Gatto

Il gatto “moderno”, un carnivoro stretto

Si dice che il gatto sia un carnivoro stretto. Ma come si è evoluto il suo apparato digerente nel corso dei millenni? Proviamo a conoscerlo più da vicino.

Il gatto e l’inizio della relazione con l’uomo.

L’addomesticamento del gatto selvatico (Felis silvestis) è avvenuto circa 6000 anni.
Un tempo relativamente recente se pensiamo che l’uomo ha fatto amicizia con il cane più di 10.000 anni fa!
L’uomo decise di avvicinare il gatto per sfruttare le sue capacità di caccia così da tenere puliti i granai dai topi. Ovviamente i nostri avi non pensavano minimamente ad alimentarlo: a pancia piena avrebbe cacciato ben poco.

Il gatto moderno è molto simile al suo antenato, come morfologia e come comportamento: è rimasto un cacciatore notturno solitario di piccole prede (uccelli, rettili e roditori).

Per questo motivo il suo apparato digerente non ha subito modifiche poiché l’alimentazione è rimasta invariata nei millenni lasciandolo così un vero e proprio carnivoro.

Conosciamo più da vicino questo elegante ed enigmatico felino

Un breve viaggio nell’apparato digerente del gatto

Nel gatto, che ha uno sviluppo incredibile dell’olfatto, più ancora del gusto, la scelta dell’alimento è fatta prevalentemente con il naso.

I sapori che percepisce infatti sono limitati: apprezza il cosiddetto umami, che corrisponde al sapore del glutammato monosodico (dato dai tessuti animali), il salato e un po’ di acido.

Non percepisce invece il dolce ed ha avversione per l’amaro.
Ma non solo! Oltre all’olfatto, nella scelta del cibo il gatto utilizza il tatto: la forma, la consistenza e la temperatura della pietanza sono fondamentali (motivo per il quale l’industria del pet food ha lanciato cibi per gatti di ogni forma, colore e consistenza).

Dopo la masticazione

Dopo aver masticato brevemente, il cibo passa in faringe ed esofago per arrivare allo stomaco.

Lo stomaco del gatto è funzionale alla sua attività di cacciatore: è capace di accogliere piccole prede che vengono ingerite pochi minuti dopo la caccia, ancora calde e può fare tra i 10 e i 17 pasti al giorno!

Nello stomaco inizia una digestione prevalentemente enzimatica. Enzimi come pepsina e lipasi insieme ad un succo gastrico molto acido trasformano il bolo ingerito in chimo, un liquido brodoso e acido che prosegue nell’intestino tenue.

Il pH così acido è utilissimo anche ad abbattere la carica batterica dell’alimento (discretamente elevata calcolando che può mangiare anche le interiora di quello che caccia).

La digestione e l’assimilazione

Siamo arrivati nell’intestino. Qui il chimo (cioè il cibo per come arriva in questa fase) si mescola con i succhi pancreatici, la bile prodotta dal fegato e i succhi delle ghiandole presenti nell’intestino stesso.

Il chimo così si trasforma in chilo e prosegue il suo viaggio.
All’interno del chilo i nutrienti vengono ridotti in parti via via sempre più piccole per poi essere assimilate.
L’intestino del gatto è relativamente corto e il transito molto rapido, perciò il tempo per l’assorbimento è ridotto. L’assorbimento avviene soprattutto nella prima parte dell’intestino tenue (digiuno e ileo).

La fine del viaggio

Il chilo privo dei maggiori nutrienti prosegue verso l’intestino crasso dove viene riassorbita l’acqua e i sali minerali. Quello che rimane sono ovviamente le feci.

Come possiamo aiutare dal punto di vista nutrizionale i nostri “gatti da divano” a ricordarsi del gatto selvatico che è dentro di loro?

Abbiamo visto che i gatti sono dei cacciatori notturni solitari che consumano spesso piccole prede appena uccise.

Non possiamo certo attrezzare casa con topolini vivi, ma possiamo offrirgli piccoli pasti durante la giornata, anche con delle ciotole che distribuiscono il cibo facendo giocare il gatto.

Altro importantissimo fattore da prendere in considerazione quando vogliamo avvicinare l’alimentazione del gatto di casa a quello selvatico è la variabilità della dieta: studi hanno dimostrato come i selvatici siano in grado di scegliere le varie prede per avere un’alimentazione bilanciata.

Perché allora il nostro felino dovrebbe mangiare lo stesso alimento tutta la vita? 

Articolo della dott.ssa Chiara Dissegna

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