeutico integrato.
Articolo del dott. Carmine Salese, DMV
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Olio di cocco vergine per il cane. Cos’è, a cosa serve e come usarlo
L’olio di cocco vergine, sempre più popolare anche per il cane, è usato da molti anni in medicina umana in vari ambiti, che spaziano dalla cosmesi alla gestione di diverse patologie. In questo articolo vediamo cosa si intende per olio di cocco vergine, la tipologia d’ acquistare, come si presenta. Ma anche in che modo possiamo utilizzarlo per i nostri cani e quali sono gli effetti benefici. Infine, in quali patologie può essere utilizzato e in che quantità.
L’olio di cocco vergine è un ingrediente semplice, considerato oggi ormai un vero e proprio “super food” dai mille benefici per noi ma anche per i nostri cani. Il prezzo contenuto e i benefici che apporta ne fanno uno strumento utilissimo anche in Nutrizione Veterinaria. Lo conoscevate?
Cosa si intende per olio di cocco vergine?
Tutti conosciamo il cocco, che non è un frutto bensì il seme dell’albero tropicale del cocco!
È da questi semi che, una volta aperti, viene estratta la polpa interna, bianca e profumata. Dalla polpa fatta essiccare e poi pressata si ottiene l’olio di cocco.
Se il processo è eseguito nel modo più naturale possibile, senza uso di sostanze chimiche, si parla di olio pressato a freddo.
Quando poi, una volta ottenuto, non viene raffinato, decolorato o privato del suo profumo, allora possiamo definirlo olio di cocco vergine.
Quale olio di cocco è meglio acquistare?
È normale che la qualità sia strettamente collegata ai processi di lavorazione.
La dicitura pressato a freddo ci indica un prodotto estratto naturalmente, senza l’utilizzo di sostanze chimiche.
Con vergine si intende invece che stiamo acquistando un prodotto privo di ogni tipo di trattamento dopo l’estrazione.
Ovviamente dobbiamo fare attenzione all’etichetta e non acquistare un prodotto destinato alla cosmesi, ma all’alimentazione!
Per essere ancora più certi della qualità del prodotto possiamo sceglierne uno certificato come proveniente da agricoltura biologica. In questo modo riduciamo ulteriormente le possibilità che contenga contaminanti.
Come si presenta l’olio di cocco?
L’olio di cocco, a dispetto del termine, si presenta in forma solida per la maggior parte dell’anno, con un punto di fusione tra i 24-26°C.
Come un panetto di burro ma al profumo di cocco!
Ma non abbiate paura di trovarlo liquido in estate, né di sottoporlo a riscaldamento per scioglierlo e poi lasciarlo solidificare di nuovo.
Si tratta infatti di un grasso molto resistente e difficilmente va incontro a deterioramento.
Come utilizzare l’olio di cocco per il cane e con quali benefici?
La particolarità dell’olio di cocco è la ricchezza di acidi grassi a media catena (in inglese Medium Chain Triglycerides, abbreviati nell’acronimo MCT).
I trigliceridi a media catena di maggiore interesse nutrizionale e medico sono rappresentati dall’acido caprinico, caprilico e caprico.
Questi acidi grassi hanno la caratteristica di essere facilmente assorbiti dall’intestino senza “affaticare” il fegato e di generare in modo rapido molta energia.
Sono un ottimo cibo da poter utilizzare in cani che fanno Agility o in altri sportivi, dove è richiesto uno sprint iniziale di durata abbastanza limitata nel tempo.
Ottime in questi casi le merende a base di olio di cocco un’ora e mezza prima di una gara, insieme a qualche cereale ed una fonte proteica.
Se poi volessimo usare l’olio di cocco per la cura del tartaro e dell’alitosi, possiamo applicarlo direttamente sui denti del cane.
Mi raccomando però, facciamolo solo se il nostro pet è attratto da quell’odore e accetta di buon grado di farsi mettere le mani in bocca. Altrimenti i benefici non giustificano lo stress inflitto!
Non dimentichiamoci del pelo. Possiamo applicare l’olio di cocco direttamente sul manto, per aiutare a ridurre rossori ed eczemi.
Anche somministrato per bocca nella dieta quotidiana può aiutare a conferire tutto l’anno un mantello lucente!
Per quali patologie può essere indicato l’olio di cocco vergine?
Con l’attenta guida di un medico veterinario esperto in nutrizione, l’olio di cocco può essere utilizzato in diverse patologie.
Come dicevamo questo tipo di olio non coinvolge il fegato nell’assorbimento, ossia non richiede la produzione di bile. Quindi sarà molto utile in tutte le patologie che coinvolgono il fegato.
Ma anche in tutte quelle situazioni d’infiammazione intestinale acute e croniche (nelle famose IBD, dove andrà a nutrire direttamente le cellule del piccolo intestino).
L’olio di cocco ricopre anche un ruolo importante anche nella gestione di patologie neurologiche come l’epilessia e disturbi comportamentali, come l’iperattività.
In entrambi i casi è sempre più evidente la connessione tra un intestino sano e/o malato ed il cervello.
Infatti andando ad apportare dei benefici intestinali magari anche grazie all’utilizzo dell’olio di cocco, si può agire di conseguenza sulla psiche e su una parte di patologie che coinvolgono il sistema nervoso centrale.
Quanto olio di cocco vergine possiamo somministrare al cane?
Se partiamo da una noce di burro di cocco, anche tutti i giorni, non possiamo che apportare vantaggi.
È ovvio che prima di tutto dobbiamo assicurarci che l’odore e il sapore siano graditi!
La taglia del cane può fare la differenza e sicuramente nei soggetti di più grande mole le quantità possono essere aumentate.
Facciamo però attenzione a non esagerare, perché rischiamo di far aumentare esageratamente il peso del cane, favorendo obesità ed infiammazione.
E per il gatto? Ne abbiamo parlato in questo articolo.
In conclusione quindi l’olio di cocco è un ottimo alimento naturale dalle mille proprietà ma occhio a non esagerare, perché come per tutti gli alimenti non superare le giuste quantità è importante!
Articolo del Dott. Camine Salese, DMV
- Pubblicato il Carmine Salese
I sensi del gatto
Il gatto ed il gusto: selezionatore sopraffine
In questo articolo affrontiamo il tema dei sensi del gatto, in particolare di quelli che vengono sfruttati dal nostro amico durante l’assunzione del cibo, e come cercare di cambiare la sua alimentazione.
Il rapporto del gatto con il cibo, oltre ad essere fortemente correlato alla sua specie ed al suo comportamento in natura, risulta essere strettamente associato anche alla sua anatomia. Se vuoi saperne di più leggi anche qui.
Non parliamo solo della sua dentizione e della sua masticazione, ma anche degli organi di senso.
Quali sono i gusti del gatto?
Per quanto riguarda i gusti del gatto, a livello anatomico possiede un numero di papille gustative di gran lunga inferiore a noi esseri umani ed al suo nemico/amico cane.
Infatti i nostri felini non sono dei grandi “degustatori” di pappa.
Ci sono sapori che non riescono proprio a percepire come il dolce (anche se molti di noi sarebbero pronti a scommettere il contrario); sapori salati che a stento avvertono; altri che distinguono molto bene, come il sapore acido (sfruttato anche in molti mangimi per esaltare il sapore) oppure l’odiato sapore amaro che può essere contenuto anche in molte verdure cotte.
Il sapore più amato dal gatto è quello dell’UMAMI, che può essere stimolato benissimo da sostanze presenti nella carne fresca.
Quali sensi del gatto vengono sfruttati durante l’assunzione del cibo?
I sensi che vengono sfruttati durante l’assunzione del cibo sono molteplici.
Abbiamo capito che la capacità del gatto di percepire il gusto in realtà è ben più bassa rispetto alla nostra.
Il suo olfatto non è quello di un cane, è sicuramente molto più spiccato del nostro. Ma non è il senso che ne fa da padrone.
La capacità del gatto di osservare la forma, il colore e soprattutto la consistenza e la temperatura del cibo è davvero impressionante. Infatti nel gatto è il caso di dire che il tatto rappresenti per lui un SESTO SENSO.
Quindi capiterà che quel cibo fresco dato frullato, possa riscuotere meno successo dello stesso cibo a pezzi o direttamente tutto intero. Magari da strappare ed ingoiare dopo una rapida masticazione.
Come un predatore, il gatto seleziona il cibo annusandolo, poi lo afferra tra la bocca per sentire di che pasta è fatto l’alimento ed infine lo mastica grossolanamente per gustarne il sapore. Adesso è spiegata la mania del gatto di mettere la zampa nella ciotola toccando tutto il cibo!
Come cambiare la sua alimentazione?
Il rapporto del gatto con il cibo non è del tutto scontato e cambiare la sua alimentazione non è poi così facile.
La prima regola è NON FORZARE MAI O INGANNARE un gatto!
Possiamo solo cercare di sfruttare quello che abbiamo detto. Scaldando il nuovo alimento per aumentare il suo profumo, provare diversi formati di cibi umidi (patè, straccetti, bocconcini ecc). Oppure diversi modi per offrire la novità fresca (frullata, scottata, macinata, ecc).
Possiamo provare a preparare un buon brodo di carne e mescolarlo nel cibo per invogliare il gatto ad assumerlo. Insomma, un vero gioco da Masterchef
Quindi, il gatto rimarrà sempre un selezionatore sopraffine. Con le sue caratteristiche fisiche e comportamentali, riuscirà a far scegliere a noi cosa veramente è gradito a lui!
Articolo del Dott Carmine Salese, DMV
- Pubblicato il Carmine Salese
Il cane può mangiare cereali?
In questo articolo parleremo del rapporto dei cani con i cereali, di razze poco predisposte a mangiarli, di quali cereali possono essere dati ai nostri amici ed infine di come possono essere cucinati, sfatando miti e leggende.
Molte volte ci troviamo a domandare se il cane può mangiare cereali, se possano far parte della loro dieta.
Ci sono diverse opinioni su questa tematica e in questo articolo proveremo a fare un po ‘di chiarezza.
Il rapporto dei cani con i cereali
Che l’antenato del cane sia il Lupo (C. Lupus) non ci sono dubbi . Ciò fa intendere come il cereale non sia in prima battuta un alimento fondamentale per il nostro amico. Ma il nostro cane, sottospecie del lupo, ha avuto 33mila anni di convivenza con noi uomini, cambiando abitudini, modi di vivere e di mangiare.
Tutto questo lo ha portato a distaccarsi da quello che era un lupo, sia esteticamente (fenotipo) che geneticamente (genotipo). Rendendolo un carnivoro opportunista.
Una grande differenza sta proprio nella capacità di digerire l’amido.
Infatti possiede geni in grado di codificare l’enzima deputato alla sua digestione, chiamato amilasi. Questo enzima permette di scindere la molecola di amido e farla digerire a livello intestinale.
Sicuramente una dieta povera/priva di cereali potrebbe determinare un stato di salute migliore per il cane, anche se non presenta difficoltà nella loro digestione. Questo perché molti cereali utilizzati per il cane contengono glutine. Una proteina pro infiammatoria che se somministrata per lunghi periodi senza variabilità può favorire anche in soggetti sani stati di malessere.
È Importante ribadire che è falso definire il cane come impossibilitato a mangiare cereali, ma è più veritiero affermare che la loro assunzione vada regolata e se necessario, limitata.
Il cane può mangiare cereali? Razze poco predisposte alla digestione degli amidi
Tra le razze poco predisposte alla digestione degli amidi, troviamo in genere tutte quelle che potremmo definire più “ancestrali” delle altre, come Akita, Shiba, Cane Lupo Cecoslovacco, Samoiedo. Ma anche cani che all’apparenza non avremmo mai preso in considerazione, come il Barboncino.
Tutte queste razze risultano avere una scarsa produzione di amilasi, come il loro antenato. Da non dimenticare anche forme di celiachia nel cane, accertate nelle razze Border Terrier e Setter Irlandese.
Quali cereali possono essere dati al cane?
Possono essere molteplici come la pasta di vari cereali, il riso (meglio ancora se basmati in quanto più digeribile), il miglio, il cous cous, farine di mais, ma anche le patate.
Queste ultime si tende a considerarle tra i cereali in quanto fonte di amido e con una densità energetica piuttosto alta rispetto ad una qualsiasi verdura (nonostante sia importante prendere in considerazione la quota di fibre che esse apportano).
Attenzione nell’utilizzo di tutti quei cereali a chicco come farro, orzo ecc, ed anche a tutte le forme di cereali integrali: in questi casi la digeribilità potrebbe essere compromessa.
Come possono essere cucinati i cereali?
Proviamo a sfatare il mito secondo cui cereali come riso e pasta debbano essere scotti.
L’eccessiva esposizione a fonti di calore rende invece l’amido indigeribile, come se fosse crudo.
La complessa molecola dell’amido man mano che viene sottoposta a calore si “apre” per essere attaccata dall’enzima amilasi. Ma questa apertura si arresta se l’esposizione alla fiamma perdura, andando a richiudersi su se stessa e diventando di nuovo indigeribile.
Quindi la pasta andrebbe cotta “il tempo indicato in etichetta più qualche minuto”.
Il riso, insieme al miglio ed il cous cous, andrebbero cotti invece con il “metodo giapponese”. Si utilizzano parti d’acqua uguali, doppie o triple in base alla quantità di cereale utilizzato, ed un tempo di cottura variabile.
In ogni caso, non bisogna sciacquare questi cereali dopo cottura, perché oltre ad essere inutile (la maggior parte dell’amido si trova all’interno del cereale cotto), può renderli ancora meno digeribili.
Vanno quindi lasciati raffreddare naturalmente.
Infine le patate, a differenza dei cereali, andrebbero sbucciate, bollite per lungo tempo e ridotte in purea.
In alcuni casi la buccia durante la cottura può essere lasciata per garantire la conservazione di tutti i principi nutritivi. Stessa lunga cottura per quanto riguarda i cereali a chicco.
Possiamo quindi affermare che il cane, con limiti di razza, può assumere nella propria dieta una determinata quantità di cereali e che questi vadano anche saputi scegliere e cucinati, al fine di rendere la digestione del nostro amico più ottimale possibile.
Articolo del Dott Carmine Salese, DMV
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